Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23747 del 01/10/2018

Cassazione civile sez. I, 01/10/2018, (ud. 09/05/2018, dep. 01/10/2018), n.23747

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12768/2014 proposto da:

V.S. Impresa Costruzioni, in proprio e nella qualità di

capogruppo mandataria dell’Associazione Temporanea di Imprese

costituita con le imprese M.C. e S.a.c.e.n. s.r.l.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in

Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Agosto

Giovambattista, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Consorzio di Bonifica Tirreno Vibonese, subentrato al soppresso

Consorzio di Bonifica Integrale di Vibo Valentia

(Poro-Mesima-Marepotamo), in persona del Presidente legale

rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato Staropoli Pino Eliseo, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1463/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 23/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/05/2018 dal cons. MARULLI MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Con sentenza depositata il 23.10.2013 la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma dell’impugnata decisione di primo grado del Tribunale di Vibo Valentia, ha rigettato la domanda proposta, in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria dell’ATI costituita con le imprese M.C. e S.A.C.E.N. s.r.l., dalla V.S. Impresa Costruzioni nei confronti del Consorzio di Bonifica Integrale di Vibo Valentia, intesa ad ottenere, in relazione all’aggiudicazione di un appalto per la realizzazione di un impianto irriguo, il ristoro dei danni patiti a causa della tardiva predisposizione di una perizia di variante e della conseguente sospensione dei lavori.

1.2. Il giudice d’appello, nel riformare l’impugnata decisione, motivata sul presupposto che i fatti di causa evidenziassero che la stazione appaltante era venuto meno agli obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, ha espresso il convincimento che, trattandosi di appalto di tipo chiuso (definito convenzionalmente chiavi in mano), era onere della parte appaltatrice procedere alla redazione della progettazione mancante, di talchè, non avendovi essa provveduto, giacchè non vi era prova che il relativo elaborato fosse stato prodotto, “non è dato comprendere a quale titolo possa essere invocata la lesione del principio di esecuzione di buona fede da parte del committente… in assenza della tempestiva presentazione della progettazione in variante”.

1.3. Insta per la cassazione di detta decisione la V. con tre motivi, illustrati pure con memoria, cui resiste il Consorzio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo poichè la Corte d’Appello con motivazione “affetta da illogicità ed insufficienza, nonchè da error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4” avrebbe disatteso le risultanze degli atti di causa e, segnatamente, il fatto che, a fronte delle riserve da essa esternate circa l’incompletezza della progettazione sin dalla consegna del cantiere e successivamente reiterate in ogni occasione, la motivazione con la quale il direttore dei lavori aveva provveduto a rigettarle (“sono infondate tanto in linea di fatto quanto in linea di diritto”) provava “inconfutabilmente” che l’impresa avesse già consegnato il progetto ritenuto manchevole, giacchè, diversamente le riserve sarebbero state respinte con motivazione di altro tenore.

2.2. Il motivo è affetto da plurime ragioni di inammissibilità.

In linea generale esso postula la rinnovazione del giudizio fattuale esperito dal decidente di merito, intendendo sollecitare la rivalutazione del fatto, da questi esplicitamente valorizzato, che nella specie l’impresa, pur essendovi tenuta a mente dell’art. 8 del contratto ed in ragione della natura “chiusa” del relativo rapporto, era venuta meno all’onere di provare che il progetto – di cui pure aveva ripetutamente denunciato la mancanza – fosse stato predisposto e fosse stato prodotto alla direzione dei lavori, giacchè, come si annota, “solo a condizione che tanto fosse stato effettivamente fatto e dimostrato avrebbe potuto aver riguardo ai fini di causa l’inerzia mostrata dal direttore dei lavori”.

Va da sè poi che è fuor d’opera addurre in capo alla decisione impugnata un vizio di illogicità ed insufficienza della motivazione, giacchè nè l’uno nè l’altro sono rappresentabili in relazione al mutato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cui la specie soggiace per ragioni di tempo, non configurandosi, neppure laddove, pur senza operarne alcuna specificazione – e quindi incorrendo nuovamente in una ragione di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, – si adombra un error in procedendo, la sussistenza di un’anomalia motivazionale che possa farsi valere quale violazione di legge costituzionalmente rilevante.

