Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23742 del 14/11/2011

Cassazione civile sez. III, 14/11/2011, (ud. 05/10/2011, dep. 14/11/2011), n.23742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SEGRETO Antonio – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22388-2009 proposto da:

D.M. (OMISSIS), R.M.

(OMISSIS), M.G. (OMISSIS), M.

S. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 19, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

IOVANE, rappresentati e difesi dall’avvocato LANDI ALFONSO giusto

mandato in atti;

– ricorrenti –

contro

ITALFONDIARIO S.P.A. in qualità di procuratore di CASTELLO FINANCE

S.R.L. e recupero crediti di INTESA GESTIONE CREDITI S.P.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, V. AURELIANA, 2,

presso lo studio dell’avvocato PETRAGLIA ANTONIO UMBERTO, che la

rappresenta e difende giusto mandato in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 743/2008 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 04/09/2008 R.G.N. 432/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;

udito l’Avvocato IOLE VANNUCCI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso con l’accoglimento dei primi due

motivi del ricorso, inammissibilità’ del terzo motivo, in subordine

il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 22 marzo 1995 la Spa Banco Ambrosiano Veneto, successivamente Intesa Gestione Crediti Spa ed ora Italfondiario Spa, esponeva di essere creditrice, rispettivamente, nella misura di L. 67.899.493 e di L. 774.236,711, dei fratelli A. e M.B. e della s.r.l. Aziende Agricole Sabato Mellone. Aggiungeva che le sigg.re D.M. e R. M., consorti dei debitori M., avevano rilasciato fideiussioni personali a garanzia dei debiti suddetti; che D.M. in data 22.12.1994 con atto notarile aveva donato ai figli S. e M.G. un appartamento in (OMISSIS). Ciò premesso, il Banco Ambrosiano, deducendo che con tale donazione la D. avesse voluto sottrarre il bene alla garanzia dei creditori, conveniva in giudizio la D. stessa in proprio ed, unitamente al marito M.B., quale esercente la potestà sui figli minori, nonchè R.M., quale curatrice dei minori, al fine di sentir revocare la donazione ai sensi dell’art. 2901 c.c.. In esito al giudizio in cui si costituivano la D. e la R. contestando la fondatezza della domanda, il Tribunale adito accoglieva la domanda attrice, revocava la donazione, dichiarava inefficace la stessa nei confronti dell’istituto bancario. Avverso tale decisione proponevano appello la D., la R. nonchè M.S. e M.G., divenuti maggiorenni, ed in esito al giudizio, in cui si costituiva l’Intesa Gestione Crediti, la Corte di Appello di Salerno con sentenza depositata in data 4 settembre 2008 accoglieva per quanto di ragione l’impugnazione annullando la pronunzia di revoca della donazione e confermando nel resto la decisione. Avverso la detta sentenza la D., la R. nonchè M.S. e M.G. hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Resiste con controricorso l’Italfondiario.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ancor prima di esaminare le doglianze formulate dai ricorrenti, occorre soffermarsi su un’eccezione preliminare avanzata dalla resistente la quale ha eccepito l’inesistenza e/o nullità della notifica del ricorso per cassazione in quanto Intesa Gestione Crediti Spa, cui è stato notificato l’atto suddetto, sarebbe stato all’atto della notifica eseguita il 14 ottobre 2009 un soggetto inesistente, essendo stato incorporata da Banca Intesa Spa con atto di fusione in data 31.5.2006 a rogito notaio Carlo Marchetti. La notificazione del ricorso ad un soggetto giurìdico non più esistente sarebbe inesistente e, come tale, non sanabile mediante rinnovazione ex art. 164 c.p.c..

L’eccezione è infondata e non merita accoglimento alla luce del mutato quadro normativo di cui al nuovo disposto dell’art. 2054 bis c.c., secondo cui la società che risulta dalla fusione e quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione.

Ed infatti, il mancato riferimento all’estinzione, contenuto nel testo normativo precedente, in una all’espressa previsione di una prosecuzione nei rapporti processuali pendenti, ha indotto le Sezioni Unite della Cassazione ad affermare il principio che a seguito alla riforma del diritto societario (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, nè crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo. (Sez. Un. n. 2637/06). Tale orientamento deve ritenersi ormai consolidato ed è stato ribadito dalla successiva giurisprudenza di legittimità (tra le tante, v. anche in motivazione Sez. Un. n. 19509/2010).

Passando ad esaminare le ragioni di censura svolte dai ricorrenti ed al fine di inquadrarle più agevolmente, torna utile premettere che i primi due motivi di impugnazione concernono in particolare la ricorrente R.M. e sono articolati, rispettivamente, per violazione e falsa applicazione degli artt. 320 e 2697 cod. civ. e art. 167 c.p.c. e per violazione dell’art. 320 cod. civ., artt. 75 e 78 c.p.c. mentre l’ultimo motivo concerne la posizione degli altri tre ricorrenti ed è articolato attraverso due profili: il primo, per violazione degli artt. 2697, 2729 e 2901 c.c.; il secondo, fondato sull’erronea e carente motivazione. Ora, esaminando in particolare quest’ultimo motivo, mette conto di sottolineare che i ricorrenti hanno concluso i due profili di doglianza con un unico quesito di diritto così articolato: “piaccia all’Ecc.ma Corte adita, con riferimento alla fattispecie oggetto del presente ricorso stabilire se, a mente degli artt. 2697 e 2129 cod. civ., il giudice di merito, nel ricorrere alla prova per presunzioni semplici debba considerare, oltre agli elementi presuntivi prospettati dall’attore, anche quelli di diversa indicazione prospettati dalla parte convenuta e, ove questi risultino discordanti tra loro, debba rigettare la domanda attorea perchè non provata”. La doglianza, in entrambi i profili, è inammissibile. Ed invero, innanzitutto, deve rilevarsi l’inammissibilità del profilo, attinente al vizio motivazionale, non accompagnato dal prescritto momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008) . E ciò, alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui “in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinchè non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione. (S.U. 5624/09, Cass. 5471/08).

