Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23718 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. I, 28/10/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 28/10/2020), n.23718

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19382/2018 proposto da:

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

S.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 12/2018 della Corte d’appello di Trento,

depositata il 11/1/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/9/2020 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Trento, con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c., del 6 ottobre 2016, rigettava il ricorso presentato da S.S., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato e del diritto alla protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14:

il primo giudice riconosceva però al migrante la protezione umanitaria, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in ragione delle motivazioni addotte dal migrante, “in quanto, considerato il contesto di gravissima povertà dello Stato di provenienza, il ricorrente era emigrato per procurare i mezzi di sostentamento alla famiglia”;

2. la Corte d’appello di Trento, con sentenza del 11 gennaio 2018, respingeva l’impugnazione proposta dal Ministero dell’Interno rilevando – sulla base di quanto riportato dai report internazionali rispetto al contesto politico sociale e ai conflitti interni, caratterizzati anche a numerosi episodi di violenza – l’esistenza in Bangladesh di un quadro di insicurezza diffusa e scarsa protezione, a cui si aggiungeva una condizione di estrema povertà di tutto il paese;

il migrante, ove rimpatriato in un simile contesto – dal quale si era allontanato in ragione dell’estrema povertà in cui versava tutta la sua famiglia ed al fine di procacciare i mezzi di sostentamento all’intero nucleo familiare, essendo l’unico soggetto in grado di provvedervi avrebbe visto lesi, a giudizio della Corte di merito, i diritti fondamentali della persona, in quanto sarebbero venute meno, per lui e l’intera sua famiglia, le condizioni minime necessarie per vivere;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Interno prospettando un unico motivo di doglianza;

l’intimato S.S. non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in quanto la Corte distrettuale avrebbe riconosciuto la protezione umanitaria a fronte di presupposti, quali la situazione di povertà del paese di provenienza e la scelta di vita dell’intimato di recarsi all’estero, che non rientrerebbero tra quelli previsti dall’ordinamento e costituirebbero circostanze comuni a tutti i migranti economici;

la Corte di merito avrebbe invece dovuto verificare la sussistenza nel paese di origine di un rischio specifico per il ricorrente di significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili, facendo riferimento non alla situazione complessiva del paese di origine, ma alla vicenda personale del migrante;

5. il motivo è inammissibile;

la critica in esame assume che: 1) “la Corte d’appello ha preso in considerazione principalmente la situazione di povertà del Paese di origine e la scelta dell’odierno intimato di emigrare”; 2) “la pronuncia in epigrafe sembra… rinvenire le condizioni per il permesso umanitario in circostanze comuni a tutti i migranti economici che siano riusciti a raggiungere il territorio italiano”; occorreva invece “verificare se il richiedente sia realmente esposto, oltre alle difficoltà economiche proprie di tutti i migranti economici che siano rimpatriati nel proprio Paese di origine, a un accertato grave rischio di compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili”;

simili censure mal si attagliano al contenuto del provvedimento impugnato;

la Corte di merito ha sì preso le mosse da un’ampia disamina delle condizioni in cui versa il Bangladesh, individuandovi “un quadro di insicurezza diffusa e di scarsa protezione” da considerare “in uno con la condizione di estrema povertà del paese”, ma non si è a ciò limitata, giacchè subito dopo ha proceduto alla valutazione della vicenda personale del migrante tenendo conto del contesto in cui il rimpatrio sarebbe avvenuto;

in questa prospettiva la Corte – nella consapevolezza che per il riconoscimento della protezione umanitaria non è sufficiente la mera allegazione delle condizioni generali del paese di origine cui non si accompagni l’indicazione di come siffatta situazione influisca sulle condizioni personali del richiedente asilo provocando una particolare condizione di vulnerabilità – è passata poi al vaglio della storia personale del ricorrente, che era espatriato da anni per procacciare i mezzi di sostentamento a sè e ai congiunti, “in considerazione dell’estrema povertà in cui versa tutta la famiglia ed essendo egli l’unico soggetto in grado di provvedervi”;

da ciò il collegio d’appello ha tratto la convinzione che un eventuale rimpatrio avrebbe leso i diritti fondamentali della persona del migrante, “venendo egli e la sua famiglia privati delle condizioni minime necessarie per vivere”;

il provvedimento impugnato ritiene quindi che la fattispecie posta al suo vaglio consistesse non nella situazione di difficoltà economica e sociale, anche estrema, in cui versa normalmente un migrante economico, ma in una condizione di vulnerabilità personale tale da compromettere tanto le condizioni minimali di sussistenza, personali e familiari, quanto il suo diritto al rispetto della vita privata e familiare, tutelato dall’art. 8 CEDU, vedendo egli irrimediabilmente compromesse in tale contesto le proprie possibilità di procurare i mezzi di sostentamento ai congiunti;

in altri termini, posto che una cosa è l’emigrazione che intenda perseguire un miglioramento delle condizioni economiche, altra è l’espatrio giustificato da una situazione di povertà assoluta e inemendabile, tale da compromettere la stessa sopravvivenza, la Corte di merito ha ritenuto che l’espatrio, alla luce della vicenda personale rappresentata e del contesto del paese di provenienza, integrasse ben altro che un tentativo di implementazione delle condizioni economiche e fosse giustificato dall’intenzione di tutelare l’esistenza del nucleo familiare e il ruolo in esso esercitato dal richiedente asilo, unico in grado di procurare i mezzi di sostentamento (Cass. 8687/1992);

la doglianza in esame trascura la ratio decidendi del provvedimento impugnato e non si correla con il suo contenuto, come il ricorso per cassazione deve invece necessariamente fare;

ne discende, giocoforza, la sua inammissibilità;

in vero la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), con la conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ ufficio (Cass. 20910/2017);

6. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

la mancata costituzione in questa sede del richiedente asilo intimato esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

 

 

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