Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23751 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 24/09/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 24/09/2019), n.23751

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3262-2018 proposto da:

S.M., nella qualità di legale rappresentante pro tempore

della Società CESPA MANUFACTURING SRL elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANDREA BAIAMONTI 4, presso lo studio dell’avvocato AMATO

RENATO, rappresentato e difeso dagli avvocati LEONE FELICE, SARNO

SABINO ANTONINO;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona dei legali rappresentanti pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 88,

presso lo studio dell’avvocato CALLEA ANDREA, rappresentata e difesa

dall’avvocato CASTALDO BRUNO;

– controricorrente –

contro

S.V., S.M.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 15646/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 23/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SCODITTI

ENRICO.

Fatto

RILEVATO

he:

Luigi Spavone titolare della ditta individuale C.E.SPA. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli Unione Mediterranea di Sicurtà Assicurazioni s.p.a. chiedendo la condanna al pagamento di un indennizzo. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando la convenuta al pagamento della somma di Lire 101.200.000 oltre interessi. Avverso detta sentenza proposero appello principale lo S. ed incidentale la società assicuratrice. La Corte d’appello di Napoli in riforma della sentenza impugnata rigettò l’originaria domanda. Cassata la sentenza dalla Corte di Cassazione, e riassunto il giudizio da S.M., nuovo titolare della ditta individuale, la Corte di appello di Napoli rigettò entrambi gli appelli. Propose ricorso per cassazione in via principale CESPA Manufacturing s.r.l. (conferitaria della ditta individuale C.E.SPA.) ed incidentale Generali Italia s.p.a.. Con sentenza di data 23 giugno 2017 la Corte di Cassazione rigettò entrambi i ricorsi.

Osservò la Corte, per quanto qui rileva, in relazione al motivo di ricorso principale avente ad oggetto l’omessa ristorazione del danno da fermo tecnico, che fondata era l’eccezione sollevata nel controricorso di formazione del giudicato interno per mancata proposizione di motivo di appello relativamente al fermo tecnico nell’atto di appello notificato in data 15 gennaio 1998 (mentre non valeva osservare che non fosse necessario trascrivere nell’atto di riassunzione all’esito del rinvio tutte le domande). Osservò in particolare “che l’omessa riproposizione in grado d’appello della questione relativa al fermo tecnico non risulta contraddetta dall’interessata, la quale anzi, difendendosi solo in relazione all’atto di riassunzione, in sostanza ha implicitamente ammesso la rispondenza al vero di quanto dedotto dalla controparte”.

Ha proposto ricorso per revocazione CESPA Manufacturing s.r.l. in persona del legale rappresentante S.M. sulla base di un motivo e resiste con controricorso Generali Italia s.p.a.. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il motivo di ricorso si denuncia l’errore percettivo circa il motivo dell’atto di appello notificato in data 15 gennaio 1998, riportato nel ricorso per cassazione, con cui era stata riproposta la questione relativa al fermo tecnico.

Il motivo è inammissibile. L’istanza dicevocazione delle decisioni, anche della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, per errore di fatto, è inammissibile qualora il fatto medesimo abbia costituito un punto controverso oggetto della decisione e ciò ricorre laddove in relazione a detto fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa, in ragione della quale la pronuncia del giudice non si configura come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio (fra le tante da ultimo Cass. 8 giugno 2018, n. 14929; 29 marzo 2018, n. 7795; 11 gennaio 2018, n. 442). Il fatto processuale in questione, ossia la circostanza se abbia costituito motivo di appello la questione del c.d. fermo tecnico, ha costituito oggetto di un punto controverso, essendo stato eccepito con il controricorso che la questione non era stata posta con l’atto di appello ed avendo quindi il giudice svolto una valutazione al fine di accertare il fatto processuale (apprezzando in particolare il contegno tenuto dalla parte ricorrente nel processo).

Nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la parte ricorrente, allo scopo di confutare la proposta del relatore, menziona giurisprudenza di questa Corte la quale non è pertinente rispetto al profilo di inammissibilità che avvince il ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Non ricorrono i presupposti per l’invocata condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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