Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23742 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. II, 28/10/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 28/10/2020), n.23742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22058-2016 proposto da:

R.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L G

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato VALERIA COSENTINO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO TREGUA;

– ricorrente –

contro

B.V., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

FLAMINIO, 28, presso lo studio dell’avvocato MATTIA IOANNUCCI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SERGIO GENTILE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2616/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I. R.M.G. propone ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 2616/2016 della Corte d’appello di Milano, depositata il 23 giugno 2016.

Resite con controricorso B.V..

La Corte d’appello di Milano ha respinto il gravame avanzato da R.M.G. conto la decisione di primo grado pronunciata dal Tribunale di Milano il 19 aprile 2013, con cui era stata rigettata la querela di falso intentata dalla stessa R.M.G. avente ad oggetto la relata di notifica eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. su istanza dall’avvocato B.V. il 3 (o 13) agosto 2010 ed inerente a decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di pace di Milano. L’attrice aveva contestato la veridicità dell’affissione dell’avviso di deposito, documentata dall’ufficiale giudiziario come avvenuta il 30 luglio 2010, nonchè l’erronea attestazione in data 18 agosto 2010 da parte dell’agente postale della irreperibilità, invece che della temporanea assenza, della destinataria, ed ancora l’immissione nella cassetta postale dell’avviso di giacenza.

La Corte d’appello di Milano ha premesso che le parti avevano ritirato i loro fascicoli all’udienza del 15 aprile 2014, senza più restituirli, sicchè la decisione sul gravame è stata resa in base agli atti disponibili. I giudici di secondo grado hanno poi negato rilevanza probatoria determinante alla circostanza che nessuno dei condomini avesse avvisato R.M.G. dell’affissione dell’avviso; hanno escluso altresì la pertinenza dell’acquisizione del registro cronologico degli Ufficiali Giudiziari; hanno affermato che costituisse una irregolarità, e non una falsità, la circostanza che l’ufficiale postale avesse barrato la casella della irreperibilità anzichè quella della temporanea assenza; hanno sostenuto che comunque attenessero alla regolarità della notificazione, e non alla falsità della stessa, le contestazioni inerenti alla date di spedizione e ricezione della raccomandata.

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c.

La ricorrente ha depositato memoria in data 2 settembre 2020. Il controricorrente, a sua volta, ha depositato memoria in modalità telematica; non risultando attivato il servizio di deposito telematico di cui al D.L. 19 maggio 2020, n. 34, art. 221, comma 5 come sostituito dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, art. 1, comma 1, (subordinato a preventivo provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia), la memoria va comunque valutata in rapporto al giorno in cui risulta pervenuta in cancelleria (1 settembre 2020) (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 10/08/2017, n. 19988).

I controricorrenti hanno depositato memoria in modalità telematica; non risultando attivato il servizio di deposito telematico di cui al D.L. 19 maggio 2020, n. 34, art. 221, comma 5 come sostituito dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, art. 1, comma 1, (subordinato a preventivo provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia), la memoria va comunque valutata in rapporto al giorno in cui risulta pervenuta in cancelleria (1 settembre 2020) (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 10/08/2017, n. 19988).

II. Il primo motivo di ricorso di R.M.G. denuncia l’omesso esame di fatto decisivo, costituito dalle dichiarazioni rese dall’ufficiale giudiziario nel verbale di interrogatorio davanti al pubblico ministero, atto “prodotto in secondo grado ex art. 345 c.p.c.” e rinvenibile nel relativo fascicolo di parte. Tale documento comproverebbe la mancata affissione dell’avviso.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 140 c.p.c., avendo la sentenza impugnata sostenuto l’identità concettuale, agli effetti di tale norma, tra l’irreperibilità e la temporanea assenza del destinatario della notificazione.

Il terzo motivo di ricorso allega un ulteriore omesso esame di fatto decisivo, quanto alla mancata immissione nella cassetta postale dell’avviso di giacenza della raccomandata, nulla dicendo la sentenza impugnata in relazione al contenuto dei documenti 4, 5 e 6 chi si richiamano nella censura.

II.1. Il primo ed il terzo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente perchè accomunati da un identico profilo di inammissibilità, in quanto contengono censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata, agli effetti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4.

Entrambi i motivi lamentano l’omesso esame di documenti, in particolare il primo motivo con riguardo al verbale dell’interrogatorio davanti al pubblico ministero, che si dice “prodotto in secondo grado ex art. 345 c.p.c.”, ed il terzo motivo con riguardo ad interrogazioni effettuate sul sito internet di Poste Italiane. Questi documenti effettivamente non sono menzionati nella sentenza della Corte d’appello di Milano, ma essa spiega chiaramente che la decisione sul gravame è stata adottata senza avere disponibilità dei fascicoli delle parti, giacchè ritirati all’udienza del 15 aprile 2014 e non restituiti. Era proprio l’appellante R.M.G. tenuta a fornire la dimostrazione delle proprie censure, atteso che l’appello suppone una “revisio” fondata sulla denunzia di specifici “vizi” di ingiustizia o nullità della sentenza impugnata, individuati ai sensi dell’art. 342 c.p.c., sicchè chi propone appello, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, è tenuto a produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame, o comunque attivarsi perchè questi documenti possano essere sottoposti all’esame del giudice di appello (cfr. Cass. Sez. U, 08/02/2013, n. 3033).

