Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23719 del 22/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 22/11/2016, (ud. 27/09/2016, dep. 22/11/2016), n.23719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11646/2013 proposto da:

ACQUAMARINA S.R.L., ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante

Sig. B.M., B.M., M.T. e

BO.MA., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 197, presso

lo studio dell’avvocato ALBERTO MEZZETTI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MAURO BERNARDINI giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.E., GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A.;

– intimati –

nonchè da:

B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO CIVININI

12, presso lo studio dell’avvocato PIETRO POMANTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato FABIO ROSSI giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A., a mezzo della propria mandataria

GENERALI BUSINESS SOLUTIONS SC.P.A., in persona dei suoi procuratori

speciali, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI

35, presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO COLELLA giusta procura in calce al

controricorso;

ACQUAMARINA S.R.L. ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante

sig. B.M., B.M., BO.MA. e

M.T., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 197, presso

lo studio dell’avvocato ALBERTO MEZZETTI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MAURO BERNARDINI giusta procura in

calce al ricorso principale;

– controricorrenti all’incidentale –

avverso la sentenza n. 429/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 16/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2016 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato ALBERTO MEZZETTI;

udito l’Avvocato FEDERICA STOPPANI per delega;

udito l’Avvocato MARCO VINCENTI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e

l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso

incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La società Acquamarina s.r.l. ed i suoi soci B.M., Bo.Ma. e M.T. convennero in giudizio B.E. per sentirlo condannare – previo riconoscimento della sua responsabilità nell’adempimento dell’incarico professionale conferitogli di progettazione di demolizione e ricostruzione di edificio adibito ad attività alberghiera, di proprietà della società attrice – al risarcimento del danno emergente, “corrispondente all’ammontare corrisposto ai proprietari di fondo limitrofo in forza di transazione conclusa al fine di scongiurare il loro intento di perseguire la demolizione della porzione del nuovo fabbricato realizzata in violazione delle distanze tra le costruzioni”, nonchè il danno patito per l’esposizione bancaria, il mancato guadagno per all’attività recettiva e il danno da turbamento della serenità familiare.

1.1. – Il B., costituendosi in giudizio, contestò la fondatezza della domanda attorea e, comunque, chiese ed ottenne di chiamare in causa, a titolo di garanzia, la propria assicurazione per la responsabilità professionale, altresì agendo in riconvenzionale per ottenere il pagamento del saldo del proprio compenso.

1.2. – Si costituì la chiamata Assicurazioni Generali S.p.A., eccependo l’improponibilità della domanda per mancato esperimento della perizia contrattuale prevista in polizza, la mancanza di copertura della stessa polizza alle intenzionali violazioni di norme edilizie (da cui conseguiva anche la nullità dell’intervenuta transazione con i frontisti), nonchè la compensazione del danno lamentato con l’utilità realizzata dalla committenza.

1.3. – L’adito Tribunale di Bologna, espletata c.t.u. in corso di giudizio, pronunciò, nell’aprile 2008, sentenza con cui condannò il B. al pagamento, a titolo di risarcimento danni (esclusi quelli non patrimoniali), della somma di Euro 300.000,00, oltre accessori, dichiarò improponibile la domanda di garanzia nei confronti della chiamata Assicurazioni Generali, accolse la domanda riconvenzionale del B., condannando la società attrice al pagamento, in favore del medesimo professionista, della somma di Euro 11.451,71, oltre accessori, compensò le spese di lite tra il B. e B.M., Bo.Ma. e M.T. e condannò il B. a rifondere le spese alle altre parti.

2. – Avverso tale decisione proponevano appello principale B.E. ed incidentale la Acquamarina s.r.l. ed i suoi soci, che la Corte di appello di Bologna, nel contraddittorio anche con la Assicurazioni Generali S.p.A., con sentenza resa pubblica il 16 marzo 2012, accoglieva in parte, riducendo l’importo risarcitorio di condanna del B. da Euro 330.000,00 a Euro 157.000,00, annullando la pronuncia di rigetto della domanda risarcitoria proposta da B.M., Bo.Ma. e M.T. e la consequenziale pronuncia di compensazione delle spese tra questi ultimi ed il B., dichiarando compensate le spese del grado tra lo stesso B., le predette parti e la Acquamarina s.r.l., confermando nel resto la sentenza di primo grado, con condanna del B. a rifondere le spese di appello in favore delle Assicurazioni Generali.

