Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23757 del 22/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 22/11/2016, (ud. 04/10/2016, dep. 22/11/2016), n.23757

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11839-2012 proposto da:

F.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

VIGNA MURATA 1, presso lo studio dell’avvocato CORRADO CARRUBBA,

rappresentato e difeso dagli avvocati SALVATORE LEONE, GIOVANNI

CAPRIOLI;

– ricorrente –

contro

DE MASI AGRICOLTURA SPA IN LIQUIDAZIONE, – (OMISSIS) – IN PERSONA DEL

LIQUIDATORE LEGALE RAPP.TE P.T., elettivamente domiciliata in ROMA,

LARGO DELLA GANCIA 1, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

LUCCIARINI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MACINO;

COMPAGNIA ASSICURAZIONI UNIPOL SPA (OMISSIS) – IN PERSONA DEL LEGALE

RAPP.TE P.T., elettivamente domiciliata in ROMA, V. CICERONE 44,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CARLUCCIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO CAIULO;

– controricorrenti –

nonchè contro

F.LLI CAPODIECI SNC IN PERSONA DEL LEGALE RAPP.TE P.T.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 219/2011 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 16/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato Scutieri Raffaella con delega depositata in udienza

dell’Avv. Macino Giuseppe difensore di De Masi Agricoltura spa, che

si riporta alle difese depositate;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto che ha concluso per l’inammissibilità o il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Per quanto ancora interessa in questa sede, la Corte d’Appello di Lecce ha respinto l’impugnazione proposta da F.C. contro la sentenza del Tribunale di Brindisi (sez. Mesagne) che aveva a sua volta disatteso la domanda di risarcimento danni nella misura di Euro 257.935,36 avanzata dal predetto nei confronti delle società De Masi Agricoltura spa e Fratelli Capodieci snc in relazione ad un infortunio occorsogli il giorno (OMISSIS), durante l’utilizzo di una macchina cernitrice, prodotta dalla prima e venduta dalla seconda.

Per giungere a tale conclusione, la Corte salentina ha osservato:

che tra le due versioni contraddittorie fornite dall’attore, pur volendosi dare maggior credito a quella resa in sede di interrogatorio (infortunio avvenuto mentre egli si trovava nei pressi della macchina per controllare il lavoro dell’operaio), il danno non poteva derivare in modo automatico dal fatto lesivo, con una sorta di responsabilità oggettiva;

– che la domanda, sussumibile nella fattispecie dell’art. 2043 c.c., difettava di prova degli elementi costitutivi e cioè dell’esistenza di un fatto doloso o colposo fonte di danno ingiusto, risultando anzi l’idoneità della macchina e l’assenza di vizi;

che in particolare l’idoneità all’utilizzo, sul presupposto di un corretto uso, era dimostrata dal certificato di conformità CEI alle normative di sicurezza, alle indicazioni contenute nel libretto e ai segnali di pericolo impressi sulla macchina stessa nonchè dal fatto che l’operaio addetto non aveva subito alcun danno;

– che le ulteriori barriere protettive decise successivamente dalla venditrice non valevano ad escludere la sufficienza delle prestazioni di sicurezza assicurate alla cernitrice dal produttore De Masi e certificate con le attestazioni di conformità;

– che appariva inverosimile la tesi del risucchio della mano da una distanza di mezzo metro dall’apparecchiatura, ritenendosi invece presumibile l’avvenuto compimento di un gesto imprudente e pericoloso, come l’eccessivo avvicinamento al macchinario e il compimento di movimenti incomposti dovuti al gesticolare del F.;

– che pertanto la rilevante imprudenza del danneggiato era la causa unica ed esclusiva dell’evento dannoso.

3 Per la cassazione di tale decisione ricorre il F. con unico motivo a cui resistono, con separati controricorsi, la società De Masi Agricoltura in liquidazione la Unipol spa (che pure aveva partecipato ai giudizi di merito). Quest’ultima ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

La Fratelli Capodieci snc non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va esaminata e respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dalla Unipol sul presupposto della proposizione dopo la scadenza del termine lungo di sei mesi previsto dall’art. 327 c.p.c..

E’ sufficiente in proposito rilevare che il giudizio è stato introdotto nel 2004 e che la sentenza di appello non è stata notificata istanza di parte: pertanto, a norma dell’art. 327 c.p.c., comma 1, nella versione precedente, il termine lungo di decadenza dall’impugnazione era ancora quello di un anno (cfr. la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 1, secondo cui, appunto, la nuova norma si applica ai giudizi iniziati dopo la data della sua entrata in vigore).

Ebbene, poichè è noto che il termine lungo, secondo il citato art. 327 c.p.c., ha inizio dalla pubblicazione della sentenza e poichè dagli atti risulta che la sentenza è stata depositata in data 16.3.2011 (coincidente con la data di pubblicazione) discende che il ricorso per cassazione notificato in data 26 e 27.4.2012 è da ritenersi senz’altro tempestivo dovendosi calcolare, in aggiunta al termine lungo di un anno, anche i 46 giorni (sempre in base alla legislazione vigente ratione temporis) di sospensione dei termini durante il periodo feriale.

2 Passando all’esame del ricorso, rileva la Corte che con l’unico motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2050 e 2697 c.c. e art. 115 c.p.c.. Secondo la tesi del ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe dovuto collocare la fattispecie nell’ambito di cui agli artt. 2043 e 2050 c.c., come già si era argomentato dal parte della difesa: pertanto, del fatto dannoso dovevano ritenersi responsabili venditore produttore in mancanza di prova liberatoria, spettando al danneggiato di dimostrare, come di fatto avvenuto, solo il verificarsi della malattia in occasione dell’utilizzo della macchina. Il ricorrente richiama la giurisprudenza in materia di infortuni e ritiene che la Corte d’Appello avrebbe dovuto approfondire il problema e nominare un consulente tecnico sul macchinario (per verificarne le qualità e condizioni tecniche) e uno medico legale (per verificare il nesso di causalità tra le lesioni alla mano e il macchinario stesso).

Il motivo è inammissibile.

Secondo un generale principio costantemente affermato da questa Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga la questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (tra le varie, v. sez. 1, Sentenza n. 25546 del 30/11/2006 Rv. 593077; Sez. 3, Sentenza n. 15422 del 22/07/2005 Rv. 584872 Sez. 3, Sentenza n. 5070 del 03/03/2009 Rv. 606945).

Nel caso di specie, il tema della responsabilità da attività pericolose di cui all’art. 2050 c.c. (tipica questione di diritto implicante inevitabili accertamenti in fatto), costituente il nucleo centrale della censura, non risulta abbia formato oggetto di dibattito nei giudizi di merito, come si evince agevolmente non solo dal mancato approfondimento da parte della Corte d’Appello, ma – soprattutto – dal silenzio del ricorrente, che a pag. 4 si è limitato ad affermare di avere “argomentato” ma, in violazione del principio di autosufficienza, non ha trascritto “l’argomentazione” che avrebbe svolto davanti ai giudici di merito e neppure indicato la sede ove l’avrebbe sviluppata.

A questo punto, a fronte di una motivazione sicuramente congrua sopra, in narrativa), la censura perde ogni consistenza e determina il rigetto del ricorso con addebito di ulteriori spese alla parte ricorrente, in base alla regola della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore delle controricorrenti liquidandole, per ciascuna di esse, in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2016

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