Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23746 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. un., 28/10/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 28/10/2020), n.23746

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di sez. –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente di sez. –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9223-2020 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE DI MASCIO;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ISERNIA, PROCURATORE GENERALE

PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 202/2019 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 30/12/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del

ricorso; assorbita l’istanza di sospensione;

udito l’Avvocato Giuseppe Di Mascio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di segnalazione da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Isernia del 9 ottobre 2013, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Isernia, con Delib. 11 settembre 2014 contestava all’avvocato C.C. i fatti oggetto del procedimento penale a suo carico, avvenuti in (OMISSIS), e nello specifico:

a) ai sensi dell’art. 35, comma 1 Codice deontologico di non avere dato alla sua assistita V. informazioni in relazione all’incarico da lei ricevuto di rappresentarla e difenderla nella procedura di espropriazione immobiliare incardinata presso il Tribunale di Vasto;

b) in relazione all’art. 9 cit. Codice per non aver esercitato l’attività professionale con lealtà, correttezza, probità, dignità e diligenza;

c) con riguardo all’art. 10 per non aver adempiuto fedelmente al mandato ricevuto, svolgendo la propria attività a difesa della parte assistita;

d) per aver mancato il compimento di atti inerenti al mandato (mancanza derivante da fatto non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita) in relazione all’incarico affidatole per una procedura esecutiva davanti al Tribunale di Vasto, tanto in violazione dell’art. 26, comma 3;

e) in relazione alla detta procedura di espropriazione immobiliare, per avere, in violazione dell’art. 27, comma 6 trascurato di informare il cliente circa lo svolgimento del mandato affidatole.

2. Il procedimento disciplinare così avviato era contestualmente sospeso in attesa della definizione del procedimento penale.

3. Il Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD) di Campobasso, subentrato al C.O.A., acquisiva gli atti e riattivava il procedimento convocando l’avvocato C. per il 1 luglio 2016. L’avvocato C. depositava una memoria difensiva. Erano acquisiti documenti, anche relativi al procedimento penale in corso, ed ammessa l’istruttoria testimoniale nel corso della quale, tuttavia, i testi indotti dalla difesa dell’incolpata non comparivano. Rigettata l’istanza di rinvio per impedimento della parte a comparire e per acquisire la motivazione della sentenza di assoluzione dai reati contestati in sede penale perchè il fatto non sussiste, il CDD irrogava la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività di avvocato per quattro anni.

4. Il Consiglio Nazionale Forense (CNF), investito del gravame da parte dell’avvocato C., per quanto qui ancora interessa, ha confermato la statuizione con la quale il CDD aveva ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione formulata dalla ricorrente ed ha del pari ritenuto che la richiesta di differimento avanzata dall’incolpata non fosse sorretta da un documentato legittimo impedimento.

4.1. Con riguardo alla prescrizione il CNF pur rilevando che la censura sul punto non era specifica ne ha comunque accertato l’infondatezza osservando che in relazione agli illeciti contestati, derivanti da una condotta che si era protratta e mantenuta nel tempo, il termine di a prescrizione decorreva dalla sua cessazione e comunque era stato interrotto ai sensi dell’art. 2945 c.c..

4.2. Quanto alla richiesta di differimento per legittimo impedimento, poi, la sentenza ha accertato che correttamente il CDD l’aveva disattesa rammentando che per differire la comparizione davanti al giudice disciplinare occorre che l’interessato dimostri, oltre al caso fortuito o alla forza maggiore, l’impedimento dal quale derivi un’assoluta impossibilità a comparire supportandolo, se del caso, con certificazione medica che lo attesti specificatamente.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto tempestivo ricorso l’avvocato C.C. articolando due motivi. Gli intimati non hanno opposto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il primo motivo di ricorso con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 247 del 2012, art. 56 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 è infondato.

