Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23752 del 14/11/2011

Cassazione civile sez. III, 14/11/2011, (ud. 19/10/2011, dep. 14/11/2011), n.23752

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20733-2009 proposto da:

INVECO SRL (OMISSIS), in persona del suo legale rappresentante

Sig. F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L.

ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato ROMAGNOLI ILARIA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PORTIERI PIER CARLO

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA CASSIODORO 6, presso lo studio dell’avvocato LEPORE

GAETANO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 432/2009 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 01/04/2009; R.G.N. 874/2005.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/10/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito l’Avvocato ILARIA ROMAGNOLI; udito l’Avvocato GAETANO LEPORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. La Inveco S.r.l. propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, illustrati con memoria, avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova del 1 aprile 2009, che riformava quella di primo grado e respingeva la domanda di risarcimento dei danni, proposta dalla società nei confronti dal notaio V.M., per avere questi rogato un atto che, anzichè trasferire la piena proprietà di un terreno, aveva trasferito il detto fondo gravato da enfiteusi a favore del Comune di Bordighera, con successiva esigenza di procedere a riscatto dello stesso previa affrancazione.

2. Secondo la Corte territoriale, “se è vero che nell’atto di vendita vengono utilizzate espressioni errate, in quanto si parla di vendita di un immobile, costituito da terreno agricolo con entrostante fabbricato rurale, di cui la parte venditrice dichiara di avere “la piena ed esclusiva proprietà”, in esso si dice anche chiaramente che “quanto compravenduto è gravato da livello in favore del comune di Bordighera (IM) regolato secondo le disposizioni degli usi civici e delle leggi in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue, l’eventuale affrancazione avverrà ad esclusiva cura e spese della parte acquirente. Il riferimento all’esistenza di un livello in favore del Comune di Bordighera e la previsione della possibilità di un’affrancazione del fondo, che avrebbe dovuto essere onerosa (“a cura e spese della parte acquirente”) sono espressioni tecniche che potrebbero avere un significato oscuro per chi non abbia una specifica competenza; giuridica, ma che in un rogito notarile assumono un significato inequivoco nel senso di evidenziare che il fondo compravenduto è gravato da canone enfiteutico in favore del Comune e che la sua liberazione da quest’onere comporta un esborso.

Come spiega la Cassazione: “Il termine “livello”, deriva da libellus, con la quale espressione veniva indicata la scrittura, e cioè lo strumento contrattuale con riferimento a vari tipi di rapporti. Nella successiva evoluzione storica fino ai nostri giorni, i nomi “livello” ed “enfiteusi” vennero promiscuamente adoperati nell’uso comune, per modo che i due istituti, pur se originariamente distinti, finirono in prosieguo, già prima delle codificazioni moderne, per confondersi ed unificarsi, con la conseguente estensione anche ai livelli della generale disciplina sulla enfiteusi. (così Cass. Sentenza n. 1682 del 22/06/1963), cosicchè non sussiste un’autonomia del contratto di livello che s’identifica nella sostanza con quello di enfiteusi, e ad esso si applica la disciplina del codice civile in tema di enfiteusi.

Non si può trascurare inoltre che nel preliminare sottoscritto dalle parti circa due mesi prima del rogito il riferimento all’esistenza di un’enfiteusi è ancora più evidente. In esso infatti si dice che “L’immobile oggetto del presente contratto è gravato da un livello a favore del Comune di Bordighera (IM) regolato secondo le disposizioni degli usi civici e della L. n. 607 del 1966 in materia di enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue …”. E proseguendo, dopo avere menzionato anche l’esistenza di un contratto di affitto agrario che gravava sul fondo, si precisa: “… La parte promissario dichiara di ben conoscere tali situazioni di fatto e di diritto e di accollarsi interamente i relativi oneri e costi futuri, in particolare l’indennità di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 17″. L’esame dei documenti sopra richiamati smentisce quindi la tesi della Inveco e porta a escludere che essa non può avere ignorato di acquistare solo un diritto di enfiteusi e non la piena proprietà del fondo. In entrambi i testi negoziali infatti si riportava l’erronea dichiarazione della parte venditrice di essere piena proprietaria del fondo, la quale tuttavia aveva un rilievo marginale a fronte degli altri riferimenti in essi contenuti al fatto che il fondo era gravato da un canone enfiteutico (livello) in favore del Comune di Bordighera, la cui eliminazione avrebbe comportato degli esborsi che la parte acquirente s’impegnava ad eseguire di tasca propria. Non può pertanto la parte acquirente addebitare al Notaio di averle taciuto una circostanza essenziale, perchè anzi essa era espressamente richiamata nel testo dei contratto”.

3. Nel proprio ricorso l’Inveco deduce:

3.1. violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in relazione agli artt. 1362, 1371 e 1176 c.c. e chiede alla Corte:

3.1.1. “E vero che un atto di compravendita redatto da Notaio nel quale sia scritto che parte venditrice dichiara di avere la piena ed esclusiva proprietà di un immobile e nel quale dichiara di vendere il detto immobile che pienamente le appartiene non può essere interpretato a norma dell’art. 1362 c.c. nel senso che le parti abbiano inteso trasferire solo il diritto enfiteutico solo perchè in detto rogito si dia atto che quanto compravenduto è gravato da livello a favore di un terzo regolato dalle norme in materia di enfiteusi: e che la affrancazione avverrà a cure e spese dell’acquirente? 3.1.2. E’ vero che viola il dovere di diligenza nell’adempimento delle obbligazioni professionali il Notaio che in un atto di vendita da lui rogato indica che parte venditrice è proprietaria esclusiva di un immobile e che vende detto immobile e che usa espressioni tipiche del contratto di trasferimento della piena proprietà immobiliare quando invece la venditrice è titolare di un più limitato diritto (enfiteusi) sull’immobile stesso, anche se nell’atto viene indicato che quanto compravenduto è gravato da livello a favore di un terzo e che la eventuale affrancazione è a cure e spese dell’acquirente, e che in tal caso il Notaio è responsabile a norma dell’art. 1176 c.c. per negligenza e imperizia nei confronti della parte cui non abbia fatto conseguire l’acquisto della proprietà e pertanto è tenuto a risarcire il danno nella misura della spesa necessaria all’acquirente per conseguire per altra via lo scopo acquisitivo non raggiunto con l’atto erroneo del Notaio”.

