Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23710 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. I, 28/10/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 28/10/2020), n.23710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12386/2019 r.g. proposto da:

J.E., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato

Giuseppe Briganti, presso il cui studio elettivamente domicilia in

Fermignano (PU), alla via R. Ruggeri n. 2/A.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI ANCONA depositato il giorno

05/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. J.E., nativo della (OMISSIS), ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., contro il “decreto” del Tribunale di Ancona del 5 marzo 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

1.1. Quel tribunale ritenne scarsamente credibili le sue dichiarazioni (così condividendo l’analogo giudizio della commissione territoriale di Ancona) e, comunque, che i motivi addotti da lui a sostegno delle sue richieste fossero inidonei a consentirne l’accoglimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I formulati motivi prospettano, rispettivamente:

I) “Nullità del decreto impugnato, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 1, 11, lett. A), e art. 13, nonchè degli artt. 737,135 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2 e dell’art. 111 Cost., comma 6”. Ci si duole dell’assenza di motivazione in merito alle ragioni della ritenuta inverosimiglianza delle affermazioni del richiedente, alla luce delle critiche che erano state rivolte alla decisione della commissione territoriale e dei documenti in atti, e si aggiunge, tra l’altro, che: a) all’udienza del 13 dicembre 2018, il richiedente era comparso, ma non era stata compiuta alcuna specifica indagine in merito alle circostanze rilevanti ai fini della decisione; b) la fissazione dell’udienza nel caso in cui, come nella specie, manchi la videoregistrazione del colloquio dinanzi alla commissione svolge la funzione di valutare le dichiarazioni del richiedente in tutte i suoi risvolti anche non verbali; c) pertanto, in tale ipotesi, è necessario disporre l’interrogatorio libero del richiedente – nel caso di specie, tra l’altro, espressamente richiesto – destinato a svolgersi dinanzi all’intero collegio, senza possibilità di delega al solo relatore (che, peraltro, lo aveva a sua volta affidato ad un GOT); d) la necessaria procedimentalizzazione della valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente impone uno scrutinio dei criteri normativamente previsti a tali fini; e) che il tribunale, enunciati siffatti criteri, si era focalizzato su aspetti secondari, senza procedere ad una compiuta e globale valutazione della narrazione del ricorrente, alla luce delle critiche che erano state articolate con il ricorso; t) che, ancora, non era dato comprendere se il tribunale avesse, o non, ritenuto credibile la narrazione del ricorrente; g) che nel decreto impugnato manca un riferimento alle fonti attuali, al momento della decisione, sulla situazione socio-economico-politica della Nigeria e sulla possibilità per una persona nella specifica situazione del richiedente di trovare idonea ed effettiva protezione da parte delle autorità locali; h) che neppure era dato rinvenire, con riguardo alla invocata protezione per motivi umanitari, l’indicazione delle ragioni destinate ad esprimere l’effettiva valutazione comparativa richiesta dalla legge;

II) “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, con riguardo alle circostanze ed alle fonti normative indicate nel primo motivo di ricorso;

III) “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in riferimento all’art. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32, Cost.; L. n. 881 del 1977, art. 11; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27, 32, 35-bis, ed all’art. 16 della direttiva Europea n. 2013/32, nonchè agli artt. 2, 3, – anche in relazione all’art. 115 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 6, 7 e 14, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e 19, comma 2”. Si sottolinea che il giudice, per formulare un giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, avrebbe dovuto esaminarle nella loro globalità, nel rispetto del dovere di cooperazione istruttoria. Nel prosieguo, si riproducono le considerazioni svolte nel primo motivo, a proposito della necessità di procedere all’audizione del richiedente, in caso di assenza della videoregistrazione, e si richiamano i principi in materia di cooperazione istruttoria, di valutazione della credibilità del ricorrente, di ricorso a fonti aggiornate;

IV) “Violazione e/o falsa applicazione di numerose norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea ed all’art. 46 della Direttiva Europea n. 2013/32”, richiamandosi le argomentazioni dei precedenti motivi ed aggiungendosi che il principio di effettività del ricorso non può dirsi rispettato in presenza della denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice.

2. I quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, quando non letterale sovrapposizione. Muovendo, in ordine logico, dai profili di carattere processuale, deve darsi immediatamente atto che l’ulteriore profilo di nullità del provvedimento impugnato (per carenza della concisa esposizione dei fatti posti a fondamento delle domande del richiedente protezione), dedotto dal ricorrente nella memoria ex art. 380-bis. 1 c.p.c. (cfr. pag. 13), così ampliando l’originario contenuto del primo motivo, deve considerarsi inammissibile posto che, nel giudizio civile di legittimità, le memoria di cui agli artt. 380-bis e 380-bis.1 c.p.c., non possono contenere nuove censure, ma solo illustrare quelle già proposte (cfr., ex multis, Cass. n. 17893 del 2020; Cass. n. 24007 del 2017; Cass. n. 26332 del 20/12/2016). Fermo quanto precede, si osserva quanto segue.

