Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2373 del 01/02/2011

Cassazione civile sez. I, 01/02/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 01/02/2011), n.2373

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 579-2009 proposto da:

V.M.A. (c.f. (OMISSIS)), A.A.

F. (C.F. (OMISSIS)), V.F.M. (C.F.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA CASALE DI

SAN PIO V 14, presso l’avvocato GAVA FABRIZIO, rappresentate e difese

dall’avvocato MASCOLO SALVATORE, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

26/11/2007, nn. 52787, 52788 e 52790/06 R.G.A.C.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2010 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in Cancelleria il 26/11/2007, la corte d’appello di Roma, riuniti i giudizi di cui ai nn. R.G. 52787, 52788 e 52790 del 2006, ha condannato il Ministero della Giustizia alla corresponsione a favore di ciascuna delle ricorrenti, V. M.A., V.F.M. ed A.A.F., della somma di Euro 4500,00, nonchè al rimborso delle spese di lite, per il danno non patrimoniale sofferto da dette parti per la durata del giudizio avente ad oggetto il risarcimento dei danni da incidente stradale, promosso il 22/11/1993 e definito in primo grado con sentenza depositata il 3/7/2002, e del giudizio di secondo grado, pendente da circa tre anni,durata ritenuta irragionevole per complessivi sei anni,eccedenti la durata da ritenersi nel caso ragionevole, vista la natura della controversia, pari ad anni quattro per il primo grado, ed anni due per il secondo, mentre ha escluso il danno patrimoniale, stante la mancanza di riscontri.

Ricorrono per cassazione V.M.A., V.F. M. ed A.A.F., sulla base di due motivi.

Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, le ricorrenti sostengono, quanto al danno non patrimoniale, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 3 e dell’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

erronea, contraddittoria e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della causa prospettato dalle parti ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la corte territoriale ritenuto di liquidare solo Euro 750,00 per anno di ritardo, disattendendo nei fatti la giurisprudenza della CEDU (vedi la sentenza della Corte di Strasburgo del 10/11/2004, caso Musei c. Italia, i cui principi sono stati reiterati in ben dieci sentenze emesse in pari data), di cui deve farsi carico il giudice nazionale (vedi Cass. 8529/04).

1.2. – Con il secondo motivo, le ricorrenti prospettano la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2 e 3, e dell’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa, erronea, contraddittoria e/o insufficiente motivazione su punto decisivo della causa prospettato dalle parti con riferimento alla quantificazione del danno in riferimento alla effettiva durata ed al computo del periodo eccedente il termine ragionevole: secondo le ricorrenti, le stesse avevano diritto al risarcimento per il periodo commisurato all’intera durata del processo,come sostenuto più volte dalla CEDU, e non già in relazione al solo periodo eccedente la durata ragionevole; la corte territoriale ha altresì violato la L. n. 89 del 2001, scindendo il processo nei due gradi di merito.

2.1.- Il quesito di diritto formulato dalle ricorrenti in relazione al primo motivo del ricorso deve ritenersi inammissibile.

Ed invero, nel 1^ motivo, le ricorrenti hanno sostanzialmente prospettato la violazione da parte del giudice nazionale dei principi della giurisprudenza della CEDU relativi al quantum del danno morale, come fissati nella sentenza del 10 novembre 2004, Musei c. Italia, e nelle coeve pronunce, per avere liquidato euro 750,00 per ciascun anno di ritardo sofferto; nel quesito formulato a conclusione del 1^ motivo, le ricorrenti hanno chiesto alla corte se il diritto all’equa riparazione del danno da durata irragionevole del processo vada rapportato alla effettiva posta in gioco e debba essere valutato nella misura minima di Euro 1500,00 per anno, anche in virtù dell’art. 6, par. 1 della convenzione, e se pertanto sia congruo il risarcimento riconosciuto alle ricorrenti di Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo, “rispetto alla effettiva entità e particolarità del processo subito,ovvero se risulti violata la normativa vigente citata”.

Orbene, premesso che il motivo è incentrato sulla sola violazione di legge ed è meramente labiale il riferimento anche al vizio di motivazione (in relazione al quale andrebbe rilevata in ogni caso la mancanza del momento di sintesi, quale esposizione chiara e sintetica del fatto controverso, in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione: vedi in tal senso Cass. 4556/2009 e Cass. S.U. 7770/2009), va rilevato che il quesito è genericamente articolato in termini interrogativi nei confronti della corte, senza indicare la ratio decidendi che, se seguita, avrebbe portato a diversa decisione (vedi Cass. S.U. 20360/2007, che si è espressa nel senso che il principio di diritto consiste in una chiara sintesi logico-giuridica della questione formulata al giudice di legittimità; vedi anche Cass. S.U. 2658/2008), limitandosi a richiamare l’art. 6, par. 1 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, senza neppure indicare che la convenzione va rispettata per come essa vive nelle decisioni della corte europea, decisioni alle quali la parte fa riferimento nel motivo, prospettandole inoltre quali cogenti e direttamente vincolanti e non in termini di precedenti, costituenti il parametro per la liquidazione del caso concreto (sul principio, vedi Cass. 24399/09, nonchè Cass. 16096/2009, Cass. 30565/2008, Cass. 30564/2008, Cass. 8034/2006, tra le tante).

2.2. Anche il secondo motivo del ricorso è inammissibile.

A riguardo, premesso che con la doglianza in oggetto la parte intende denunciare il vizio di violazione di legge, rimanendo al livello di mera enunciazione il riferimento anche al vizio di motivazione (per il quale, varrebbe comunque quanto sopra già evidenziato sub 2.1.), si deve rilevare che il quesito è formulato in maniera generica, senza riferimento alla precipua motivazione addotta sul punto dalla corte territoriale, è altresì inconferente rispetto al decreto, nella parte in cui è stata individuata la durata eccedente i sei anni complessivamente considerati, e nel complesso è privo della enunciazione del parametro normativo applicato, in tesi,erroneamente, e della enunciazione del principio da seguire,tale da condurre a diversa decisione.

3.- Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido le ricorrenti al pagamento in favore dell’Amministrazione della Giustizia delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2011

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