2.1. – La Corte territoriale, ribadita la responsabilità professionale del B., riteneva, ai fini del quantum debeatur, che occorresse considerare l’incremento del valore dell’immobile in funzione della maggiore estensione dell’area di sedime utilizzata benchè in violazione delle distanze legali”, così da doversi scorporare – in forza di quanto risultante dalla c.t.u. – “dall’ammontare dell’esborso pattuito in favore dei proprietari del fondo finitimo, pari ad Euro 330.000”, la “relativa utilità netta”, ossia il “valore immobiliare ottenuto dal c.t.u. previa deduzione dei relativi costi di costruzione, ormai acquisita al patrimonio della società in quanto esclusa la perdita che ne sarebbe conseguita dal paventato esercizio della tutela specifica per arretramento e connessa demolizione, pari ad Euro 173.000”.

Soggiungeva il giudice del gravame che non poteva negarsi “l’inerenza di tale utilità costituita dalla mancata perdita della ragguardevole porzione volumetrica edificata in violazione”, ciò che avrebbe implicato “sostanzialmente il disconoscimento dell’utilità stessa dell’accordo transattivo, di cui costituisce lo scopo essenziale, attesa la marginale accessorietà delle ulteriori rinunce dei confinanti riguardo alle vedute preesistenti nel proprio edificio che da sole non avrebbero potuto giustificare la necessaria reciprocità ed intrinseca proporzionalità delle concessioni cui il negozio è per sua natura informato”.

Sicchè, assumeva ancora la Corte territoriale, ai fini del danno risarcibile (“ovvero di quello di effettiva incidenza nel patrimonio della società Acquamarina da reintegrare per equivalente”) doveva tenersi conto “dell’utilità economica di cui la medesima ha evitato la perdita, da portare in deduzione all’ammontare pattuito con la transazione, poichè concettualmente corrispettivo quest’ultimo unicamente della perdita patrimoniale subita dai proprietari confinanti, anzichè di quella patita dalla società Acquamarina, cui solo deve commisurarsi la liquidazione del danno riconducibile all’inesatto adempimento dell’incarico professionale”.

2.2. – Il giudice di secondo grado disattendeva, poi, le doglianze sulla prova della effettività dell’esborso in favore dei proprietari confinanti; provvedeva ad un nuovo riparto delle spese processuali (rilevando che la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali “non era stata formalizzata nelle conclusioni”); confermava la declaratoria di improponibilità della domanda di garanzia dichiarata dal primo giudice per il mancato previo esperimento della perizia contrattuale; compensava integralmente le spese di lite tra tutte le parti (ad eccezione della Assicurazioni Generali) in ragione della “parziale reciproca soccombenza degli appellanti in via principale ed incidentale”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Acquamarina s.r.l. sulla base di due motivi, altresì costituendosi con il medesimo atto B.M., Bo.Ma. e M.T. “solo per speditezza e completezza del contraddittorio, senza formulare richiesta alcuna” (p. 7 ricorso).

Resistono con separati controricorsi la Assicurazioni Generali S.p.A. (a mezzo della propria mandataria Generali Business Solutions S.C.p.A.) ed B.E., quest’ultimo proponendo anche ricorso incidentale affidato a due motivi.

Tutte le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

La causa è pervenuta all’udienza odierna – in prossimità della quale ha depositato ulteriore memoria la Generali Italia S.p.A. – dopo il rinvio disposto, con ordinanza n. 2925 del 2016, per l’acquisizione del fascicolo di ufficio dei gradi di merito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va disattesa l’eccezione della parte ricorrente principale che deduce l’invalidità della notificazione del controricorso e del ricorso incidentale del B. presso il domicilio eletto per il giudizio di appello e non presso quello eletto per il presente giudizio di legittimità, in violazione dell’art. 370 c.p.c., trattandosi di nullità sanabile o con la rinnovazione della stessa notificazione o, come nella specie, con la proposizione di controricorso ad opera della stessa parte intimata (tra le tante, Cass., 18 ottobre 2002, n. 14795; Cass., 29 gennaio 2004, n. 1666).