6.1. Ai sensi della citata disposizione di legge l’azione disciplinare si prescrive nel termine di sei anni dal fatto (comma 1). La comunicazione all’iscritto della notizia dell’illecito, la notifica della decisione del CDD e della sentenza del CNF interrompono il decorso del termine. Da tali atti decorre un nuovo termine di cinque anni (ai sensi del comma 3 della citata disposizione). Pur considerando tali interruzioni, tuttavia, in nessun caso il termine può essere prolungato di oltre un quarto rispetto a quello di sei anni previsto dal comma 1 della disposizione. In sostanza la norma prevede un termine massimo di sette anni e sei mesi oltre il quale l’azione disciplinare si prescrive.

6.2. Tale disciplina, all’evidenza più favorevole rispetto a quella pregressa dettata dal R.D. n. 1578 del 1933, art. 51 non si applica alla fattispecie in esame.

6.3. La giurisprudenza di queste sezioni unite, superando un’iniziale incertezza (cfr. Cass. Sez.U. 27/10/2015 n. 21829) si è definitivamente orientata nel senso che il principio di retroattività della lex mitior non riguarda il termine di prescrizione, ma solo la fattispecie incriminatrice e la pena (cfr. tra le altre Cass. Sez. U 16/07/2015 n. 14905 e 18/04/2018n. 9558 e più recentemente Cass. Sez. U. 28/02/2020 n. 5596 e 08/07/2020n. 14233).

7. 2. In particolare nella sentenza n. 5596 del 2020 si è chiarito che il principio di diritto della sentenza di queste sezioni unite n. 9558 del 2018 è esclusivamente quello secondo cui le sanzioni disciplinari contenute nel codice deontologico forense hanno natura amministrativa con la conseguenza che, con riferimento al regime giuridico della prescrizione, non è applicabile lo jus superveniens, ove più favorevole all’incolpato.

7.3. Si è al riguardo evidenziato che si tratta di interpretazione della portata della disposizione, contenuta nella L. n. 247 del 2012, art. 65 secondo la quale “le norme contenute nel codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato”, che ne esclude l’estensione al regime della prescrizione.

7.4. Il punto di riferimento per l’individuazione del regime della prescrizione dell’azione disciplinare da applicare è e resta la commissione del fatto. E’ questo il momento da cui decorre la prescrizione quando il fatto è punibile solo in sede disciplinare (si vede al riguardo Cass. Sez. U. n. 14985 del 2005 cit. e 24/01/2020 n. 1609). 7.5. Orbene nel caso in esame il CNF ha accertato il carattere permanente dell’illecito e la sua cessazione nel novembre 2009. Si tratta di accertamento di fatto sia per quanto concerne la permanenza che con riguardo alla sua cessazione che non è sindacabile nella presente sede atteso che, ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6 ma già ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 51 può essere proposto ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge con la conseguenza che l’accertamento del fatto anche con riguardo alla cessazione della sua permanenza non può essere oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traduca in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito (cfr. Cass. Sez. U. 31/07/2018 n. 20344 e 02/12/2016n. 24647).

7.6. Poichè la prescrizione dell’azione disciplinare decorre dalla commissione del fatto o dalla cessazione della sua permanenza (Cass. n. 1822 del 2015 e n. 28159 del 2008) è a quel momento che si deve avere riguardo anche per stabilire la legge applicabile. Sostenere, come sembra fare la ricorrente, che il discrimine va individuato nell’inizio del procedimento disciplinare, con la comunicazione all’iscritto della notizia dell’illecito, equivarrebbe ad applicare il nuovo regime della prescrizione a termini già in corso.

7.7. In conclusione, essendo la nuova normativa entrata in vigore il 2 febbraio 2013, questa non può essere applicata al caso in esame. I fatti, secondo l’accertamento del CNF, si sono compiuti tra il 2008 ed il 2009 e dunque correttamente è stato applicato il regime prescrizionale previsto dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 51 ed allora vigente.

8. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 247 del 2012, art. 59, comma 2, lett. d), n. 3 per avere il CNF disatteso la censura che investiva il diniego da parte del CDD del rinvio, sebbene fosse stato documentato il legittimo impedimento a comparire dell’incolpata.

