Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2373 del 27/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 27/01/2022, (ud. 18/11/2021, dep. 27/01/2022), n.2373

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 34730/2018 R.G. proposto da:

Comune di Ortona, rappresentato e difeso dall’Avv. Stefano Labbate,

con domicilio eletto in Vasto (CH), Corso Europa n. 15, presso lo

studio, giusta procura in calce al controricorso.

– ricorrente –

contro

Energy Pak s.r.l., con sede in (OMISSIS).

– intimata –

avverso la sentenza n. 438/V/2018 della Commissione tributaria

regionale per l’Abruzzo, depositata l’8/5/2018.

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Oronzo De Masi nella

camera di consiglio del 18 novembre 2021, tenuta con modalità da

remoto.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Il Comune di Ortona notificava a Energy Pak s.r.l. avviso di accertamento Tares, relativo all’anno 2013, contestando il mancato pagamento del tributo comunale annuale sui rifiuti e sui servizi ed irrogando nel contempo la relativa sanzione.

La società contribuente impugnava tale avviso, dinanzi alla C.T.P. di Chieti, chiedendone l’annullamento per assenza di rifiuti, relativamente alla superficie oggetto di lavorazione del legno, in quanto i residui della predetta lavorazione (segatura, trucioli e tozzetti di legno), costituenti sottoprodotti, erano ceduti a terzi dietro pagamento di un corrispettivo.

Si costituiva il Comune, eccependo l’intervenuta assimilazione dei rifiuti speciali prodotti dalla contribuente a quelli urbani, per cui anche le aree produttive di scarti di legno erano tassabili. Deduceva, altresì, che la fuoriuscita del prodotto dalla categoria rifiuto, nell’ottica della contribuente, finisce per dipendere non dalle intrinseche ed obiettive qualità dello stesso, ma da un’operazione esercitata di volta in volta dal produttore, allorché ne decide la vendita.

La Commissione adita, con la sentenza n. 275/2017, accoglieva integralmente il ricorso della contribuente.

Avverso tale decisione, il Comune di Ortona proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo che, con la sentenza n. 438/V/2018, depositata il giorno 8/5/2018, in riforma parziale della sentenza di primo grado accoglieva il gravame limitatamente alla superficie di mq. 326,40 destinata ad uffici e magazzini, confermando invece l’annullamento dell’atto impositivo in riferimento alla superficie di mq. 1.836,40 destinata all’attività produttiva della lavorazione del legno, sul presupposto che la documentazione presentata dalla ricorrente, attestante la rivendita a terzi del materiale di scarto, aveva obiettivamente dimostrato la mancata produzione di rifiuti nei suddetti locali.

Avverso tale sentenza, il Comune propone ricorso per cassazione sorretto da un motivo.

L’intimata società contribuente non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con l’unico motivo d’impugnazione il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184-bis, commi 1 e 2, e del D.M. 13 ottobre 2016, n. 264 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poiché la C.T.R. ha ritenuto che i rifiuti prodotti dalla contribuente fossero riconducibili alla categoria “sottoprodotto” sulla base della prova di utilizzo degli scarti della lavorazione del legno (trucioli, segature, tozzetti e stecche) facendone commercio con la vendita diretta a terzi, come legna da ardere e lettiere per animali, in tal modo superando la presunzione di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, non essendo sufficiente la produzione in giudizio delle relative fatture.

La censura è fondata e merita accoglimento.

I secondi giudici fondano l’assenza del presupposto per l’applicazione del tributo (Tares) sulla circostanza, dimostrata dalle fatture versate in atti, che la società Energy Pak non genererebbe rifiuti nei locali ove si lavora il legno, in quanto gli scarti di lavorazione costituirebbero dei residui venduti a soggetti terzi come legna da ardere e materiale delle lettiere per animali.

Ad avviso dell’ente impositore tali conclusioni sono in aperto contrasto con il disposto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, in forza del quale sussiste una generale presunzione di produzione dei rifiuti sulle superfici detenute e, quindi, una generale presunzione di tassabilità di queste ultime, atteso che la debenza del tributo è fondata sull’idoneità (astratta) a produrre rifiuti.

Il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 14 convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, che ha istituito il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, al comma 3, si prevede che “Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani e non sulla produzione concreta degli stessi” ed al comma 1, che “Nella determinazione della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”.

Il Tares ha sostituito, dunque, per l’anno 2013, i preesistenti tributi dovuti ai Comuni dai cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria e, data la comune natura tributaria, sono estensibili gli orientamenti di legittimità formatisi per i tributi omologhi, quali la TARSU e la TIA, che l’hanno preceduta.

In materia si è ormai consolidato l’orientamento interpretativo secondo cui “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sulla base del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 62 e 64 i Comuni devono istituire una apposita tassa annuale su base tariffaria che viene a gravare su chiunque occupi o conduca i locali, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi sono istituiti. Tale tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, salva l’autorizzazione dell’ente impositore allo smaltimento dei rifiuti secondo altre modalità, purché il servizio sia istituito e sussista la possibilità della utilizzazione, ma ciò non significa che, per ogni esercizio di imposizione annuale, la tassa è dovuta solo se il servizio sia stato esercitato dall’ente impositore in modo regolare, così da consentire al singolo utente di usufruirne pienamente (Cass. n. 18022/2013, n. 14541/2015; n. 1963 e n. 11451/2018; n. 26183/2019).

Si è così chiarito che, in generale, la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio di smaltimento dei rifiuti, in quanto la ragione istitutiva del relativo prelievo sta nel porre le amministrazioni locali nelle condizioni di soddisfare interessi generali della collettività, piuttosto che nel fornire, secondo una logica commutativa, prestazioni riferibili a singoli utenti, e che pertanto l’omesso svolgimento, da parte del Comune, del servizio di raccolta – sebbene istituito ed attivato – nella zona ove è ubicato l’immobile a disposizione dell’utente comporta non già l’esenzione dalla tassa, bensì la conseguenza che il tributo è dovuto ma in misura ridotta.