3.2. Art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e così schematizza la censura:

“Punto essenziale della controversia, totalmente controverso tra le parti, è il significato e la portata da annettere alla espressioni usate dal Notaio nel rogito da lui compilato con conseguente affermazione che il rogito fosse corretto o meno e quindi conseguente affermazione che esistesse o meno la responsabilità professionale del Notaio. La Corte di Appello ha dato rilevanza prevalente ad alcune espressioni invece che ad altre, che ha definito “meramente errate e di rilievo marginale” senza indicare il percorso logico- giuridico che l’ha indotta a simile conclusione. La Corte di Appello ha definito “di significato oscuro per persone non giuridicamente evolute” alcune espressioni contenute nel rogito, ma poi si è contraddetta affermando che le stesse “hanno un significato univoco” (sol perchè contenute in un atto notarile). Conclusione contraddittoria ed anche priva di argomentazione motivante pur affluendo ad un punto essenziale e controverso della lite.

4. Il notaio resiste con controricorso e chiede dichiararsi inammissibile e, comunque, rigettarsi il ricorso.

3. I motivi si rivelano inammissibili per inidoneità del quesito e del momento di sintesi formulati in relazione a ciascuno di essi.

Essi sono privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie nel testo di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.

3.1. Il quesito, come noto, non può consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4 – adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v.

Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

3.2.1. Non si rivelano, pertanto, idonei il quesito di cui al n. 3.1.1. e il momento di sintesi di cui al n. 3.2., dato che non contengono idonei riferimenti alla pretesa azionata dalla società, nè espongono chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate nè specificano i canoni ermeneutici che la Corte territoriale avrebbe violato dando la propria interpretazione degli obblighi e diritti delle parti nascenti dal rogito in lite, quanto alle regola di cui invoca l’applicazione, si esauriscono in enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di chiari riferimenti al tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420).

Del resto, il quesito di diritto non può risolversi – come nell’ipotesi – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub indice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536).

Anche il quesito di cui al n. 3.1.2. è privo di riferimenti alla fattispecie, così da rivelare anche la mancata autosufficienza della censura relativa al dovere di diligenza nell’adempimento della prestazione notarile. In assenza di qualsiasi riferimento a tale questione nella sentenza impugnata, infatti, il ricorrente avrebbe dovuto indicare se, come, dove e quando la stessa sia stata sottoposta ai giudici di merito, al fine di evitare che la stessa debba essere dichiarata inammissibile per novità.

3.2.2. Senza contare che, per potersi configurare la violazione delle regole di interpretazione del contratto, non è sufficiente che il ricorrente faccia richiamo all’artt. 1362 ss. c.c., in quanto è necessario che vengano specificati i canoni in concreto non osservati ed il modo in cui il giudice del merito si sia da essi discostato, non essendo idonea una critica del risultato raggiunto dallo stesso giudice mediante la contrapposizione di una diversa interpretazione:

(Cass., sez. lav., 22 novembre 2010, n. 23635; Cass., sez. 2, 31 maggio 2010 n. 13242; Cass., Sez. lav., 1 luglio 2004, n. 12104;

Cass., Sez. 2, 20 agosto 1997, n. 7738; Cass., Sez. 2, 30 gennaio 1995, n. 1092; Cass., Sez. lav. 23 gennaio 1990, n. 381), con il conseguente obbligo per il ricorrente di richiamare e specificare i canoni ermeneutici di cui assume la violazione, precisando in quale modo e con quali considerazioni il giudice se ne sia discostato.

Quando in sede di legittimità venga denunziata la violazione di tali regole, è necessaria la specifica dimostrazione del modo in cui il ragionamento seguito dal giudice di merito abbia deviato dalle regole nei detti articoli stabilite, non essendo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera proposizione di una diversa e più favorevole interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante (Cass. 4 giugno 2007 n. 12946 e n. 12936). Il sindacato della Corte di Cassazione sugli esiti del procedimento di interpretazione può essere introdotto anche con il motivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 che fa riferimento ai vizi di motivazione. Infatti, la sentenza di merito è sindacabile in Cassazione sotto il profilo dell’interpretazione data al contratto qualora sia viziata da errori logici o di motivazione (Cass. 13 luglio 1993 n. 7745). In tal caso il controllo della Suprema Corte sulla motivazione della sentenza, non può comportare il riesame del merito; al contrario la deduzione di un vizio di motivazione attribuisce al giudice di legittimità il potere di sottoporre a controllo le argomentazioni svolte nell’impugnata sentenza, sotto il profilo della correttezza e della coerenza logico-formale, mentre spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere dal complesso delle risultanze del processo quelle ritenute più idonee all’accertamento dei fatti di causa (Cass., Sez. 3, 7 luglio 2005 n. 14305, Cass. Sez. 3, 20 ottobre 2005, n. 20322,; Cass., Sez. trib., 12 agosto 2004, n. 15675; Cass., Sez. lav., 9 agosto 2004, n. 15355; Cass., Sez. lav., 25 agosto 2003, n. 12467).

4. Pertanto, il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2011

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