Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23756 del 22/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 22/11/2016, (ud. 30/09/2016, dep. 22/11/2016), n.23756

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8342-2012 proposto da:

P.A., (OMISSIS), M.A. elettivamente

domiciliati in ROMA, V. SALARIA 320, presso lo studio dell’avvocato

LUCIA LUTRARIO, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO

MARADEI in virtù di procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MI.PA., MU.IO., MI.RO.MA., CONDOMINIO

(OMISSIS), MI.LU., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

CURZIO RUFO 10, presso lo studio dell’avvocato NINA ALESSANDRA

ZACCARA, rappresentati e difesi dall’avvocato DOMENICO BUONO in

virtù di procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 151/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 11/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Lo Polito Domenico per delega dell’Avvocato Maradei

per i ricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 12-15 ottobre 1996 P.A. e M.A. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Castrovillari il condominio (OMISSIS), Mi.Fr. e Mu.Io., assumendo di essere proprietari di un appartamento ubicato nel detto stabile, di cui Mi.Fr. era amministratore, oltre che proprietario di immobili che rappresentavano la maggior parte delle quote condominali.

Nel 1993 avevano provveduto, previa comunicazione all’amministratore, e previo consenso verbale di quest’ultimo, al distacco del loro appartamento dall’impianto di riscaldamento centralizzato, ma che ciò malgrado il condominio pretendeva il pagamento dell’intera quota condominiale, comprensiva anche dei consumi di carburante.

Inoltre era stato loro negato il diritto a servirsi dell’ascensore, in quanto il Mi. assumeva di esserne unico proprietario.

Infine il Mi. aveva illegittimamente edificato il terrazzo di copertura.

Ciò premesso chiedevano dichiarare il loro diritto ad utilizzare l’impianto autonomo realizzato a servizio del loro appartamento, a seguito del distacco dall’impianto centralizzato, con conseguente esonero dalla contribuzione alle spese di consumo a far data dal mese di aprile del 1993.

Ancora chiedevano la condanna in subordine del Mi. al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del distacco dal medesimo autorizzato, danni pari agli esborsi per consumi di carburante.

Chiedevano la condanna dei convenuti all’immediata consegna delle chiavi dell’ascensore, nonchè la condanna dei coniugi Mi. – Mu. al ripristino dello stato dei luoghi relativi alla sopraelevazione del terrazzo condominiale, ovvero in subordine al pagamento dell’indennità di sopraelevazione ed alla revisione delle tabelle millesimali, sempre per effetto dell’intervenuta edificazione sul terrazzo.

Infine chiedevano la condanna dei convenuti alla restituzione delle somme versate in eccedenza per gli anni dal 1992 al 1998, con la declaratoria di nullità ovvero di inefficacia della delibera condominiale del 20 settembre 1996 nella parte in cui aveva approvato il consuntivo per gli anni 1995-96 senza avere prima approvato quello degli anni precedenti.

Si costituivano i convenuti che chiedevano il rigetto della domanda ed in via riconvenzionale instavano per la condanna degli attori al pagamento della somma di L. 9.291.000 per effetto del rapporto di locazione precedentemente intercorso tra le parti.

Il Tribunale adito con la sentenza del 31 agosto 1999 dichiarava inammissibile la domanda relativa all’accertamento del diritto al distacco, rigettando le altre domande attoree e dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale.

A seguito di appello delle originarie parti attrici, la Corte d’Appello di Catanzaro, disposta CTU, integrato il mandato con la nomina di un nuovo consulente d’ufficio e richiesti chiarimenti, con la sentenza n. 151 dell’11 febbraio 2011 accoglieva in parte il gravame, condannando i convenuti Mi.Lu., Mi.Pa. e Mi.Ro.Ma., quali eredi di Mi.Fr., deceduto nelle more del giudizio, nonchè Mu.Io., al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 62,53, oltre rivalutazione monetaria dal 1 gennaio 1993 ed interessi legali sulla somma annualmente rivalutata a titolo di indennità di sopraelevazione, confermando per il resto la sentenza gravata.

