Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23719 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. I, 24/09/2019, (ud. 05/02/2019, dep. 24/09/2019), n.23719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Su ricorso n. 10895/2015 proposto da:

C.L., E C.E.F. elettivamente domiciliati in

Roma, Via G.Puccini 9 presso lo studio dell’Avv.to Antonio Ruvituso,

rappresentati e difesi dall’Avv.to Francesco Marescalco giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

INTESA SANPAOLO SPA elettivamente domiciliata in Roma Largo di Torre

Argentina 11 presso lo studio dell’Avvocato Dario Martella che la

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente agli Avv.ti

Ernestina De Medio e Giuseppe Piergiorgio De Medio giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1361/2016 della Corte di Appello di L’Aquila;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5

febbraio 2019 dal consigliere rel. Dott. MARINA MELONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Capasso Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avv.to Ruvituso per la parte ricorrente che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv.to Di Giulio per la parte controricorrente che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I ricorrenti C.L. E C.E.F. lamentavano che nel corso del 1999 avevano appreso di essere stati iscritti nel registro dei protesti per il mancato pagamento di due assegni rispettivamente di Euro 7.800,00 ed Euro 18.000,00 e che da tale fatto era loro derivato un danno patrimoniale per lesione alla reputazione commerciale e personale quantificabile in Euro 184.257,56 oltre interessi e rivalutazione.

La Corte d’appello dell’Aquila con sentenza n.1361/2016 ha confermato la decisione di primo grado del Tribunale di Chieti, che aveva respinto la domanda attorea di risarcimento del danno per l’illegittima levata del protesto da parte della Banca dell’Adriatico, oggi Intesa Sanpaolo spa, in relazione ai due assegni bancari facenti parte di un carnet oggetto di furto regolarmente denunciato, per mancanza di rapporto di causalità tra la condotta della banca e l’evento dannoso.

Avverso la sentenza di secondo grado propongono ricorso per cassazione C.L. E C.E.F. con due motivi. Intesa Sanpaolo spa resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la omessa valutazione della circostanza che la Banca conosceva il furto del carnet di assegni già dal 30 dicembre 1996 e quindi prima della levata dei protesti avvenuta in data 7/9/1998 e 2/4/1999. Infatti il furto era stato regolarmente denunciato in data 30 dicembre 1996 e copia della denuncia era stata consegnata al direttore della filiale e successivamente il conto corrente era stato chiuso in data 22 maggio 1997.

Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. per avere il giudice di appello ritenuto che la condotta della Banca che aveva elevato il protesto fosse legittima in virtù della circolare ABI n. 3512 del 30 aprile 2001 e che il protesto doveva essere elevato anche in caso di assegno rubato o alterato nei confronti del pur incolpevole correntista per non pregiudicare le azioni di regresso verso gli altri obbligati cartolari.

I motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

Con la sentenza n. 2936 del 1974, questa Corte ha chiarito che solo nel caso di sottoscrizione dell’assegno con un nome chiaramente e totalmente diverso da quello del titolare del conto (ipotesi non coincidente con quella dedotta nel presente giudizio) il protesto va levato a nome di detto traente inesistente (necessariamente con l’indicazione negativa quanto all’esistenza del conto), essendo ciò sufficiente nei rapporti fra giratari per la tutela dei rispettivi diritti, mentre nell’ipotesi di semplice contraffazione della firma del titolare del conto, il protesto va elevato con riferimento a quest’ultimo. Tale orientamento non solo non è stato mai smentito, ma è stato confermato (esplicitamente nella prima parte e implicitamente nella seconda) dalle successive Cass. 6006/2003 e 16617/2010; nè si rinvengono ragioni per disattenderlo in questa sede. L’obiezione sollevata dal ricorrente quanto alla indispensabilità del protesto ai fini della conservazione delle azioni di regresso in capo al creditore, basata sul rilievo della persistente natura di titolo esecutivo dell’assegno anche non protestato, è manifestamente incongrua, confondendosi l’azione di regresso con l’azione esecutiva.

Nè ha rilievo la critica del ricorrente al riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, alla richiamata circolare dell’ABI. Questa, infatti, è richiamata dalla corte d’appello al solo fine di argomentare l’indifferenza dell’uso, nel protesto, delle causali “firma illeggibile e non corrispondente allo specimen” o “assegno denunciato smarrito o rubato”, e non rileva ai fini dell’argomentazione della tesi giuridica qui accolta.

Deriva da quanto sopra l’infondatezza anche del primo motivo di ricorso, attesa la conseguente non decisività – anzi l’irrilevanza – della conoscenza del furto da parte della banca che ha fatto levare il protesto, come osservato anche dal giudice a quo.

Per quanto sopra esposto deve essere respinto il ricorso con condanna alle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5800,00 a favore del controricorrente per compensi oltre spese forfetarie nella misura del 15%, esborsi nella misura di Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte di Cassazione, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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