Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23742 del 01/10/2018

Cassazione civile sez. II, 01/10/2018, (ud. 05/07/2018, dep. 01/10/2018), n.23742

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11951-2016 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO

PALLAVICINI 16, presso lo studio dell’avvocato MARANO REBEK,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE SPARANO;

– ricorrente –

contro

S.S., S.A., G.R.,

S.G., rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALE PIZZUTI;

– controricorrenti –

e contro

C.C., CU.CL., F.A., E.R.S.A.C. ORA

GIUNTA REGIONALE DELLA CAMPANIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 88/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 11/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2018 dal Consigliere GUIDO FEDERICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’inammissibilità o, in

subordine, per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato S.G., difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato TAMPONI Michele, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato PIZZUTI Pasquale difensore dei resistenti che ha

depositato una cartolina, ed ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Con citazione notificata in data 11.11.1986, S.P. conveniva in giudizio D.M.R., G., A., Al. e F.N., quali eredi di Fr.Gi., per sentir dichiarare che il fondo n. (OMISSIS) sito in (OMISSIS), gli era stato venduto, al prezzo di Lire 90.000.000, in forza di una scrittura privata conclusa l’11 febbraio 1982 con il loro dante causa, il quale era divenuto proprietario del fondo col pagamento della quindicesima annualità del prezzo L. n. 386 del 1976, ex art. 10.

I convenuti, costituitisi, resistevano alla domanda, deducendo il mancato integrale versamento del prezzo ed, in subordine, la nullità o annullabilità del contratto per la sussistenza del vincolo di inalienabilità ed indivisibilità del podere.

Con separato giudizio, poi riunito al primo, F.A. contestava la domanda e chiedeva la restituzione del fondo, qualificandosi come unico erede avente i requisiti per l’assegnazione del fondo medesimo.

Indi, disposta l’integrazione del contraddittorio nel confronti dell’ERSAC (Ente Regionale per lo Sviluppo dell’Agricoltura in Campania, ora Giunta Regionale della Campania), con sentenza non definitiva n. 802/2005, depositata il 28 aprile 2005, il Tribunale di Salerno cosi provvedeva:

affermava l’annullabilità assoluta del contratto del 1982 ai sensi della L. n. 379 del 1967 e L. n. 386 del 1976, stante il vincolo di inalienabilità L. n. 379 del 1967, ex art. 10, comma 2 vincolo ben conosciuto dalle parti al momento della conclusione della scrittura;

per l’effetto rigettava la domanda, in quanto fondata su contratto annullabile, e rimetteva la causa in istruttoria, rinviando alla sentenza definitiva per la decisione sulle ulteriori domande.

Avverso detta sentenza proponevano appello gli eredi S. e la Corte di Appello di Salerno, con la sentenza n. 461/2010 confermava integralmente la sentenza di primo grado, rilevando che, ai sensi dell’art. 1442 c.c., comma 4, l’invalidità assoluta prevista dalla normativa speciale poteva sempre essere eccepita, ancorchè fosse prescritta la relativa azione e che l’acquirente del fondo alla prima scadenza non poteva far valere alcun diritto, nemmeno quello volto alla mera trascrivibilità dell’atto, mediante una sentenza che a ciò lo abiliti.

Tale pronuncia diventava definitiva a seguito della sentenza di questa Corte n. 10577/12 che dichiarava inammissibile il ricorso per cassazione.

Con sentenza definitiva n. 690/13 il Tribunale di Salerno, decidendo sulle ulteriori domande relative al rimborso per i miglioramenti arrecati al fondo proposta dagli eredi S. ed alla restituzione del bene ed al pagamento dei conguagli in denaro, rigettava la domanda di rimborso dei miglioramenti; condannava gli eredi S. alla restituzione del fondo ed al pagamento in favore degli eredi F. di 69.722,00 Euro, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi; condannava gli eredi F. al pagamento in favore degli eredi S. di 46.481,12 Euro oltre a rivalutazione monetaria ed interessi.

Avverso detta sentenza proponevano appello G., A., S.S. e G.R. mentre F.A. resisteva ed impugnava a sua volta la sentenza con separato atto di appello.