2. – Sempre preliminarmente, va rilevata la formazione del giudicato interno sulla questione di nullità del contratto di progettazione edilizia intercorso tra la società Acquamarina s.r.l. e il geometra B.E. (per essere detta progettazione in materia riservata alla competenza professionale degli ingegneri), da quest’ultimo espressamente sollevata in sede di appello, all’udienza del 18 novembre 2008 (cfr. relativo verbale in atti), con conseguente richiesta di inammissibilità della domanda risarcitoria della controparte, e, poi, ribadita con foglio allegato a verbale dell’udienza di precisazione delle conclusioni del 31 maggio 2011 (“accertare e dichiarare infondate sia in fatto che in diritto, per tutte le argomentazioni ed eccezioni dedotte compresa quella di nullità del rapporto contrattuale, tutte le domande di risarcimento danni avanzate da Acquamarina…”).

Nella specie, trova, infatti applicazione il principio, consolidato, per cui le questioni esaminabili di ufficio (come nel caso in esame, alla stregua del principio di rilevazione officiosa della nullità negoziale in ogni stato e grado del giudizio: Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e n. 26243), che abbiano formato oggetto nel corso del giudizio di merito di una specifica domanda od eccezione, non possono più essere riproposte nei gradi successivi del giudizio, sia pure sotto il profilo della sollecitazione dell’organo giudicante ad esercitare il proprio potere di rilevazione ex officio, qualora la decisione o l’omessa decisione di tali questioni da parte del giudice non abbia formato oggetto di specifica impugnazione, ostandovi un giudicato interno che il giudice dei gradi successivi deve in ogni caso rilevare (Cass., 4 marzo 1998, n. 2388; Cass., 26 giugno 2006, n. 14755; Cass., 10 gennaio 2014, n. 440, in riferimento al giudizio di appello).

3. – Con il primo mezzo del ricorso principale della Acquamarina s.r.l. è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “erroneità per avere escluso dal risarcimento del danno la maggior parte della somma di Euro 330.000,00 (esborsata da Acquamarina per evitare la demolizione del proprio edificio), art. 1223 c.c.”; nonchè è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “erroneità per avere comunque, sul punto, omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti”.

La Corte territoriale non avrebbe ricostruito, nè rappresentato con esattezza, “il progetto eseguito dal B., nè l’edificio che, sulla base di esso è stato realizzato”, giacchè, nella specie, non vi sarebbe “alcun incremento di valore da prendere in considerazione”, non avendo il B. “ampliato la costruzione di Acquamarina rispetto a quanto legalmente edificabile”, ma l’avrebbe “semplicemente dislocata male sul terreno, spostandola eccessivamente ed illegalmente verso il lato di sud-est, in violazione delle distanze”. In definitiva, il professionista provvedeva a realizzare una delle tre opzioni disponibili, ossia quella della demolizione e ricostruzione di nuovo edificio per una “superficie utile mq. 917,59, con parete cieca sul lato “(OMISSIS)”, cioè sul confine sud-est”. Tanto risulterebbe dalla stessa c.t.u. (su cui la ricorrente si sofferma), così da doversi escludere alcun “beneficio” in favore della società attrice, giacchè esisteva soltanto un unico progetto che “avrebbe potuto e dovuto essere correttamente posizionato”, come messo in risalto negli scritti difensivi.

Inoltre, le considerazioni svolte dal giudice di secondo grado sull’esistenza di un danno risarcibile sarebbero in contrasto con l’art. 1223 c.c., giacchè tale norma si basa sulla “perdita effettivamente subita dal creditore, e cioè sul danno emergente”, che nella fattispecie sarebbe proprio “il costo transattivo globale, volto a rimediare l’inesatto adempimento del professionista”.

Del resto, non sussisterebbe il nesso di causalità “tra la progettazione-costruzione del B. e l’asserito incremento di valore dell’immobile, perchè tra i due fatti si è inserita l’iniziativa di Acquamarina e dei vicini e la stipulazione della transazione, che ha creato nuove condizioni edilizie; e, semmai, determinato essa stessa l’asserito incremento”.

4. – Con il secondo mezzo dello stesso ricorso principale è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “erroneità nella ricostruzione delle domande formulate in appello da Acquamarina, art. 112 c.p.c.”; nonchè dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “conseguente erroneità per avere compensato le spese di giudizio del grado d’appello tra B.E. e Acquamarina s.r.l., art. 91 c.p.c., prima parte e art. 92 c.p.c., comma 2”.

