Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23730 del 22/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 22/11/2016, (ud. 21/10/2016, dep. 22/11/2016), n.23730

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – rel. Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6759/2015 proposto da:

FALLIMENTO SOCIETA’ (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore Avv.

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA M. DIONIGI 57,

presso lo studio dell’avvocato CARLO CARBONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ELISABETTA NICOLINI giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE MARCHE;

– intimata –

Nonché da:

REGIONE MARCHE, in persona del Presidente pro tempore della Giunta

Regionale, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA BARBERINI 12,

presso lo studio dell’avvocato STEFANO GRASSI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAOLO COSTANZI giusta procura a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

FALLIMENTO SOCIETA’ (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore Avv.

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA M. DIONIGI 57,

presso lo studio dell’avvocato CARLO CARBONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ELISABETTA NICOLINI giusta procura in calce al ricorso

principale;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 659/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 01/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2016 dal Consigliere Dott. SERGIO DI AMATO;

udito l’Avvocato ELISABETTA NICOLINI;

udito l’Avvocato STEFANO GRASSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale; accoglimento dell’incidentale.

Fatto

L’amministrazione fallimentare della società (OMISSIS) s.r.l. conveniva in giudizio, davanti al tribunale di Ancona, la regione Marche chiedendo che ne fosse accertata la responsabilità, ex art. 2043 c.c., per l’emanazione della L.R. n. 25 del 2011, dettata in materia di impianti fissi di radiocomunicazione con finalità di tutela ambientale e sanitaria della popolazione, successivamente dichiarata incostituzionale con sentenza n. 307 del 2003 della Consulta, in particolare all’art. 3, commi 4 e 6, e art. 7, comma 3. Esponeva di essere stata una florida azienda di riferimento per attività di installazione e collaudo di apparecchi di telefonia fissa e mobile, e di aver subito, a causa delle norme restrittive poi caducate, un repentino arresto dell’attività produttiva, con conseguente perdita di commesse e rilevanti pregiudizi economici.

All’esito della costituzione della regione Marche, che contestava la configurabilità di una responsabilità per attività legislativa in uno alla sussistenza del nesso causale prospettato, il tribunale accoglieva la domanda.

La corte di appello di Ancona, investita del gravame di merito, principale e incidentale in ordine alla quantificazione del danno, riformava la decisione di prime cure pur confermando la sussistenza di una responsabilità dell’ente regionale ad instar di quella dello Stato per mancata o inesatta trasposizione di direttive dell’Unione Europea. Rilevava, in senso ostativo: la mancanza di un diritto tutelabile essendo, la normativa in parola, diretta a regolare l’attività di compagnie telefoniche e non quella di costruzione dei relativi impianti; il difetto di caratterizzazione, per carenza di chiarezza, della norma statale sovraordinata, violata dal legislatore regionale; la scusabilità dell’errore di diritto in cui era incorsa la regione alla luce della circostanza che diversi enti territoriali avevano ritenuto possibile dettare prescrizioni più restrittive di quelle poste a livello statale, e tenuto conto, infine, della finalità, perseguita, di salvaguardia del diritto alla salute.

Ricorre il fallimento della (OMISSIS) proponendo sei motivi.

Resiste con controricorso la regione Marche che interpone altresì un motivo di ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, o in subordine la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa qualificazione della fattispecie, non risultando indicato se la responsabilità sia stata ritenuta, sia pure in astratto, a titolo aquiliano ovvero contrattuale da obbligazione ex lege, o altro ancora.

Con il secondo e terzo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 2043 c.c., “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, o in subordine n. 4”, per essere stata negata, senza alcuna motivazione, la sussistenza di un diritto tutelabile, invece da individuare in quello al libero esercizio dell’iniziativa economica imprenditoriale; e per essere stata adottata una doppia e contraddittoria ratio decidendi, risultando esaminata e affermata l’insussistenza della colpa della regione dopo essere stata esclusa quella, invece assorbente, della situazione giuridica soggettiva suscettibile, in tesi, della richiesta tutela.

Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza o in subordine la violazione o falsa applicazione della legge, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, e art. 2043 c.c., per aver applicato i “criteri comunitari” per la verifica della sussistenza della suddetta colpa, in luogo di quelli enucleabili direttamente dall’art. 2043 c.c..

Con il quinto motivo si deduce la nullità della sentenza o in subordine l’omesso esame di un fatto decisivo, per aver escluso la violazione manifesta e grave del legislatore regionale affermando la scusabilità dell’errore di diritto e la non intenzionalità della violazione posta in essere, attesa, al contrario, l’univoca perentorietà della pronuncia n. 307 del 2003 della Corte costituzionale, in uno alla consapevolezza emergente dai lavori dell’assemblea legislativa dell’ente che aveva proceduto, come documentato in fase di merito, senza adeguata istruttoria e sulla base di mere congetture legate alla sensibilità locale.

Con l’ultimo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, ovvero in subordine la nullità della sentenza, per aver illogicamente ritenuto l’inapplicabilità dell’art. 28 Cost., a fronte della statuita configurabilità di una responsabilità dell’ente per l’attività legislativa ad esso riferibile.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale la regione Marche deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 28 e 122 Cost., e art. 77 Cost., comma 2, per non aver escluso la configurabilità di una responsabilità dell’ente per un’attività libera quale quella politico – legislativa, non comparabile con la ricostruzione concernente la cornice comunitaria innervata, quest’ultima, dalla deroga al principio d’irresponsabilità da illecito legislativo in ragione della parziale rinuncia alla sovranità posta in essere dallo Stato.

