Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23750 del 01/10/2018

Cassazione civile sez. II, 01/10/2018, (ud. 09/05/2018, dep. 01/10/2018), n.23750

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 621-2015 proposto da:

N.M.D., T.G., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA APPIANO 8, presso lo studio dell’avvocato ORAZIO

CASTELLANA, rappresentati e difesi dall’avvocato TOMMASO SAVITO;

– ricorrenti –

contro

TO.EM., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 486/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE –

SEZ.DIST. di TARANTO, depositata il 21/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/05/2018 dal Consigliere GUIDO FEDERICO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

To.Em., proprietaria di un appartamento sito a (OMISSIS) – per metà in virtù dell’acquisto fatto in comunione col coniuge L.A.R. e per l’altra metà in seguito al decesso di questi ed unitamente ai coeredi L.L., + ALTRI OMESSI, questi ultimi quali eredi di A.C., chiedendone la condanna al rilascio dell’immobile;

– l’attrice espose che l’appartamento, del quale il marito era assegnatario per effetto di convenzione “INA – CASA” del 24.11.1960, era stato da quest’ultimo promesso in vendita ad A.C. con preliminare dell’8.3.1961, per effetto del quale la promissaria acquirente ne aveva ottenuto la consegna immediata unitamente alla figlia N.M.D. ed al genero T.G., e che nel termine previsto non era intervenuta la stipula del definitivo;

– N.M.D. e T.G., occupanti dell’immobile, si costituirono spiegando riconvenzionale perchè ne fosse dichiarata l’usucapione in loro favore ovvero, in subordine, perchè il rilascio fosse condizionato al pagamento, da parte dell’attrice in solido con i coeredi del marito, della penale prevista da una clausola del preliminare, in quanto la mancata stipula del definitivo era dipesa da un ripensamento del promittente venditore, nonchè al rimborso delle spese sostenute per l’immobile;

– rimasti contumaci i restanti convenuti e gli eredi di L.A.R., con sentenza non definitiva del 7.4.2004 il tribunale accolse la domanda di rilascio, rigettò la domanda riconvenzionale di usucapione e dispose la prosecuzione del giudizio per la determinazione della penale dovuta; quindi, con successiva pronunzia definitiva del 17.2.2011, liquidò detta penale in Euro 34.329,00, riducendo ex art. 1384 c.c. l’importo previsto in contratto e corrispondente al valore venale dell’immobile;

– N.M.D. e T.G. appellarono la sentenza e To.Em. si costituì chiedendone il rigetto;

– la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, respinse il gravame ritenendo, per quanto qui ancora di interesse, che la manifesta eccessività della penale si evincesse da diverse circostanze, e segnatamente: dal fatto che all’epoca dell’affare il bene era sottoposto ad un particolare regime vincolistico (essendo stato assegnato da ente previdenziale) che ne impediva il pronto trasferimento; dall’immediata disponibilità dello stesso in capo alla promissaria acquirente, a fronte dell’accollo di un modestissimo canone concessorio; dal fatto, ben noto alla promissaria acquirente, che il definitivo non si sarebbe comunque potuto perfezionare come previsto, poichè la comproprietaria To. non aveva preso parte al preliminare, ignorando il regime normativo connesso al trasferimento di un bene in comunione;

– avverso tale sentenza N.M.D. e T.G. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis; gli intimati non hanno svolto attività difensiva;

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

– con il primo motivo i ricorrenti denunziano falsa applicazione dell’art. 1384 c.c., artt. 113,155 e 116 c.p.c. e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta manifesta eccessività della penale;

– con il secondo motivo deducono violazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 1322,1372 e 1385 c.c. assumendo che la corte d’appello avrebbe omesso di pronunziarsi sulla loro domanda di rimborso delle spese sostenute per le migliorie apportate all’immobile, quantunque liquidate dal consulente tecnico all’uopo nominato;

– il primo motivo è inammissibile; pur se articolato come denunzia di violazione di legge, infatti, esso è in realtà volto a censurare le ragioni adottate dalla corte d’appello a sostegno della valutazione di manifesta eccessività della penale, in sè non sindacabili in quanto espressione del potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità se non negli aspetti relativi alla motivazione (v. Cass. 16.2.2012 n. 2231);

– in ogni caso, e quanto ai profili di censura attinenti a tale specifico vizio, è noto che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), lo ha circoscritto all’ipotesi di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, inteso come fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia (cfr. Cass. 24.2.2016, n. 3591); ed invero, tutti i fatti evidenziati dai ricorrenti risultano presi in considerazione e valutati nella sentenza impugnata, rispetto alla quale la censura è essenzialmente volta a sollecitare un mero riesame;

– è invece fondato il secondo motivo, evidenziandosi nelle conclusioni in appello degli odierni ricorrenti l’espressa richiesta di rimborso delle spese sostenute per migliorie, di cui alla clausola n. 7 del contratto preliminare integralmente riprodotto nel ricorso, e determinate in complessivi Euro 2.742,57 dalla consulenza tecnica esperita; su tale richiesta la corte d’appello ha omesso di pronunziarsi.

Il ricorso va dunque accolto limitatamente al secondo motivo.

La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione alla censura accolta e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Lecce – sez. dist. di Taranto in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Lecce – sezione staccata di Taranto, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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