La Corte territoriale, in violazione dell’art. 112 c.p.c., non avrebbe considerato che non era stato proposto alcun appello incidentale circa la pretesa del professionista di ricevere il compenso (liquidatogli in parte dal Tribunale), così come era stato oggetto di rinuncia il motivo di gravame incidentale in ordine mancato riconoscimento degli esborsi sopportati dalla società, come risultava dalla precisazione delle conclusioni all’udienza del 31 maggio 2011, nonchè dalla comparsa conclusionale. Di qui, pertanto, l’erronea compensazione delle spese per il grado di appello tra il B. ed Acquamarina.

5. – Con il primo mezzo del ricorso incidentale del B. è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, erronea applicazione degli artt. 1223 e 1227 c.c. “circa l’individuazione di eventuali danni risarcibili in conseguenza dell’inadempimento contrattuale del Geom. B.E.”; nonchè dedotto vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione anteriore alla novella del 2012) in relazione al “contestato pagamento della somma di Euro 330.000 tanto in relazione alla mancata prova dell’avvenuto pagamento quanto al considerare detto esborso, seppure decurtato dell’incremento patrimoniale, un danno risarcibile”.

La Corte territoriale avrebbe motivato inadeguatamente sulla prova (spettante alla società attrice) dell’effettività dell’esborso a favore dei proprietari confinanti della somma recata dalla transazione, ribadendo il debole e contestato convincimento del primo giudice che si fondava soltanto su due assegni di Euro 82.500,00 ciascuno, relativi al pagamento rateale della complessiva somma di Euro 330.000,00, senza che risultasse altro elemento a riscontro, quale ad esempio il rilascio di fideiussione bancaria per il residuo importo di Euro 165.000,00.

La Corte d’appello avrebbe mancato di spiegare perchè l’esborso di Euro 330.000,00 in forza dell’accordo transattivo rientrasse nel concetto di danno risarcibile, sia pure con il correttivo della riduzione per l’incremento patrimoniale in favore della società Acquamarina (che, a tale specifico fine, non assumerebbe rilevanza), giacchè qualsiasi importo dedotto in transazione avrebbe potuto così integrare il danno preteso. Sicchè, la sentenza impugnata non darebbe affatto contezza della congruità della somma di Euro 330.000,00 rispetto al “pregiudizio economico che avrebbe potuto patire la società Acquamarina a seguito dell’esercizio della tutela specifica da parte dei frontisti/confinanti mediante l’arretramento e/o demolizione di porzione del fabbricato”.

Invero, il giudice di secondo grado avrebbe comunque errato a ritenere che la somma di Euro 157.000,00 – residuo della decurtazione dalla somma transattiva di Euro 330.000,00 dell’importo di Euro 173.000,00, quale utilità conseguita dalla società attrice costituisse danno risarcibile ai sensi dell’art. 1223 c.c., non potendo ad esso ricondursi lo stesso accordo transattivo quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento contrattuale di esso B. (ma, semmai, soltanto occasione). Ciò anche in quanto la società Acquamarina avrebbe ben potuto, invece che stipulare la transazione, resistere alla pretesa dei confinanti “invocando l’applicazione del principio di prevenzione ottenendo così la trasformazione delle vedute in luci senza necessità di esborsi alcuni”, come del resto sarebbe confortato dall’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 33440 del 2002).

6. – Vanno congiuntamente scrutinati, in quanto strettamente connessi, il primo motivo del ricorso principale ed il primo motivo di quello incidentale.

6.1. – Non possono trovare accoglimento le doglianze proposte con il ricorso principale che veicolano un vizio di motivazione sulla dedotta errata rappresentazione, da parte del giudice di appello, del progetto commissionato al B. e dell’edificio costruito sul base del progetto medesimo, per non esservi “alcun incremento di valore da prendere in considerazione”.