Osservava, quanto alla domanda di accertamento della legittimità del distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato, che era erronea la declaratoria di inammissibilità del Tribunale in quanto fondata sul convincimento della necessità di una previa deliberazione assembleare. Infatti, dopo aver dato atto della rinunzia degli attori alla domanda risarcitoria avanzata nei confronti del Mi., rilevava che ormai costituiva principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per il quale il condomino può legittimamente rinunziare all’uso dell’impianto di riscaldamento centralizzato e distaccare la diramazioni della sua unità immobiliare, anche senza necessità di autorizzazione assembleare, fermo il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell’impianto. Tuttavia ai fini di ottenere l’esonero anche dal pagamento delle spese di gestione, come richiesto dagli attori, è necessario provare altresì che il distacco non si risolva in una diminuzione degli oneri del servizio.

Nella fattispecie, la prova testimoniale espletata permetteva di affermare che la consapevolezza del Mi.Fr., all’epoca amministratore del condominio, oltre che condomino, circa l’esecuzione dei lavori di distacco, se poteva far ritenere l’insussistenza di una volontà antagonista a quella di distacco degli istanti, non poteva però dimostrare anche che vi fosse stata un’accettazione, vincolante per il condominio e gli altri condomini, della richiesta di esonero dalla contribuzione alle spese di gestione dell’impianto centralizzato.

Occorreva quindi verificare, in sede giudiziaria, se l’esonero in esame (al quale era legata anche la questione della legittimità della delibera assembleare del 20/9/1996 con la quale gli attori erano stati ancora considerati ai fini del riparto delle spese de quibus), fosse giustificato dall’assenza di uno squilibrio termico, in conseguenza del distacco, pregiudizievole all’erogazione del servizio ovvero dall’assenza di un aggravio di spese per gli altri condomini.

La Corte calabrese riteneva che gli attori non avessero assolto all’onere della prova su di loro incombente, in quanto gli accertamenti tecnici espletati nel corso del giudizio non permettevano una delibazione favorevole della domanda, essendo rimaste scoperte delle lacune insanabili, anche in ragione del tempo trascorso dall’esecuzione dei lavori e della non perfetta conoscenza delle condizioni dell’impianto in epoca anteriore alle modifiche poste in essere dagli attori nel 1993 e dal condominio nel 1998, allorchè era stata sostituita la caldaia con mutamento del tipo di alimentazione.

Per l’effetto rigettava la domanda di esonero dalla contribuzione ai costi di gestione.

Quanto alla richiesta di consegna delle chiavi dell’ascensore, rilevava la Corte distrettuale che l’ascensore era stato realizzato in epoca successiva alla costruzione dell’edificio, ed a cura del solo Mi.Fr., sicchè pur essendo un bene comune, gli altri condomini potevano essere ammessi ad usufruirne previa contribuzione nelle spese di realizzazione di manutenzione.

Nella fattispecie, la dante causa degli attori non aveva inteso avvantaggiarsi del relativo servizio, omettendo di contribuire alle spese in oggetto, sicchè gli istanti per poterne a loro volta usufruire avrebbero dovuto prima versare la loro quota parte di spese, non potendosi quindi allo stato riconoscere la fondatezza della pretesa avanzata.

In merito alla domanda relativa alla sopraelevazione, la sentenza dava atto della rinunzia alla domanda di riduzione in pristino, cagionata anche dalla onerosità degli accertamenti sollecitati sul punto dagli ausiliari di ufficio, i cui costi gli stessi attori non avevano inteso sostenere, sicchè occorreva delibare solo la richiesta di pagamento dell’indennità di sopraelevazione.

A tal fine, la decisione, dopo avere richiamato i criteri in base ai quali procedere al relativo calcolo, secondo la previsione di cui all’art. 1127 c.c., avvalendosi della stima del valore a metro quadro della sopraelevazione, e riportato lo stesso valore all’epoca della costruzione, determinava l’indennità spettante agli appellanti nella somma di 62,53 da rivalutare secondo indici Istat a far data dal 1 gennaio 1993 sino alla data della decisione, oltre interessi legali sulla somma annualmente rivalutata, essendo invece inammissibile la domanda di risarcimento danni genericamente avanzata solo in grado di appello all’udienza del 28 settembre 2008.

Quanto, infine, alla richiesta di revisione delle tabelle millesimali in conseguenza dell’ampliamento del fabbricato derivante dalla sopraelevazione, rilevava la Corte d’Appello che la sentenza del Tribunale l’aveva comunque rigettata in dispositivo, sicchè era onere degli appellanti formulare delle specifiche critiche al riguardo, non essendo sufficiente la mera riproposizione in sede di gravame della domanda respinta.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso P.A. e M.A., sulla base di due motivi.