2.1. Il ricorrente, dopo avere sottolineato la necessità della sua audizione, si duole del fatto che sarebbe comparso dinanzi al solo relatore (anzi, innanzi ad un GOT da questi delegato), senza alcuna specifica indagine in merito alle circostanze rilevanti per la decisione.

2.1.1. Ora, preliminarmente, si osserva che la giurisprudenza di questa Corte, in coerenza con la lettera della legge, è ferma nel ritenere che, nei giudizi dei quali si discute, in caso di indisponibilità della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, salvo che il richiedente non abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (cfr. Cass. n. 15325 del 2020, in motivazione; Cass. n. 17076 del 2019; Cass. n. 14148 del 2019; Cass. n. 10786 del 2019; Cass. n. 17717 del 2018).

2.1.2. Tuttavia, sin da quest’ultima pronuncia si è chiarito che la necessaria instaurazione del contraddittorio serve a consentire al richiedente di far valere le sue ragioni e di sviluppare argomenti anche sulla base delle conclusioni della commissione territoriale, ma non comporta un dovere di disporre nuovamente l’audizione del richiedente. Cass. 17717 del 2018 ha puntualmente ricordato, al riguardo, il par. 49 della sentenza della Corte di Giustizia del 26 luglio 2017, nella causa C-348/16, in cui si legge che: “la direttiva 2013/32, e in particolare i suoi artt. 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’art. 47 della Carta, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione, a condizione che, da una parte, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’art. 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo”.

2.1.2. La condivisa specificazione di Cass. n. 17717 del 2018, secondo cui la videoregistrazione consente di rendere direttamente percepibili nella loro integralità, finanche sotto il profilo dei risvolti non verbali, le dichiarazioni del richiedente, non esprime alcuna contraddittorietà argomentativa. Invero, la presenza della videoregistrazione offre un’ampia piattaforma conoscitiva che consente la decisione del procedimento senza la partecipazione delle parti, salvo che il tribunale non ritenga di disporre l’audizione dell’interessato o di chiedere chiarimenti alle parti o di disporre consulenza tecnica o di assumere altri mezzi di prova (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 10: il fatto, poi, che la comparizione possa essere giustificata anche dalla avvertita rilevanza di chiarimenti e non necessariamente dall’audizione del richiedente dimostra che il contraddittorio può ben assumere rilievo anche al di fuori di un diretto contributo dichiarativo dell’istante). Ma la sua mancanza non rende privo di significato il verbale del colloquio svolto davanti alla commissione territoriale, semmai imponendo la possibilità di una interlocuzione con la difesa in grado di sottolineare aporie o lacune istruttorie che rendano necessari approfondimenti nel procedimento. Deve rimarcarsi, infine, che, giusta la recentissima Cass. n. 21584 del 2020, “nei giudizi in materia di protezione internazionale, il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile”.

2.1.3. Per questa ragione, mentre la mancata fissazione dell’udienza di comparizione, in assenza della videoregistrazione, comporta una nullità processuale per il vulnus inferto alle garanzie difensive, la mancata audizione dinanzi al tribunale del richiedente, in assenza di videoregistrazione, può assumere rilievo solo in quanto si sia tradotta in un vizio del percorso argomentativo della decisione, nei limiti in cui ciò è consentito nel giudizio di legittimità.

2.2. Su quest’ultimo punto si tornerà immediatamente infra, una volta esaminata la seconda questione processuale posta dal ricorrente che lamenta che la comparizione del ricorrente sarebbe avvenuta dinanzi al solo relatore (anzi davanti ad un GOT da lui a tanto delegato) e non all’intero collegio.

2.2.1. Ora, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, dispone che: “Le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti previsti dall’art. 35, anche per mancato riconoscimento dei presupposti per la protezione speciale a norma dell’art. 32, comma 3, sono regolate dalle disposizioni di cui agli artt. 737 c.p.c. e segg., ove non diversamente disposto dal presente articolo”.

2.2.2. Questa Corte ha ripetutamente escluso la nullità del procedimento nell’ambito del quale il collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione abbia delegato ad un giudice onorario di tribunale il compito di procedere all’audizione del richiedente, riservandosi la decisione della causa all’esito di tale adempimento: in proposito, infatti, è stata richiamata la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 116 del 2017, recante la riforma organica della magistratura onoraria, e segnatamente le disposizioni dettate dall’art. 10, che consente ai giudici professionali di delegare, anche nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, ivi compresa l’assunzione di testimoni, e dall’art. 11, il quale esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari soltanto per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non sono compresi quelli di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis (cfr. Cass. n. 7878 del 2020; Cass. n. 4887 del 2020; Cass. n. 3356 del 2019).

2.2.3. Nella specie, però, J.E. si duole, sostanzialmente, che la delega al giudice onorario non sarebbe stata conferita direttamente dal collegio investito della decisione, ma dal giudice relatore, al quale il collegio aveva delegato il compito di procedere all’audizione. Sul punto, tuttavia, la doglianza si rivela inammissibile per carenza di autosufficienza, non avendo il ricorrente riprodotto in ricorso il contenuto del corrispondente verbale di udienza da cui emergerebbe l’avvenuta sua audizione innanzi al giudice onorario (GOT). Deve qui solo ricordarsi che: i) in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (cfr. Cass., SU, n. 34469 del 2019); ii) l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato – come nella specie – un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura (cfr. Cass., SU, n. 28332 del 2019, in motivazione; Cass. n. 22880 del 2017; Cass. n. 21621 del 2007; Cass. n. 20405 del 2006).