A tal fine occorre osservare che dalla c.t.u. espletata in primo grado – di cui la stessa parte ricorrente assume che rappresenti la “vicenda con sostanziale esattezza” -, alla quale ha aderito il giudice di appello, emerge – in contrasto con le deduzioni della stessa parte ricorrente – proprio “la perfetta corrispondenza del fabbricato in concreto realizzato ed il progetto presentato ed approvato dagli uffici competenti”, nonchè l’esistenza di un incremento di valore dell’immobile “in conseguenza della maggiore superficie utilizzata in violazione delle distanze legali, al netto del costo di costruzione” (cfr. pp. 10/12 della c.t.u. nel fascicolo di primo grado, indicata dalla parte ricorrente nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

Le censure sono, poi, inammissibili là dove, per il resto, vengono criticate le conclusioni raggiunte dal c.t.u. – e fatte proprie dalla sentenza impugnata – senza porre in evidenza reali errori tecnici o aporie insanabili, bensì prospettando una ricostruzione di parte della vicenda progettuale, disallineata da quella recata dalla stessa c.t.u. in forza delle risultanze documentali su cui la relazione si è basata e, dunque, proponendo una lettura alternativa delle emergenze processuali rispetto a quella seguita, con motivazione adeguata e plausibile, dal giudice di appello, così da sollecitare questa Corte ad una, non consentita, rivisitazione della complessiva quaestio facti.

6.2. – Sono, altresì, inammissibili le doglianze mosse dal ricorso incidentale alla motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui assume provata l’effettività dell’esborso in favore dei proprietari confinanti della somma oggetto della transazione, in quanto investenti, secondo la prospettiva privilegiata dalla parte ricorrente, la valutazione della prova documentale rimessa esclusivamente al giudice del merito, senza neppure fornire contezza, ai fini della decisività della censura, del quadro complessivo delle risultanze probatorie e, in particolare, dello stesso precipuo contenuto dell’atto tra nsattivo.

6.3. – Sono fondate per quanto di ragione le censure del ricorrente incidentale in ordine alla individuazione, da parte della Corte territoriale, del danno risarcibile, con assorbimento delle ulteriori doglianze proposte dal ricorrente principale con il primo motivo, nonchè delle censure di cui al secondo motivo del medesimo ricorso principale, investenti la regolamentazione delle spese processuali disposta dal giudice di appello, caducata dalla cassazione della sentenza impugnata a seguito dell’accoglimento anzidetto.

6.3.1. – Ai sensi dell’art. 1223 c.c., il danno patrimoniale consiste nella differenza tra le utilità godute dal danneggiato prima dell’evento dannoso e quelle godute dopo, giacchè il risarcimento deve includere solo la perdita subita ed il mancato guadagno.

Esso, dunque, alla stregua del principio di cd. “indifferenza” (cfr. Cass., 13 giugno 2014, n. 13537), non deve nè arricchire, nè impoverire il danneggiato, non potendo, pertanto, creare in favore di quest’ultimo una situazione migliore di quella in cui lo stesso si sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, immettendo nel suo patrimonio un valore economico maggiore della differenza patrimoniale negativa indotta dall’illecito.

Di qui, la correlazione con il principio, di matrice giurisprudenziale, della cd. compensatio lucri cum damno (quale eccezione in senso lato, ossia mera difesa in ordine all’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato, come tale rilevabile d’ufficio dal giudice: tra le altre, Cass., 24 settembre 2014, n. 20111), che si rivela essere “piuttosto una regola per l’accertamento dell’esistenza e dell’entità del danno risarcibile, ai sensi dell’art. 1223 c.c.” (così la citata Cass. n. 13537 del 2014), là dove il nesso di causalità per l’accertamento sia del danno, che del vantaggio (entrambi determinati dalla stessa condotta del danneggiante), deve essere indagato alla luce del principio (seguito dall’orientamento assolutamente prevalente di questa Corte: tra le tante, Cass., 4 luglio 2006, n. 15274) della cd. regolarità causale, con la conseguenza che, ai fini del sorgere dell’obbligazione di risarcimento, il rapporto fra illecito ed evento può anche non essere diretto ed immediato se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo.

6.3.2. – Di tali principi non ha fatto buon governo la Corte territoriale, giacchè (cfr. sintesi al p. 2.1. dei “Fatti di causa”, cui si rinvia) essa si è concentrata nell’individuare il vantaggio tratto dalla società Acquamarina dall’inadempimento ascritto al progettista dell’edificio adibito ad albergo, ossia l’utilità tratta dal danneggiato dall’illecito, mancando, però, di fornire intelligibile e coerente supporto motivazionale al profilo della perdita patita dallo stesso danneggiato, sebbene nella stessa sentenza impugnata si postuli, correttamente in diritto (ma in maniera monca rispetto allo stesso tema giuridico implicato), che proprio a tale perdita vada commisurata la liquidazione del danno “riconducibile all’inesatto adempimento dell’incarico professionale”.