La Corte d’Appello di Salerno, disposta la riunione delle impugnazioni ex art.335 cpc, con la sentenza n. 88/2016 ha accolto l’appello dei signori S.- G. ed ha rigettato quello di F.A..

Il giudice di appello ha affermato che, non essendo stata formulata domanda restitutoria da parte degli eredi F., ad eccezione di F.A., la Corte non poteva pronunciarsi al riguardo, nè poteva giudicare sulla domanda di sub-ingresso avanzata da quest’ultimo. poichè tale domanda avrebbe dovuto essere introdotta con rito camerale e con l’intervento del P.M.

Avverso detta sentenza propone ricorso in cassazione, articolato in tre motivi, F.A..

Resistono con controricorso G., A., S.S. e G.R..

F.A., C. e Cu.Cl., quali eredi di F.N. e l’Ersac non hanno svolto nel presente giudizio attività difensiva.

In prossimità dell’odierna udienza F.A. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza ex art. 383 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per non avere la Corte d’Appello rilevato che il Tribunale di Salerno nella sentenza n. 690/13 aveva deciso in assenza del fascicolo di ufficio della causa 3312/1994, promossa dal ricorrente in relazione ad atti di ignoti, costituenti i reati di falso e frode processuale.

Con il secondo motivo di ricorso si censura la violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per non aver la Corte d’Appello valutato i fatti, documenti e reati scoperti in corso di causa e provati dalla documentazione prodotta.

I motivi di ricorso che in quanto connessi possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili per molteplici profili.

Si osserva anzitutto la novità delle questioni sollevate, che non risultano prospettate nel giudizi di appello, onde nessuna pronunzia risulta emessa dalla Corte territoriale.

Ciò comporta che trattandosi di questione nuova, il relativo scrutinio in sede di legittimità non è ammissibile.

E’ infatti giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 4787/2012).

Come questa Corte ha precisato, inoltre, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 2140/2006).

Va inoltre rilevata la genericità di ambedue i motivi ed, avuto riguardo al necessario requisito di autosufficienza, si osserva che non viene riportato nel corpo del ricorso il contenuto degli atti e documenti di cui si lamenta l’omesso esame, nè viene chiarita in modo puntuale la loro rilevanza in relazione a specifiche statuizioni della sentenza impugnata.

Ed invero, come questa Corte ha già affermato, il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed altresì a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato, mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione. (Cass. 14784/2015).

Si rileva infine l’inammissibilità dei motivi, per difetto di decisività. Le censure non colgono infatti la ratio della pronuncia impugnata, fondata sul vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado, in quanto nessuno degli eredi F. aveva formulato domanda di restituzione del bene, mentre l’odierno ricorrente che pure aveva proposto tale domanda non aveva individuato quale causa petendi la pronuncia di annullamento, nè la qualità di erede di Fr.Gi., bensì la propria situzione di titolare del diritto al subingresso nel rapporto di assegnazione.

Con il terzo motivo di ricorso si censura l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè la violazione dell’art. 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la Corte omesso di considerare gli effetti derivanti dal passaggio in giudicato della sentenza n. 10557/2012 della Suprema Corte.

Pure tale motivo è inammissibile.

Quanto all’omesso esame dei “gravi fatti documentati in relazione alla causa n. 3312/1994”, promossa dal ricorrente, si rilevano i medesi rilievi di inammissibilità già evidenziati con riferimento ai motivi precedenti, avuto riguardo alla novità della questione ed al difetto di autosufficienza e di decisività.

Del pari inammissibile la censura di violazione dell’art. 324 c.p.c., in quanto non coglie la ratio della sentenza, che non ha in alcun modo contraddetto la statuizione, coperta dal giudicato interno, di annullamento del contratto, rilevando peraltro l’ultra petizione in ordine alla distinta, seppur accessoria, domanda di restituzione del bene.

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio in favore di G., A. e S.S. e di G.R., che liquida in complessivi 3.200,00 Euro, di cui 200,00 per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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