Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23757 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/10/2020, (ud. 17/09/2020, dep. 28/10/2020), n.23757

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11638-2019 R.G. proposto da:

A.D., rappresentata e difesa dall’avvocato Angelo Di Siena,

domiciliata ex art. 366 c.p.c., comma 2, in Roma, piazza Cavour

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

BANCO BPM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Viale Giulio Cesare, n. 59,

presso lo studio dell’avvocato Linda Maria Di Rico, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 211/2019 della Corte d’appello di Genova,

depositata il 14/02/2019;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso e il controricorso;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17 settembre 2020 dal Consigliere Dott. Cosimo

D’Arrigo.

 

Fatto

RITENUTO

A.D. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova che, dichiarando inammissibile l’appello dalla stessa proposta, l’ha condannata al pagamento delle spese processuali.

Il Banco BPM s.p.a. ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e, conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Nel giudizio è intervenuto, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., la Leviticus SPV s.r.l., tramite la propria mandataria CF Liberty Servicing s.p.a., quale successore a titolo particolare della Banco BPM s.p.a.

Diritto

CONSIDERATO

In considerazione dei motivi dedotti e delle ragioni della decisione, la motivazione del presente provvedimento può essere redatta in forma semplificata, conformemente alle indicazioni contenute nelle note del Primo Presidente di questa Corte del 14 settembre 2016 e del 22 marzo 2011.

Preliminarmente deve essere rilevata l’inammissibilità dell’intervento volontario in giudizio del successore a titolo particolare nel diritto controverso. Infatti, il successore ex art. 111 c.p.c. non può intervenire nel giudizio di legittimità in mancanza di una disposizione normativa che preveda tale facoltà. La suddetta facoltà deve, tuttavia, essere riconosciuta al medesimo nell’ipotesi di mancata costituzione del dante causa, ai fini dell’esercizio del potere d’azione derivante dall’acquistata titolarità del diritto controverso, determinandosi, in difetto, un’ingiustificata lesione del suo diritto di difesa (Sez. 1, Sentenza n. 5759 del 23/03/2016, Rv. 639273 – 01; Sez. 5, Ordinanza n. 33444 del 27/12/2018, Rv. 652035 – 01; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 20565 del 07/08/2018, Rv. 650348 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 25423 del 10/10/2019, Rv. 655272 – 01). Non ricorrendo le condizioni alle quali soltanto sarebbe stato ammissibile l’intervento del successore a titolo particolare, questo va dichiarato inammissibile.

Venendo all’esame del ricorso, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile per insufficiente esposizione dei fatti di causa (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3) e per difetto di autosufficienza in ordine alle censure articolate dalla ricorrente (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

Infatti, dalla lettura del ricorso non è possibile comprendere con esattezza quale fosse l’oggetto del giudizio di primo grado, in particolare se si trattava di un’opposizione ad una procedura esecutiva ovvero di un’opposizione a precetto; nè quale fossero i motivi per i quali venne impugnata la decisione di primo grado; nè quali siano le ragioni della decisione fatta oggetto di ricorso per cassazione. Non si comprendono neppure, quantomeno con esattezza, quali fossero le parti del processo di primo grado e i rispettivi ruoli, quali domande vennero prospettate e che esito abbiano avuto.

Tali mancanze rendono oggettivamente impossibile comprendere il significato del ricorso in esame e valutare la fondatezza delle censure ivi esposte.

Anche qualora si volessero superare tali rilievi preliminari, il ricorso risulterebbe comunque inammissibile.

Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 149 c.p.c.. La questione, per quanto è dato comprendere, concerne la data di perfezionamento del pignoramento, da ciò dipendendo la circostanza che l’opposizione dovesse proporsi ai sensi del primo o del comma 2 degli artt. 615 o 617 c.p.c.. Anche in questo caso emergono profili di grave carenza di autosufficienza: per un verso, come abbiamo già accennato, la ricorrente non chiarisce che specie di opposizione sia stata proposta, se all’esecuzione oppure agli atti esecutivi; per altro verso, non viene chiarita neppure la specie del pignoramento opposto, circostanza quest’ultima invece decisiva al fine di determinare il momento del perfezionamento della fattispecie. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, un vizio di motivazione della sentenza impugnata, senza alcuna indicazione della norma violata. Tale omissione determina l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Ad ogni modo, qualora – forzando il tenore testuale del motivo – si volesse individuare la norma violata nell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, anche in tal caso dovrebbe rilevarsi l’aspecificità del mezzo, in quanto le motivazioni della sentenza impugnata non vengono riportate – se non per brevissimi stralci che in impediscono di comprenderei filo logico del ragionamento del giudice di merito – e quindi è impossibile verificare se le stesse superino la soglia del “minimo costituzionale”.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, da liquidarsi in favore della Banco BPM s.p.a., vanno poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, a carico della parte impugnante e soccombente, di un ulteriore importo pari al contributo unificato già dovuto per l’impugnazione proposta.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Banco BPM s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

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