Invero, il giudice di secondo grado ha correlato lo “scopo essenziale” dell’accordo transattivo al conseguimento dell’utilità rappresentata “dalla mancata perdita della ragguardevole porzione volumetrica edificata in violazione” (ossia, l’incremento di valore dell’immobile dovuto alla maggiore estensione dell’area di sedime conseguita alla violazione delle distanze), così da ravvisare nell’ammontare pattuito con la transazione” il “corrispettivo” della “perdita patrimoniale subita dai proprietari confinanti, anzichè di quella patita dalla società Acquamarina”.

In tal modo, il giudice del merito, in contrasto con le coordinate giuridiche sopra rammentate, ha contraddetto insanabilmente la ratio decidendi che poggia sulla commisurazione del danno risarcibile alla somma portata dalla transazione, della quale, al contempo, ha escluso, però, che costituisca la “perdita” della società Acquamarina, quale conseguenza dell’inadempimento del progettista.

7. – Con il secondo mezzo del ricorso incidentale del B. è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1917, 1362 e 1370 c.c., con riferimento all’art. 7 delle condizioni generali del contratto di assicurazione per la responsabilità civile tra il B. e Assicurazioni generali S.p.A.; nonchè dedotto vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione anteriore alla novella del 2012) in relazione alla “improponibilità della domanda di garanzia e manleva di B. nei confronti di Assicurazioni Generali spa per il mancato previo esperimento della perizia contrattuale prevista dall’art. 7 della condizioni particolari del contratto di assicurazione”.

7. – In via preliminare, va disattesa l’eccezione, proposta dalle Assicurazioni Generali S.p.A., di inammissibilità del ricorso incidentale (secondo motivo) proposto dal B. contro la medesima compagnia assicuratrice, per asserita tardività rispetto al termine di cui all’art. 327 c.p.c..

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 24707 del 4 dicembre 2015, hanno affermato (proprio in fattispecie concernente la chiamata in causa in garanzia dell’assicuratore della responsabilità civile), sul presupposto che la qualificazione della garanzia come propria o impropria ha valore puramente descrittivo ed è priva di effetti ai fini dell’applicazione degli artt. 32, 108 e 331 c.p.c., che si deve ravvisare un’ipotesi di litisconsorzio necessario processuale non solo se il convenuto abbia scelto soltanto di estendere l’efficacia soggettiva, nei confronti del terzo chiamato, dell’accertamento relativo al rapporto principale, ma anche quando abbia, invece, allargato l’oggetto del giudizio, evenienza, quest’ultima, ipotizzabile allorchè egli, oltre ad effettuare la chiamata, chieda l’accertamento dell’esistenza del rapporto di garanzia ed, eventualmente, l’attribuzione della relativa prestazione.

Trattandosi, quindi, in ogni evenienza, di ipotesi contrariamente a quanto opinato dalla parte ricorrente – riconducibili ad un litisconsorzio necessario processuale, che dà luogo applicazione dell’art. 331 c.p.c., non è predicabile di per sè la non pertinenza dell’art. 334 c.p.c. in punto di impugnazione incidentale tardiva.

7.2. – Sempre preliminarmente, è fondata, invece, l’eccezione, sollevata ancora dalle Assicurazioni Generali S.p.A., di acquiescenza, ex art. 329 c.p.c., comma 1, all’impugnazione del capo di sentenza concernente l’improponibilità della domanda di garanzia proposta dal B. contro le stesse Assicurazioni Generali.

Giova premettere che l’acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c. (configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacchè successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all’impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell’accettazione della pronuncia, ossia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita, potendo, in quest’ultimo caso, ritenersi sussistente soltanto quando l’interessato abbia posto in essere atti assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione e dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia (tra le altre, Cass., 11 giugno 2014, n. 13293).