Inoltre, con riferimento specifico al secondo profilo, va osservato che la censura è inammissibile oltre che infondata. Ed invero, in primo luogo, l’inammissibilità discende dal rilievo che il quesito, in relazione alla dedotta violazione di legge, non risulta formulato in maniera compiuta ed autosufficiente, essendosi i ricorrenti ben guardati dall’indicare espressamente gli elementi presuntivi prospettati dalla originaria parte convenuta, che sarebbero stati trascurati dai giudici di merito. E ciò, in quanto la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamene compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazioni del ricorrente, la regola da applicare” (S.U. n. 3519/2008, Cass. 10875/08). Giova aggiungere che l’apprezzamento del giudice del merito circa l’esistenza degli elementi assunti a fonte della presunzione, la loro rispondenza ai requisiti di idoneità, gravità e concordanza richiesti dalla legge e circa lo stesso ricorso a tale mezzo di prova non è sindacabile in sede di legittimità, qualora la motivazione adottata come nella specie appaia logicamente coerente, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni. (cfr Cass. 8300/08, 26841/08). Pertanto, deve ritenersi inammissibile la doglianza mediante la quale parte ricorrente, pur deducendo formalmente una violazione di legge, avanza, nella sostanza delle cose, un’ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

Infine, il profilo di doglianza è altresì infondato alla luce dell’orientamento di questa Corte, secondo cui sia l’azione revocatoria ordinaria, sia la cd. “revocatoria risarcitoria” (e cioè la domanda volta ad ottenere la condanna al risarcimento del terzo che, dopo avere acquistato un bene dal debitore altrui, lo abbia rivenduto a terzi, sottraendolo così all’azione revocatoria) possono essere proposte non solo da chi al momento dell’atto dispositivo era già titolare di un credito certo ed esigibile, ma anche dal titolare di un credito contestato o litigioso. Ne consegue che in quest’ultima ipotesi, quand1anche l’accertamento definitivo del credito avvenga in sede giudiziale successivamente alla stipula dell’atto pregiudizievole per il creditore, quest’ultimo per ottenere l’accoglimento della propria domanda revocatoria deve provare unicamente la “scientia fraudìs” del terzo (anche mediante presunzioni) e non anche il “consilium fraudis”. (Cass. civ., Sez. 3, 27/01/2009, n. 1968).

Passando infine all’esame delle doglianze avanzate dalla R., la cui trattazione è stata posticipata per comodità di trattazione, va osservato che con la prima doglianza, la ricorrente ha lamentato l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui la Corte di secondo grado ha disatteso per carenza probatoria il motivo di appello, concernente il rigetto dell’eccezione – di difetto di legittimazione passiva – formulata dalla stessa R., la quale in primo grado aveva dedotto di essere stata nominata curatrice dei minori esclusivamente per assisterli nella rappresentanza in giudizio. Ora, essendo stata convenuta in giudizio quale curatrice speciale dei minori ed essendo pacifica tale qualità, non vi era ragione – così in sintesi la conclusione – di darne la prova documentale, anche perchè, all’atto della costituzione in giudizio, la banca attrice aveva già depositato un allegato all’atto di donazione, contenente il ricorso al giudice tutelare di Eboli in cui veniva chiesta la nomina di un curatore speciale perchè accettasse la donazione della piena proprietà degli immobili in nome e per conto dei minori.

Inoltre – ed in tale rilievo si sostanzia la successiva doglianza – poichè il provvedimento del giudice tutelare – allegato A al rogito notarile – aveva nominato la R. curatrice speciale al solo fine di intervenire nell’atto e di accettare la donazione degli immobili nell’interesse dei minori, ove l’avesse ritenuto, la Corte territoriale non avrebbe dovuto pertanto pronunciare la sua soccombenza e condannarla alla refusione delle spese in un giudizio, nel quale era stata illegittimamente convenuta.

I motivi in questione possono essere trattati congiuntamente, proponendo profili di censura intimamente connessi tra loro. A riguardo, mette conto di sottolineare che la R., pur fondando le sue censure su un decreto del giudice tutelare di Eboli del 19.11.1994, dal quale si evincerebbe che era stata autorizzata ad intervenire nell’atto di donazione solo quale curatrice speciale dei minori, non ha assolto l’onere della specifica indicazione del documento sul quale si fonda il ricorso, omettendo di indicare dove era depositato il predetto decreto (agli atti la Corte di secondo grado ha dichiarato che era stato depositato un diverso decreto del 10.3.1994). E ciò, benchè, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esiga che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto.

Ed invero, indicare un documento significa, necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove è rintracciabile nel processo. (cfr. Cass. ord. 29279/08). Inoltre, le Sezioni Unite hanno ribadito che la specifica indicazione richiesta dalla novella, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (Sez. Un. 28547/08, 23019/07).

L’inammissibilità discende inoltre dall’ulteriore considerazione che la ricorrente ha completamente omesso di riportare, nel ricorso per cassazione, il contenuto del decreto del 19.11.1994, venendo meno in tal modo all’osservanza dell’onere di autosufficienza dei ricorsi per cassazione. E ciò, in quanto il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non comporta che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli e trascriverne, all’occorrenza, il contenuto al fine di consentire a questa Corte il loro esame e di valutarne la rilevanza ai fini della decisione.

Sulla scorta di tutte le pregresse considerazioni deve essere pertanto dichiarata l’inammissibilità delle doglianze in esame. Alla stregua di tutte le superiori considerazioni, il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2011

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