Qualora, come emerge dalla sentenza della Corte di Milano, il fascicolo dell’appellante regolarmente presentato e poi ritirato non venga restituito entro il termine prescritto (artt. 169 c.p.c.), il giudice di secondo grado deve, così, decidere sul gravame in base delle prove e dei documenti legittimamente a sua disposizione, fra i quali sono da includere quelli contenuti nel fascicolo dell’appellato ed in quello di ufficio. La ricorrente, preso atto del mancato reperimento del fascicolo di parte al momento della decisione sull’appello, si limita ora a denunciare l’omesso esame di alcuni documenti ivi contenuti, senza neppure dedurre che si fosse trattato di propria incolpevole mancanza.

Peraltro, il ricorrente per cassazione, che, come nella specie, proponga questioni che implicano accertamenti di fatto in ordine al contenuto delle produzioni documentali, delle quali non si faccia menzione alcuna nella sentenza impugnata, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo di allegare l’avvenuta tempestiva deduzione delle questioni dinanzi al giudice di merito, nel rispetto dei termini di operatività delle preclusioni relative al “thema decidendum” previsti nell’art. 183 c.p.c., ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto (e cioè di specificare il “dato”, testuale o extratestuale, da cui essa risulti devoluta, nonchè il “come” e il “quando” tali questioni siano stata oggetto di discussione processuale tra le parti), onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito le questioni stesse. La ricorrente, invece, genericamente richiama, nel primo e nel terzo motivo, documenti che si assumono inseriti nei fascicoli di parte delle pregresse fasi di merito (come visto, non restituiti al momento della decisione sull’appello), senza comunque rispettare la previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ovvero senza indicare specificamente il “dato” in cui le circostanze comprovate dalla richiamata documentazione risultassero dedotte nei pregressi gradi di giudizio, in maniera da essere oggetto di discussione processuale tra le parti, ovvero senza specificare quali istanze la parte avesse rivolto dapprima al Tribunale e poi alla Corte d’Appello nei propri scritti difensivi per chiarire gli scopi dell’esibizione di quei documenti (arg. da Cass. Sez. 1, 24/12/2004, n. 23976). Il giudice ha, infatti, il potere – dovere di esaminare i documenti prodotti solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza, esponendo nei propri atti introduttivi, ovvero nelle memorie di definizione del “thema decidendum”, quali siano gli elementi di fatto e la ragioni di diritto comprovate dall’allegata documentazione.

II.2. Il secondo motivo di ricorso va poi dichiarato inammissibile, in quanto il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo di ricorso non offre elementi per mutare tale orientamento, con conseguente inammissibilità ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).

rigettato.

La Corte d’appello di Milano ha escluso che costituisse falsità l’attestazione dell’ufficiale postale circa l’irreperibilità (e non la temporanea assenza) del destinatario.

Ora, la relata di notifica, effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., fa fede fino a querela di falso degli adempimenti richiesti dalla citata disposizione: deposito presso la casa comunale; affissione di un avviso di detto deposito alla porta dell’abitazione dell’ufficio o dell’azienda del destinatario; comunicazione al medesimo della notizia del deposito mediante raccomandata con avviso di ricevimento (contenente i dati indicati dall’art. 48 disp. att. c.p.c.). Non rileva il mancato rinvenimento, da parte del notificando, dell’avviso affisso alla porta o l’omessa ricezione dell’avviso raccomandato, trattandosi di circostanze avulse dall’attività dell’ufficiale giudiziario. Il ricorso alle forme di notificazione di cui all’art. 140 c.p.c. presuppone, peraltro, che il luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario dell’atto sia stato esattamente individuato e che la copia da notificare non possa essere consegnata per mere difficoltà di ordine materiale, quali, appunto, la momentanea assenza, l’incapacità o il rifiuto delle persone indicate nel precedente art. 139 c.p.c. La notificazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c. non è, dunque, legittimamente eseguita soltanto quando vi siano elementi idonei ad evidenziare il verificarsi di un trasferimento del destinatario dell’atto in altro luogo sconosciuto, ossia dell’abbandono definitivo del luogo in cui la notifica deve essere eseguita (abitazione o sede). Resta perciò irrilevante, ai fini della dedotta falsità, distinguere tra irreperibilità o temporanea assenza, anche se prolungata, del destinatario da detto luogo (Cass. Sez. 1, 16/07/2004, n. 13183; Cass. Sez. 5, 15/05/2003, n. 7549). Compete peraltro al giudice del merito, in caso di contestazione ed ai fini della pronuncia sulla validità ed efficacia della notificazione, compiere l’accertamento sulla effettiva sussistenza delle condizioni dettate dall’art. 140 c.p.c., in base all’esame ed alla valutazione delle prove fornite dalle parti.

III. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile e la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

 

 

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