Gli intimati hanno resistito con controricorso illustrato con memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’affermazione in ordine alla mancata dimostrazione dell’insussistenza dello squilibrio termico.

Deducono i ricorrenti che sarebbe errato l’assunto secondo cui l’onere della prova di tale evenienza incombe sulla parte che pretende l’esonero, occorrendo in ogni caso tenere conto anche della condotta processuale delle controparti che non avevano riscontrato le varie richieste del CTU, omettendo di mettere a disposizione la documentazione in merito alle caratteristiche progettuali dell’impianto centralizzato sia prima che dopo le modifiche apportate.

Inoltre la decisione risulta contraddittoria nella parte in cui afferma che gli accertamenti tecnici erano risultati insufficienti per ritenere che non vi fosse squilibrio termico, pregiudizio all’erogazione del servizio ovvero aggravio di spesa.

Sia le conclusioni del CTU ing. N. che del successivo CTU nominato, ing. B., deponevano in senso favorevole alla tesi dei ricorrenti, essendo emerso che gli altri condomini che continuavano ad usufruire dell’impianto comune non avevano dovuto potenziare i loro radiatori, e che si era verificato un ragguardevole decremento sia dei consumi che dei costi di esercizio.

Risultano pertanto del tutto infondate le deduzioni del consulente di controparte che sono del tutto in contrasto con le leggi del mondo fisico e con le regole di comune esperienza.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonchè la violazione della L. n. 10 del 1991, art. 26, laddove la decisione gravata ha ritenuto insufficienti al fine di giustificare l’accoglimento della domanda attorea, gli accertamenti compiuti in corso di causa, in presenza di una dichiarazione rilasciata dal tecnico De Stefano che aveva curato la realizzazione dell’impianto autonomo, che attestava il perfetto funzionamento dell’impianto, dimostrando in tal modo l’insussistenza dello squilibrio termico.

2. I due motivi che possono essere esaminati congiuntamente in quanto volti nel complesso a contestare la correttezza della decisione impugnata, nella parte in cui ha denegato il dritto degli attori all’esonero dalla contribuzione alle spese di gestione, sono infondati, e devono pertanto essere disattesi.

In primo luogo deve evidenziarsi che, è infondata la pretesa violazione delle regole dell’onere della prova, sebbene non risulti specificamente dedotta la violazione di legge, ma la sola denunzia del vizio motivazionale, per avere il giudice di merito ritenuto che l’onere della prova circa l’esistenza delle condizioni che, alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale, giustificano l’esonero del condomino distaccato dalla contribuzione alle spese di gestione dell’impianto) centralizzato, incomba sullo stesso condominio che l’invoca.

In tal senso, la costante giurisprudenza della Corte ha, infatti, affermato che il condomino è sempre obbligato a pagare le spese di conservazione dell’impianto di riscaldamento centrale anche quando sia stato autorizzato a rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato e a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto comune, ovvero abbia offerto la prova che dal distacco non derivano nè un aggravio di gestione o uno squilibrio termico, essendo in tal caso esonerato soltanto dall’obbligo del pagamento delle spese occorrenti per il suo uso, se il contrario non risulti dal regolamento condominiale. Pertanto, è legittima la delibera condominiale che pone a carico anche dei condomini che si siano distaccati dall’impianto di riscaldamento le spese occorrenti per la sostituzione della caldaia, posto che l’impianto centralizzato costituisce un accessorio di proprietà comune, al quale i predetti potranno comunque riallacciare la propria unità immobiliare (cfr. Cass. n. 7708/2007; Cass. n. 15079/2006; Cass. n. 5974/2004).

Correttamente quindi è stata invocata dal giudice di merito la regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., ponendo quindi a carico degli attori le conseguenze negative derivanti dal mancato raggiungimento della prova circa la ricorrenza delle condizioni che legittimano il richiesto esonero.

Quanto alla pretesa violazione dell’obbligo di collaborazione incombente sulle parti, e che avrebbe imposto alle controparti di dover fornire ai consulenti i documenti necessari per attestare quali fossero le condizioni originarie dell’impianto prima dei vari interventi realizzati nel corso degli anni, le censure appaiono assolutamente generiche, mancando sia la prova che i documenti in oggetto fossero effettivamente esistenti, sia che fossero nella disponibilità delle controparti. Inoltre, avendo la Corte rilevato la necessità di attestare quale fosse la condizione dell’impianto anche prima dell’intervento di distacco operato dai ricorrenti, l’omessa attestazione di tali circostanze ben potrebbe risultare imputabile alla stessa condotta degli attori, quali avrebbero, proprio nella prospettiva di documentare la sussistenza delle condizioni per l’esonero, potuto far precedere il distacco da una relazione tecnica che fotografasse la situazione precedente il loro intervento, onde precostituirsi la prova da spendere nel presente giudizio.

