Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23711 del 22/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 22/11/2016, (ud. 20/09/2016, dep. 22/11/2016), n.23711

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso14542/2014 proposto da:

M.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO

CANULEIO 127, presso lo studio dell’avvocato ALFONSO DELLARCIPRETE,

che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

INA ASSITALIA S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1261/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2016 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato CAROLE FABIANI ACHILLE per delega non scritta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza resa pubblica il 12 aprile 2013, la Corte di appello di Roma – per quanto ancora rileva in questa sede – rigettava il gravame proposto da M.B. avverso la sentenza del Tribunale della medesima Città che, a sua volta, aveva accolto solo in parte la sua domanda di risarcimento dei danni subiti a seguito di sinistro stradale causato da veicolo non identificato, condannando l’Ina Assitalia S.p.A., quale impresa designata per il Fondo di garanzia delle vittime della strada (FGVS), al pagamento della complessiva somma di Euro 74.073,00, oltre accessori.

1.1. – La Corte territoriale, nel confermare la correttezza della quantificazione del danno biologico operata dal primo giudice in relazione alla misura del 24% di invalidità permanente (e non già del 32% indicata nella c.t.u. medico-legale), escludeva che, a tal fine, potesse farsi ricorso al D.P.R. n. 1124 del 1965, recante il testo unico sugli infortuni e la malattie professionali, richiamato dalla L. n. 990 del 1969, art. 21, giacchè il richiamo era da intendersi circoscritto alla liquidazione dei danni patrimoniali.

1.2. – Il giudice di appello riteneva, altresì, che infondata la doglianza sul mancato riconoscimento del danno patrimoniale da invalidità lavorativa specifica, in quanto richiesto “non già in relazione all’attività concretamente svolta ed al reddito per tale via percepito reddito al quale l’atto di appello non ha fatto il benchè minimo riferimento -, bensì alla capacità di guadagno medio di un operaio specializzato (pagina 5 dell’atto di appello)”, senza, quindi, dare alcuna prova dei “minori guadagni” conseguiti a causa dei postumi.

2. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre M.B. sulla base di due motivi, illustrati da memoria.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimata Ina Assitalia S.p.A., quale impresa designata per il FGVS.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 12 preleggi, nonchè, di conseguenza, della L. n. 990 del 1969, art. 21, comma 2 e D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 283, comma 3.

La Corte territoriale, nell’escludere l’applicabilità alla fattispecie delle misure percentuali di invalidità permanente indicate dalle tabelle allegate al D.P.R. n. 1124 del 1965, siccome espressamente richiamate sia dalla L. n. 990 del 1969, art. 21, sia dal D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 283 (di analogo contenuto al previgente art. 21 citato), avrebbe violato l’art. 12 disp. gen., in ordine all’interpretazione dei predetti testi normativi.

1.1. – Il motivo è infondato.

Questa Corte – in fattispecie del tutto sovrapponibile a quella oggetto del presente scrutinio, ossia di liquidazione del danno biologico (e, segnatamente, della misura della percentuale di invalidità permanente) patito da danneggiato in sinistro causato da veicolo non identificato – ha già enunciato il principio per cui i limiti di risarcibilità dei danni alla persona causati da veicolo o natante non identificato, previsti dalla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 21, comma 2 (applicabile ratione temporis nella fattispecie, sebbene oggi trasfuso nel D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 283), attraverso il rinvio alle previsioni del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, operano solo per i danni patrimoniali (Cass., 14 febbraio 2013, n. 3637).

Da tale principio non vi è motivo di discostarsi, considerato che, in effetti, la figura del “danno biologico” non era nota al D.P.R. n. 1124 del 1969, il cui art. 74, comma 1, si riferiva alla “inabilità permanente”, quale nozione che non poteva identificarsi con quella di lesione della salute in sè, siccome prescindente dalla capacità di guadagno, così da venire a configurare un diritto alla rendita la quale, in quanto correlata al reddito dell’assicurato, seppure a parità di gravità delle lesioni, ben poteva essere diversa da infortunato ad infortunato (sulla inconfigurabilità di un c.d. “danno biologico previdenziale” in base alla riduzione della capacità lavorativa generica indennizzata ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1969, cfr., tra le altre, Cass., 30 luglio 2003, n. 11704 e Cass., 30 dicembre 2015, n. 26165).