Va, pertanto, ribadito che tale tributo – e quindi anche il Tares – è dovuto in relazione all’espletamento, da parte dell’ente pubblico, di un servizio nei confronti della collettività, che da tale servizio riceve un beneficio, e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti.

I criteri di ripartizione del servizio di smaltimento dei rifiuti non sono collegati al concreto utilizzo, bensì ad una fruizione potenziale desunta da indici meramente presuntivi, quali l’occupazione e detenzione di locali ed aree, che tengono conto della quantità e qualità che, ordinariamente, in essi possono essere prodotti, il legislatore ha ritenuto di temperare la rigidità di tale criterio impositivo introducendo ipotesi di esclusione e di riduzione, i cui presupposti sono fissati dalla legge o previsti dal regolamento comunale e secondo modalità predeterminate.

Il tributo di cui si controverte, dunque, è dovuto per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti, cioè unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, mentre deroghe, riduzioni di tariffe ed agevolazioni che operano in base a diversi presupposti di fatto e di diritto, di cui è onere del contribuente dedurre e provare la relativa sussistenza per vincere la presunzione di produttività di rifiuti posta dal D.L. n. 201 del 2011, art. 14, suindicato comma 3.

Attesa la previsione, da parte della legge, di una presunzione relativa di idoneità alla produzione di rifiuti, la prova contraria, atta a dimostrare la inidoneità del bene a produrre rifiuti, resta ad esclusivo carico del contribuente, il quale deve fornire all’Amministrazione tutti gli elementi all’uopo necessari, in quanto ciò che rileva è la idoneità del bene occupato o detenuto a produrre rifiuti, e soltanto la prova positiva della inidoneità alla produzione di rifiuti solidi urbani può legittimare l’esenzione dal pagamento del tributo.

Appare, inoltre, utile richiamare il principio, affermato da questa Corte in tema di TARSU, secondo cui “incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per detto motivo, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile.” (Cass. n. 10787/2016).

Ne’ i soggetti tenuti ai pagamento dei relativi prelievi (salve le tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi, in quanto la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio, avendo il tributo la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente (sempre in tema di TARSU, Corte Cost. n. 238 del 2009, richiamata da Cass. n. 7647 e n. 1981 del 2018).

Orbene, la sentenza impugnata non fa concreta applicazione dei principi innanzi esposti poiché l’esenzione dal Tares discende dalla qualificazione, riferita agli scarti di lavorazione del legno, di “sottoprodotto”, avuto riguardo cioè a sostanze o materiali residuali di produzione o consumo riutilizzabili nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza essere sottoposti a trattamenti preventivi e senza recare pregiudizio per l’ambiente (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184-bis).

Le conclusioni del giudice di appello si basano sul fatto che il “sottoprodotto” non è un rifiuto del quale l’impresa intende “disfarsi”, ma rappresenta un bene che “essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni per essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari”, per cui la prova fornita dalla società contribuente “di aver utilizzato gli scarti della lavorazione del legno (trucioli, segatura, tozzetti, stecche) facendone commercio, con la vendita a terzi”, è elemento sufficiente per sottrarre gli stessi alla privativa dell’ente locale e per procedere alla “disapplicazione della Delib. di assimilazione ai rifiuti urbani adottata dal Comune” D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, comma 5, nonché per escludere dall’ambito della imposizione tributaria “la superficie di mq. 1.836,40 destinata all’attività produttiva della lavorazione del legno”.

Le argomentazioni del giudice di appello, a ben vedere, risultano del tutto avulse dall’effettivo accertamento della inidoneità dell’immobile a produrre rifiuti solidi urbani e assimilati, condizione obiettiva che può legittimare l’esclusione dal pagamento del Tares, stante il superamento della presunzione di tassabilità delle superfici detenute, verifica rispetto alla quale rimane estranea la circostanza della rivendita degli scarti di lavorazione del legno.

Inoltre, poiché le disposizioni sul “sottoprodotto” concretizzano un regime gestionale in condizioni di favore, l’onere di dimostrare l’effettiva sussistenza di tutte le condizioni di legge incombe su colui che l’invoca (la sostanza o l’oggetto devono trarre origine da un processo di produzione di cui costituiscono parte integrante, e il cui scopo primario è la loro produzione; deve essere certo che la sostanza o l’oggetto saranno utilizzati, nel corso dello stesso e/o di un successivo processo di produzione e/o utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; la sostanza e l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana) e, in mancanza anche di una sola di esse il residuo rimane soggetto alle disposizioni sui rifiuti (Cass. pen. 16727/2011).

Il Comune di Ortona richiama il D.M. 13 ottobre 2016, n. 264 (Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti), che all’art. 5 richiede la dimostrazione della “certezza dell’utilizzo”, che esclude la mera eventualità, sin “dal momento della produzione del residuo fino al momento dell’impiego dello stesso”.

Fondatamente, quindi, il ricorrente si duole della inidoneità delle “sole” fatture di vendita a provare quanto, al riguardo, richiesto dalla legge.

La sentenza impugnata, che difetta di ogni indagine su struttura e destinazione delle superfici tassate anche ai fini di eventuali riduzioni tariffarie determinate in concreto, va conseguentemente cassata e la causa rimessa alla Commissione tributaria regionale per l’Abruzzo, in diversa composizione, la quale provvederà alla regolamentazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale per l’Abruzzo, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022

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