Quanto alle ulteriori doglianze sviluppate in ricorso, le stesse si risolvono nel richiamo alle conclusioni alle quali sarebbero pervenuti i consulenti tecnici di ufficio che a detta dei ricorrenti non sarebbero state adeguatamente contestate dalle osservazioni dei consulenti tecnici delle controparti.

Pertanto la motivazione sarebbe contraddittoria nella parte in cui, pur a fronte di esaurienti indagini tecniche, si sarebbe ravvisata l’esistenza di lacune insanabili che non consentono di ritenere dimostrata l’insussistenza dello squilibrio termico, impedendo l’accoglimento della domanda attorea.

invero, in disparte evidenti profili di carenza del requisito di autosufficienza del ricorso, laddove lo stesso si limita a riportare solo le conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio, omettendo altresì di riportare anche lo sviluppo delle argomentazioni dei periti di ufficio, così come risulta del tutto omessa la trascrizione delle osservazioni del consulente di controparte, che pur si sottopone a critica, appare al Collegio che le doglianze dei ricorrenti si risolvano sostanzialmente nella surrettizia richiesta di procedere ad una rivalutazione dei fatti di causa, ritenendosi non soddisfacente la valutazione degli stessi così come operata dal giudice del merito, cui in esclusiva il legislatore ha affidato questo compito, escludendo che lo stesso possa essere compiuto in sede di legittimità.

In realtà non vale a denotare la illogicità o contraddittorietà della motivazione il solo dissenso del giudice rispetto alle conclusioni prese dai consulenti d’ufficio, costituendo principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza della Corte quello per il quale (cfr. Cass. n. 5665/1988) la decisione di far ricorso alla consulenza tecnica, quale strumento tecnicamente più funzionale ed efficace per lo accertamento dei fatti essenziali ai fini del giudizio non vincola per questo il giudice al parere espresso dal consulente, potendo egli dissentire dallo stesso qualora nel suo libero apprezzamento ritenga le conclusioni dell’ausiliare non sorrette da adeguata motivazione o per altre convincenti ragioni. (conf. Cass. n. 2785/87; Cass. n. 3384/85). Trattasi di affermazioni assolutamente costanti e che hanno trovato anche di recente conforto negli arresti di legittimità, essendosi per l’appunto sostenuto che (cfr. Cass. n. 17757/2014) nel nostro ordinamento vige il principio “judex peritus peritorum”, in virtù del quale è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico) d’ufficio, e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche. In ambedue i casi, l’unico onere incontrato dal giudice è quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto.

Orbene, premessa la necessità di una adeguata motivazione, nel caso di specie è dato ravvisare un articolato iter argomentativo a supporto della decisione di discostarsi da quanto rilevato dai consulenti tecnici, iter che si connota anche per congruità ed intrinseca coerenza e soprattutto per la puntuale evidenziazione delle ragioni per le quali la valutazione di questi ultimi risulta insoddisfacente ed incompleta.

Ed, infatti, la sentenza gravata, dopo avere espresso a pag. 22 la propria valutazione di insufficienza degli accertamenti tecnici svolti in grado di appello, in quanto rivelatisi inidonei a superare i rilievi del consulente di parte appellata, ha dato conto delle ragioni di tale valutazione facendo richiamo al lungo tempo trascorso tra la data delle modifiche all’impianto e quella delle indagini, che avevano permesso solo di verificare quale fosse la situazione attuale, senza però, anche in conseguenza di evidenti carenze documentali, poter accertare quale fosse la condizione preesistente alle modifiche apportate.

A pag. 24, ha poi dato atto che, sebbene l’appartamento degli attori avesse conservato la sua originaria ubicazione (risultando sempre collocato al di sopra di locali non riscaldati), ed ancorchè la copertura del tetto avesse migliorato la precedente situazione di dispersione termica, alla successiva pag. 25, la sentenza ha ribadito che l’indagine per risultare favorevole alla tesi dei ricorrenti avrebbe dovuto accertare in concreto se l’inevitabile ripercussione sulla strutturazione dell’impianto, a seguito del distacco, avesse avuto ricadute pregiudizievoli sul calore goduto dai restanti condomini (a parità di periodo di accensione e di costo dei consumi) e sui tempi di erogazione negli altri appartamenti di acqua calda a temperatura prefissata.