Invero, la indennizzabilità del “danno biologico” in ambito specifico della tutela degli infortuni sul lavoro e della malattie professionali è stata introdotta soltanto dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, che, tuttavia, è disposizione che non si innesta direttamente nel corpo di quelle del citato D.P.R. n. 1124 e che assume l’anzidetta indennizzabilità unicamente ai fini precipui della tutela previdenziale, là dove – recependo l’elaborazione giurisprudenziale, divenuta “diritto vivente” – la disciplina del danno biologico relativamente a sinistri causati dalla circolazione stradale è stata dettata, in via generale, del D.Lgs. n. 205 del 2009, artt. 138 e 139, cui l’art. 283, comma 3, dello stesso D.Lgs., non deroga espressamente in parte qua.

Peraltro, posto quanto appena evidenziato, una tale soluzione si impone anche in ragione del criterio ermeneutico privilegiato di conformità dell’opzione esegetica prescelta alla Carta costituzionale, ponendosi altrimenti seri dubbi di compatibilità dell’interpretazione auspicata dal ricorrente con il combinato disposto degli artt. 3 e 32 Cost., per la ingiustificata disparità di trattamento nella tutela risarcitoria della salute riservata ai soli danneggiati a seguito di sinistro causato da veicolo non identificato, quanto all’accertamento inerente alla entità dei postumi derivanti dalla medesima lesione dell’integrità psico-fisica.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia “e/o in subordine dei n. 3 e 5 stessa norma”.

La Corte territoriale non avrebbe pronunciato sulla doglianza relativa al rigetto, da parte del primo giudice, del risarcimento del danno da postumi incidenti sulla capacità lavorativa specifica, in ragione dell’erronea affermazione che non vi era prova che esso attore svolgesse “attività lavorativa di natura manuale”.

Ove, poi, si possa ritenere che detta pronuncia vi sia stata, il giudice di secondo grado, travisando quanto dedotto a p. 5 dell’atto di appello, avrebbe insufficientemente motivato su fatto decisivo per la decisione della controversia, avendo “mal compreso che il M. chiedeva di essere risarcito proprio nella qualità lavorativa da esso svolta”, così violando anche del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 137, n. 3, sul ricorso al parametro del triplo della pensione sociale.

2.1. – Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

2.1.1. – E’ infondato là dove evoca una omissione di pronuncia su motivo di gravame che non è dato affatto apprezzare nella decisione impugnata, la quale ha espressamente rigettato la censura che riguardava la reiezione, da parte del primo giudice, della pretesa risarcitoria concernente il danno patrimoniale da lesione della capacità lavorativa specifica.

2.1.2. – E’ inammissibile là dove evoca un vizio di “insufficiente motivazione su fatto decisivo”, posto che – al di là della circostanza stessa che, nella specie, è dato apprezzare come sussistente una motivazione espressa ed intelligibile da parte del giudice del gravame – la doglianza, come tale, non è più veicolabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione, novellata dal legislatore del 2012, applicabile ratione temporis (per essere la sentenza impugnata stata pubblicata il 12 aprile 2013), che limita il vizio denunciabile all'”omesso esame” del fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

E’, altresì, inammissibile là dove postula la violazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 137, comma 3, giacchè, a tacer d’altro (anzitutto, sulla applicabilità ratione temporis della disposizione alla controversia), non viene impugnata nella sua portata effettiva e completa la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale muove dal presupposto, non censurato specificamente, della allegazione, ad opera dell’attore, di attività lavorativa remunerata senza, però, indicazione alcuna del reddito a tal riguardo percepito (ossia di ipotesi che è ricondurre, piuttosto, al comma 1 dell’invocato art. 137).

3. – Il ricorso va, pertanto rigettato.

In assenza di attività difensiva da parte dell’intimata compagnia assicuratrice, non occorre disporre in ordine alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE:

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2016

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