Ciò posto, pur dovendosi ribadire, in assenza di impugnazione in ordine alla qualificazione negoziale effettuata espressamente dai giudici di merito, che la dichiarata improponibilità attiene a clausola contrattuale assicurativa imponente una “perizia contrattuale” e non già ad un arbitrato irrituale, con conseguente irrilevanza della disciplina dettata dall’art. 819-ter c.p.c., l’acquiescenza anzidetta è chiaramente desumibile dal tenore della missiva (depositata in atti ai sensi dell’art. 372 c.p.c. e, come tale, produzione documentale ammissibile) inviata in data 18 aprile 2012 (temporalmente precedente alla interposta impugnazione in questa sede) dal legale del B., in “nome e per conto” di quest’ultimo, ma dal medesimo B. sottoscritta “per adesione e conferma”, (anche) alle Assicurazioni Generali S.p.A..

In detta missiva, l’assicurato – preso atto che la compagnia di assicurazioni aveva sospeso la “procedura arbitrale in attesa della decisione della Corte di Appello di Bologna sulla questione della improponibilità” e che la sentenza di appello del 16 marzo 2012 aveva confermato la decisione di primo grado “sulla anzidetta eccezione” (ossia, aveva confermato la declaratoria di improponibilità della domanda di garanzia) – reputava “rimosso il motivo di sospensione del procedimento arbitrale” e chiedeva il riavvio della procedura con la nomina del terzo arbitro, precisando: “Rimangono impregiudicate le altre parti della sentenza di appello che non riguardano la questione della improponibilità della domanda in ordine alle quali il Geom. B. mantiene tutti i diritti e le facoltà”.

Dunque, non solo il B. ha ritenuto che la decisione sfavorevole di appello avesse rimosso l’ostacolo a procedere con la “procedura arbitrale” (ovvero, la perizia contrattuale siccome ritenuta tale giudizialmente), intendendo dare seguito alla procedura stessa, ma, soprattutto e in via dirimente, ha espresso chiaramente la propria volontà di circoscrivere la (eventuale) impugnazione della sentenza di appello alle “altre parti della sentenza” (mantenendo intatte, rispetto a queste “altre parti” – che non affrontano affatto il tema del rapporto tra assicurato ed assicuratore, bensì quelli inerenti alla domanda risarcitoria proposta dalla danneggiata contro il professionista inadempiente – “tutti i diritti e le facoltà”) che non riguardassero la “questione della improponibilità della domanda”, facendo così acquiescenza a tale specifica e distinta “parte della sentenza”.

Sicchè, l’impugnazione proposta in questa sede dal medesimo B. contro il capo di sentenza relativo alla “questione della improponibilità della domanda” di garanzia nei confronti delle Assicurazioni Generali S.p.A. è da dichiararsi inammissibile.

8. – Va, dunque, accolto per quanto di ragione il primo motivo del ricorso incidentale del B., nei limiti indicati al p. 6.3. (e relativi sottoparagrafi), da rigettarsi per il resto (cfr. p. 6.2.), unitamente alle censure proposte con il primo motivo del ricorso principale e scrutinate sub p. 6.1., assorbite le restanti censure avanzate con lo stesso motivo e attinenti alla individuazione, in diritto, del danno risarcibile.

Va, altresì, dichiarato inammissibile il secondo motivo del ricorso incidentale dello stesso B..

La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, che dovrà nuovamente pronunciarsi sulla liquidazione del danno effettivamente patito della società Acquamarina s.r.l., alla luce dei principi di diritto enunciati sub p. 6.3.1. e dei rilievi sub p. 6.3.2., nonchè tenuto conto degli accertamenti in fatto residuati all’esito del rigetto delle censure sub p.p. 6.1. e 6.2.

Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità tra i ricorrenti principali ed il B., mentre quelle tra il B. e le Assicurazioni Generali S.p.A. seguono la soccombenza del primo e si liquidano come in dispositivo, in conformità in conformità ai parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

P.Q.M.

LA CORTE:

accoglie, nei termini e nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo del ricorso incidentale;

rigetta, nei termini e nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo del ricorso principale, con assorbimento del secondo motivo dello stesso ricorso;

dichiara inammissibile il secondo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità tra la Acquamarina s.r.l. ed B.E.;

condanna il medesimo B. al pagamento delle anzidette spese in favore delle Assicurazioni Generali S.p.A., che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2016

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