Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23740 del 10/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 10/10/2017, (ud. 12/09/2017, dep.10/10/2017),  n. 23740

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26116-2016 proposto da:

CASSA PREVIDENZA AZIENDALE PERSONALE MONTE PASCHI SIENA,

rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA GIULIANI;

– ricorrente –

contro

U.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. GIOVANNI IN

LATERANO, 60, presso lo studio dell’avvocato SIMONA SOCCORSI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 19405/2016 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 18/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/09/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Cassa di Previdenza Aziendale per il Personale del Monte dei Paschi di Siena ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 19405/2016 del 18 ottobre 2016.

Resiste con controricorso U.C..

Il Tribunale di Roma, in riforma della decisione di primo grado resa dal Giudice di Pace di Roma in data 21 maggio 2014, ha rigettato la domanda avanzata dalla stessa Cassa di Previdenza Aziendale per il Personale del Monte dei Paschi di Siena nei confronti di U.C., volta al pagamento della somma di Euro 3.000,00, oltre accessori, a titolo di ripetizione della quota di partecipazione agli oneri condominiali dell’edificio di (OMISSIS). Il Tribunale ha evidenziato come la Cassa di Previdenza avesse dedotto di agire non quale amministratore del condominio, nè in base a delibera dell’assemblea, quanto piuttosto in base ad un contratto che la chiamava ad anticipare le spese occorrenti per la conservazione delle parti comuni prima della costituzione degli organi di gestione. Tuttavia, afferma la sentenza impugnata, alcuna clausola di tale contenuto esisteva nè nel contratto di vendita nè nel regolamento di condominio prodotti; e neppure, prosegue il Tribunale, sussistevano le condizioni di urgenza di cui all’art. 1134 c.c.. Per di più, la Cassa di Previdenza non avrebbe neppure documentato le spese indicate come anticipate.

L’unico motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione, l’errata e/o falsa interpretazione degli artt. 1100 e 1134 c.c. e dell’art. 63 disp. att. c.c., nonchè l’errata valutazione delle risultanze istruttorie. La ricorrente assume che il Tribunale avrebbe sbagliato a ritenere applicabile l’art. 1134 c.c., essendo piuttosto applicabile nella specie l’art. 1110 c.c., in quanto ancora nessun condominio si era concretamente formato nell’edificio di (OMISSIS) e non era perciò applicabile la disciplina condominiale. Quanto all’art. 1110 c.c., a dire della ricorrente emergerebbero i requisiti della necessità delle spese e della trascuranza degli altri proprietari. Si assume che la ricorrente Cassa di Previdenza fosse intestataria delle utenze di (OMISSIS), e perciò poi ripartiva le spese fra i condomini secondo quanto stabilito dal regolamento condominiale allegato al contratto di vendita stipulato con l’ U., in clausola ignorata dal Tribunale.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

La ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 c.p.c..

Il motivo di ricorso reca, invero, plurimi profili di inammissibilità.

La ricorrente sollecita questa Corte a prescegliere diverse qualificazioni giuridiche della fattispecie o valutare circostanze di cui neppur vi è menzione nella sentenza impugnata (nè la ricorrente deduce in quale atto del giudizio di merito avesse allegato tali questioni, come impone l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), quali il momento in cui si sarebbe “formato” il condominio nell’edificio di (OMISSIS), o a chi fossero intestate le utenze di (OMISSIS). Egualmente inammissibile è l’invocazione di una diversa valutazione delle risultanze probatorie, la quale non è nemmeno riferibile al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, in quanto una siffatta censura non si risolve nella prospettazione di un vizio di omesso esame di un fatto decisivo. Inoltre, la ricorrente, nel lamentare l’omessa od erronea valutazione di una clausola del regolamento condominiale allegato al contratto di vendita stipulato con l’ U., non adempie l’onere – imposto sempre dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di indicarne il contenuto (trascrivendo il documento o riassumendolo nel ricorso).

Va infine osservato che il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in ordine all’applicabilità dell’art. 1134 c.c., in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, e l’esame del motivo non offre elementi per mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1), (Cass. Sez. U, 21/03/2017, n. 7155).

La censura propende per l’applicazione, nel caso di specie, dell’art. 1110 c.c., piuttosto che dell’art. 1134 c.c., non essendosi ancora “concretamente formato” alcun condominio nell’edificio di (OMISSIS). Questa Corte ha però costantemente spiegato come non occorra, ai fini della costituzione del condominio, una manifestazione di volontà dei partecipanti diretta a produrre l’effetto dell’applicazione degli artt. 1117 c.c. e segg.. La situazione di condominio edilizio si ha per costituita nel momento stesso in cui l’originario unico proprietario opera il frazionamento della proprietà di un edificio, trasferendo una o alcune unità immobiliari ad altri soggetti, e così determinando la presunzione legale di cui all’art. 1117 c.c., con riguardo alle parti del fabbricato che, per ubicazione e struttura, siano – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 2, 18/12/2014, n. 26766). Costituitosi, pertanto, da tale momento ex facto il condominio, si applica la relativa disciplina codicistica, ivi compreso l’art. 1134 c.c., il quale, a differenza dell’art. 1110 c.c., che opera in materia di comunione ordinaria, regola il rimborso delle spese di gestione delle parti comuni sostenute dal partecipante non alla mera trascuranza degli altri comunisti, quanto al diverso e più stringente presupposto dell’urgenza, intendendo la legge trattare nel condominio con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nell’amministrazione dei beni in comproprietà. Ne discende che, instaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, situazione che si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 c.c. (così Cass. Sez. U, 31/01/2006, n. 2046; Cass. Sez. 2, 12/10/2011, n. 21015). Tale requisito dell’urgenza (neppure prospettato dalla ricorrente a sostegno della sua pretesa) condiziona il diritto al rimborso del condomino gestore, e si spiega come dimostrazione che le spese anticipate dal singolo fossero indispensabili per evitare un possibile nocumento a sè, a terzi od alla cosa comune, e dovessero essere eseguite senza ritardo e senza possibilità di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini (da ultimo, Cass. Sez. 6-2, 08/06/2017, n. 14326).

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, e la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 12 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2017

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