8.1. Sostiene la ricorrente che la sentenza sarebbe affetta da un vizio di motivazione così grave da ridondare in una violazione di legge in quanto, pur richiamando principi condivisibili, li ha poi erroneamente applicati al caso concreto avendo trascurato ogni riferimento alla patologia indicata nella certificazione medica inviata a sostegno del legittimo impedimento a comparire ed ogni valutazione del suo carattere impeditivo.

9. La censura non può essere accolta.

9.1. La doglianza è relativa al mancato rinvio della seduta del Consiglio Distrettuale di Disciplina per legittimo impedimento a comparire dell’incolpato ed attiene alla regolarità della discussione svoltasi nella fase amministrativa davanti all’organo locale al quale appartiene il potere disciplinare ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 50, comma 1.

9.2. Viene formulata come una violazione dell’art. 59, comma 2, lett. d), n. 3 ma deduce, sostanzialmente, un grave deficit motivazionale della sentenza del CNF che avrebbe, con motivazione apparente, disconosciuto l’esistenza del legittimo impedimento. In definitiva con la censura viene denunciato, pur sotto la rubrica di una violazione di legge, un vizio di inesistenza della motivazione.

9.3. Va allora ribadito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione ed è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. per tutte Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053).

9.4. D’altronde va ricordato che la censura con la quale si deduca la violazione delle disposizioni che regolano il procedimento disciplinare si sostanzia nella denuncia di una carenza motivazionale e non prospetta un vizio di natura processuale sindacabile dalle Sezioni Unite in sede di ricorso avverso la decisione del Consiglio Nazionale Forense. Le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli Distrettuali ed il relativo procedimento, infatti, hanno natura amministrativa e non giurisdizionale.

9.5. Fatte queste doverose premesse ritiene il Collegio che nella specie la sentenza, seppur in maniera sintetica ed essenziale, ha tuttavia chiarito le ragioni per le quali la decisione del CDD di non assecondare la richiesta di differimento era conforme ai principi dettati dalla giurisprudenza dello stesso Consiglio Nazionale e di questa Corte. Nel far propria la valutazione di merito in quella sede espressa dal Consiglio di Disciplina, il CNF ha dato conto di aver esaminato la censura formulata dalla ricorrente che si doleva della violazione del suo diritto di difesa.

9.6. Si tratta di motivazione che rinvia, quanto alla valutazione della inidoneità della documentazione depositata a sostegno della richiesta di differimento, alle argomentazioni della decisione del CDD che vengono riportate per estratto nel ricorso.

9.7. Ciò posto rileva il Collegio che laddove la motivazione della sentenza faccia rinvio ad altro provvedimento, nello specifico per qualificare la legittimità o meno dell’impedimento a comparire nel procedimento disciplinare da parte del professionista incolpato, per ravvisarsi una sua inesistenza è necessario che essa si risolva in un mero rinvio, in una acritica approvazione della precedente decisione.

9.8. Quando invece siano richiamati nella pronuncia i punti essenziali della motivazione della sentenza di primo grado e si confutino le censure formulate attraverso un percorso argomentativo ricavabile dall’integrazione della parte motiva delle due sentenze di merito allora il vizio denunciato non può essere ravvisato (cfr. Cass. 11/09/2018 n. 21978, ma già Cass. 19/07/2016 n. 14786, 11/05/2012 n. 7347, 02/02/2006 n. 2268, 04/03/2002n. 3066).

9.7. Peraltro la censura nel denunciare la mera apparenza della motivazione, non è prospettata con il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente che proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, e all’art. 369 c.p.c., n. 4, (cfr. Cass. 06/06/2017 n. 13982 e 18/06/2008, n. 16528).

9.8. Pertanto il motivo di ricorso, per le ragioni esposte, è in parte inammissibile ed in parte comunque infondato.

10. alle considerazioni esposte consegue, in conclusione, il rigetto del ricorso restando assorbito l’esame della domanda di sospensione della sentenza del CNF.

10.1. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità atteso che nessuno degli intimati ha opposto difese.

10.2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle sezioni unite, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

 

 

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