Peraltro, sotto questa angolazione, il fatto di cui si asserisce l’omesso esame non è il fatto di cui discorre la norma novellata (Cass., Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802), essendo il frutto a tutto concedere di un giudizio ipotetico inteso ad argomentare la dimostrazione del fatto costitutivo non già mediante la sua allegazione, ma mediante l’insostenibilità del contrario.

3. Il secondo motivo, con cui la ricorrente, senza aggiungere alcunchè alla sua postulazione, reputa che la sentenza impugnata, se non dovesse essere cassata per il primo, “sarebbe affetta dal vizio di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4”, non si sottrae alla medesima declaratoria di principio, essendo dedotto in violazione del comando di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

4.1. Il terzo motivo di ricorso allega ancora un vizio di insufficiente motivazione, nonchè la violazione degli artt. 1176 e 1375 c.c., poichè a giudizio del ricorrente la sentenza impugnata risulterebbe viziata laddove ha statuito la totale estraneità del’amministrazione ai fatti denunciati, quantunque nell’appalto a corpo il rischio della maggior quantità di lavoro possa addossarsi all’appaltatore solo quando il progetto dell’opera individui compiutamente e dettagliatamente i lavori da realizzare ed il relativo costo.

4.2. Il motivo è inammissibile risultandone palesemente l’estraneità alla ratio decidendi sottesa alla decisione impugnata.

Ed invero il richiamo alla figura dell’appalto “a corpo” o “a forfait” in guisa del quale il prezzo, preventivamente determinato in misura fissa ed invariabile, non trasforma il contratto d’appalto in un contratto aleatorio, sicchè non può gravare sull’appaltatore un rischio che, essendo imputabile a carenze progettuali o ad altri fattori estranei alla sua condotta, esula dalla normale alea contrattuale – si rivela impropriamente operato nel caso in esame.

La Corte d’Appello si è infatti indotta all’adozione della decisione contestata non già sul presupposto che all’impresa dovesse far carico un rischio estraneo alla dinamica contrattuale, di modo che, dipendendo esso da una progettazione deficitaria, fosse ravvisabile in capo alla stazione appaltante la denunciata violazione degli obblighi di buona fede e correttezza nell’adempimento dell’obbligazione, ma si è basata sul diverso e ben più vincolante presupposto che nella specie la V. si era esplicitamente impegnata a sostenere, in base alla lettera dell’art. 8 del contratto, come riporta la sentenza impugnata, “ogni spesa riguardante la progettazione di massima, esecutiva, di dettaglio, integrativa e anche sostitutiva dei quell’originaria posta a base del contratto… gli adeguamenti delle varianti conseguenti a deficienze progettuali… a rilievi di qualsiasi genere o modifiche di tipi strutturali”; sicchè, ancora prima che poter invocare a proprio beneficio la violazione da parte del Consorzio dei doveri dianzi richiamati, era il suo inadempimento a rendersi constatabile e tanto si è dato cura di rimarcare il decidente appunto affermando che “non pare possibile immaginare l’operatività del dettato dell’art. 1375 c.c. in un caso, come quello che occupa, nel quale sarebbe stato specifico onere di parte attrice dimostrare non solo di aver invocato sin dall’inizio l’adozione di una variante – richiesta che mal si addiceva con la struttura del contratto di assunzione della connessa alea derivante dalla necessaria accettazione della progettazione – ma soprattutto di avere prodotto il relativo elaborato”.

E dunque non coglie la ratio la deduzione ricorrente che la decisione avrebbe accollato all’impresa l’adempimento di un onere eccedente la normale alea contrattuale.

5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con ovvio aggravio delle spese per la parte soccombente.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Dichiara l’inammissibilità dei motivi di ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 9 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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