In tal senso non è sufficiente accertare che i termosifoni siano abbastanza caldi, come aveva rilevato il CTU nominato da ultimo, ma occorreva verificare se, con gli stessi periodi di accensione tutti gli altri restanti appartamenti fruissero della stessa quantità di calore goduta prima del distacco, e dei medesimi tempi di erogazione del servizio di acqua calda.

In tale prospettiva, e mostrando adesione alle critiche mosse dal consulente degli appellati, ha evidenziato che a seguito del distacco il radiatore più lontano dalla caldaia viene raggiunto da acqua calda che ha una temperatura inferiore a quella che dovrebbe avere, con la conseguenza che a quel radiatore viene ceduta una quantità di calore inferiore a quella necessaria per fargli raggiungere la temperatura interna di progetto.

Inoltre, mentre gli appartamenti intermedi continuano a fruire della temperatura di confort, risulta che la pompa dell’impianto operi sotto sforzo, che l’aumento di velocità dell’acqua determina una maggiore rumorosità, e soprattutto che, per la sua particolare collocazione, l’appartamento degli attori continua ad essere interessato da trasmissione di calore, essendo attraversato da ben sei montanti dell’impianto centralizzato.

Gli stessi consulenti d’ufficio, osserva la Corte distrettuale, se hanno valutato una diminuzione dei consumi per combustibile, non hanno però saputo quantificare in termini percentuali il pregiudizio subito dai condomini rimasti allacciati all’impianto centralizzato, come in precedenza individuato, non risultando quindi possibile effettuare una comparizione tra il risparmio di spesa per i consumi, il pregiudizio patito dall’appartamento posto all’ultimo piano (i cui radiatori sono maggiormente distanti dalla caldaia e che usufruiscono quindi di una minore temperatura dell’acqua calda), ed il vantaggio dell’immobile degli attori che riceve tuttora calore dall’impianto comune.

In conclusione ha ritenuto che l’impossibilità di poter tecnicamente stabilire in maniera obiettiva la ricorrenza dei presupposti legittimanti la richiesta di esonero, non consentiva l’accoglimento della relativa domanda.

Trattasi all’evidenza di valutazioni connotate da intrinseca logicità e che, anche nella parte in cui dissentono dalle conclusioni dei periti di ufficio, contrappongono valutazioni di carattere tecnico, che sono prive di profili di incoerenza o di inverosimiglianza, di modo che deve escludersi che la sentenza possa essere ritenuta affetta dai vizi denunziati in ricorso.

Quanto infine alla pretesa violazione della L. n. 10 del 1991, art. 26, ed anche a superare la evidente carenza del requisito dell’autosufficienza (non avendo la parte riprodotto in ricorso il contenuto dell’attestazione rilasciata dal tecnico che ha curato la realizzazione dell’impianto autonomo) è evidente che l’attestazione resa sul punto, come si ricava dalle affermazioni dei ricorrenti e dal tenore del richiamato art. 26, concerne unicamente la conformità dell’impianto alle specifiche tecniche imposte dalla menzionata legge ed il suo perfetto funzionamento, ma non può in alcun modo avere valenza probatoria, e per lo più privilegiata, come vorrebbe parte ricorrente, in ordine al diverso profilo, investito dalla causa in esame, concernente la legittimità della pretesa del condomino distaccatosi ad essere esonerato dalla contribuzione alle spese di gestione dell’impianto centralizzato.

Ne deriva che anche il principio di diritto che si assume essere stato violato dalla sentenza gravata, in base al quale sussisterebbe il diritto all’esonero dalle spese di gestione per il condominio che si è munito di impianto autonomo, ove vi sia attestazione rilasciata da tecnico specializzato ai sensi della L. n. 10 del 1991, è meramente apparente, essendo fondato sulla fallace convinzione che l’attestazione de qua risulterebbe idonea anche a documentare l’inesistenza dello squilibrio termico, essendo invece destinata unicamente ad attestare la conformità dell’impianto autonomo alla vigente disciplina in materia di risparmio energetico, ma senza interessare anche il diverso profilo delle sorti dell’impianto centralizzato.

Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese di lite che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese di lite in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2016

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