2. I motivi di ricorso principale vanno esaminati congiuntamente. Essi sono infondati, con assorbimento del ricorso incidentale.

La questione posta, in quanto sottesa a tutti i motivi in esame, riguarda la possibilità di configurare una responsabilità dell’ente regione per l’adozione, da parte della propria assemblea competente, di una legge regionale contenente alcune norme successivamente dichiarate incostituzionali, nell’ipotesi per violazione dell’art. 117, comma 2 lett. s), e comma 3, della Carta, perché invasive della competenza legislativa statale, con riferimento, più in particolare, alla L. n. 36 del 2001, art. 4, comma 1, lett. a.

Secondo la prospettazione fatta propria anche dalla decisione di merito qui gravata, la descritta fattispecie sarebbe sussumibile nel medesimo schema ricostruttivo della violazione, da parte del legislatore statale, dei vincoli derivanti dall’ordinamento sovranazionale comunitario, con ripetibilità dei presupposti di responsabilità quali individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenze 10 novembre 1991 “Francovich”, cause riunite C-6/90 e C-9/90, e soprattutto 5 marzo 1996 “Brasserie du pecheur” e “Factortame” cause riunite C-46/93 e V-48/93). In entrambe le ipotesi, infatti, vi sarebbe violazione della fonte sovraordinata, ferma la verifica, a valle, degli altri presupposti risarcitori.

La tesi non può essere condivisa.

Come noto, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, enucleata per il caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie, dalla suddetta violazione del diritto dell’Unione Europea sorge il diritto degli interessati alla rifusione dei danni che va ricondotto, anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria, allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario, connotato da primazia rispetto a quello del singolo Stato membro, ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno (Sez. U., n. 9147 del 2009, Rv. 607428, e succ. conf. quale Sez. 6-3, n. 307 del 2014, Rv.629469).

L’arresto delle menzionate Sezioni Unite ha prestato adesione all’orientamento (allora minoritario) che escludeva – come appunto deve escludersi – che alle norme dell’ordinamento comunitario “possa farsi derivare, nell’ordinamento italiano, il diritto soggettivo del singolo all’esercizio del potere legislativo – che è libero nei fini e sottratto perciò a qualsiasi sindacato giurisdizionale – e che possa comunque qualificarsi in termini di illecito da imputare allo Stato-persona, ai sensi dell’art. 2043 c.c., una determinata conformazione dello stato-ordinamento” (Sez. L, n. 10617 del 1995, Rv. 494208). Di qui la configurazione dell’obbligazione indennitaria legale.

La ricostruzione in parola, pertanto, prende le mosse proprio dall’esclusione di una responsabilità per atti legislativi, e ne individua altra diversamente fondata sulla sovraordinazione gerarchica tra ordinamenti prima che tra fonti (al netto di valvole ermeneutiche di salvaguardia quali quelle sottese alla c.d. teoria dei controlimiti, riferite alla tutela dei diritti ritenuti imprescindibili per l’assetto costituzionale nazionale).

Dal punto di vista del diritto comunitario, cioè, l’inesatta azione ovvero l’omissione legislativa sono un fatto antigiuridico, mentre tali non sono per l’ordinamento nazionale, in cui è approntata solo la tutela data dal giudizio di costituzionalità, per le norme legislative ad esso soggette.

La fattispecie qui in esame, al contrario, non permette di individuare la suddetta distinzione tra ordinamenti, tali non potendo considerarsi, dal punto di vista dell’unitario ordinamento nazionale, quello derivante dalle leggi statali e quello enucleabile dalla legislazione regionale.

Dal che consegue che, a fronte della libertà della funzione politica legislativa (art. 68 Cost., comma 1, art. 122 Cost., comma 4), non è ravvisabile un’ingiustizia che possa qualificare il danno allegato in termini di illecito, e arrivare a fondare il diritto al suo risarcimento quale esercitato nel presente giudizio.

E’ vero che gli studi, non solo italiani, in cui è stato partitamente affrontato il tema della responsabilità (ex art. 2043 c.c.) da atto legislativo (che in tesi potrebbe essere, come logico, anche quello statale di cui poi sia risultata accertata l’illegittimità costituzionale) ha ritenuto di poter trarre sollecitazioni espansive dalle fattispecie relative ai rapporti con gli ordinamenti sovranazionali, ma si tratta di riflessioni che si pongono esse stesse in termini, allo stato delle norme positive, di pura problematicità speculativa.

Sull’insindacabilità dell’attività esplicativa di funzioni legislative non si registrano segnali difformi nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. U., n. 10416 del 2014, Rv. 630492, e, con riferimento anche qui incidentale all’atto da qualificare, per l’ordinamento, come politico, Sez. U., n. 10319 del 2016, Rv. 639675).

Ne deriva l’infondatezza del ricorso principale, con assorbimento di tutti gli altri profili.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale, condanna il fallimento al rimborso delle spese di lite liquidate in Euro 23.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2016

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