2.2.4. In definitiva, sia che il ricorrente abbia censurato la mancata audizione del ricorrente (benchè sub specie di assenza di una “specifica esaustiva indagine”) sia che, sul presupposto dell’audizione, abbia solo censurato il fatto che questa non sia avvenuta dinanzi al collegio, le critiche processuali sono insuscettibili di accoglimento.

2.3. Fermo quanto precede, le doglianze proposte si risolvono, nella sostanza, nella denuncia, di per sè inammissibile, di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti sulla cui base sono state respinte le domande di protezione internazionale e di protezione umanitaria. Esse, pertanto, finiscono con l’esprimere un mero – e, come tale, inammissibile – dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dal tribunale a proposito della condizione personale del ricorrente sulla base sia dei dati tratti da fonti accreditate, e puntualmente indicate, sia delle dichiarazioni dell’interessato.

2.4. Va rimarcato, peraltro, che, con orientamento ormai consolidato ed anche di recente ribadito da questa Corte (cfr., ad esempio, Cass. n. 3819 del 2020), il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito. In altri termini, la “motivazione apparente” ricorre allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice. In questo senso possono citarsi numerose pronunce che convergono nella indicata nozione, talora variamente accentuandone i diversi elementi (cfr., ex plurimis, Cass. n. 4891 del 2000; Cass. n. 1756 e n. 24985 del 2006; Cass. n. 11880 del 2007; Cass. n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009; Cass. n. 4488 del 2014; Cass., SU, n. 8053 e n. 19881 del 2014).

2.4.1. In particolare, in tema di valutazione delle prove e soprattutto di quelle documentali, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (cfr. Cass. n. 14762 del 2019; cfr., anche sulla tipologia del vizio, Cass. n. 22598 del 2018).

2.4.2. Tale non è, però, la situazione sussistente nel caso di specie, dove, con riferimento alle forme di protezione invocata, il tribunale ha operato una valutazione del narrato del ricorrente, alla luce di fonti di informazione (puntualmente indicate), il cui aggiornamento è solo genericamente contestato dal ricorrente.

2.4.3. In realtà, tenuto conto della portata del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad essere aspecifiche sono le critiche espresse alla valutazione del tribunale, nella misura in cui reiterano assertivamente fatti ed indicano generali criteri valutativi, sottolineando contraddizioni inesistenti.

2.4.4. Invero, la valutazione di non credibilità del ricorrente è doppiata, nella motivazione del decreto impugnato, dalla subordinata considerazione che, anche se i fatti narrati fossero veri, comunque non ricorrerebbero i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, essendo stata esclusa la sussistenza degli elementi che possono eccezionalmente portare a dare rilievo alle vicende di tipo privato – come quella narrata (sostanzialmente riconducibile ad una disputa ereditaria) – le quali non possono essere addotte, di per sè, come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, in quanto le “vicende private” sono estranee al sistema della protezione internazionale, a meno che emergano atti persecutori o danno grave non imputabili da ricondurre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b), anche indirettamente laddove non possano o non vogliano fornire la protezione adeguata (cfr. Cass. n. 9043 del 2019).

2.4.5. In altre parole, il nesso logico di subordinazione tra le due rationes decidendi consente di comprendere il significato del percorso argomentativo seguito e di escludere la sussistenza di quei radicali vizi motivazionali sopra ricordati che integrano una violazione di legge.

2.5. D’altra parte, esclusa la sussistenza di una violazione di legge, deve ribadirsi, con riguardo alla doglianza di mancato esame di documenti, che, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” ed il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., SU., n. 8053 del 2014).

2.6. Deve rimarcarsi, inoltre, che il tribunale dorico ha escluso che ricorressero nella vicenda narrata da J.E. – il quale aveva allegato di essere fuggito dalla Nigeria, Delta State, suo Paese di origine, per i timori derivatigli da asserite aggressioni subite da un gruppo di giovani che intendevano arruolare il ricorrente o i suoi familiare per proteggere i pozzi di petrolio dal Governo – i requisiti delle forme di protezione richieste, perchè: i) ha giudicato scarsamente credibili le sue dichiarazioni (così condividendo l’analogo giudizio della commissione territoriale di Ancona), osservando che, “innanzitutto, il richiedente non è stato in grado di circostanziare la vicenda (nomi, tempo, luogo), peraltro su fatti essenziali e determinanti l’espatrio; i riferimenti agli arruolamento non sono dettagliati”, e, successivamente, che le sue dichiarazioni “restano confinate nei limiti di una vicenda di vita privata e di giustizia comune (….), pertanto il ricorrente avrebbe dovuto richiedere la protezione del suo Paese ed attenderne l’esito” (cfr. pag. 2-3 del decreto impugnato); ii) l’istante non aveva allegato di essere affiliato politicamente o di aver preso parte ad attività di associazioni di diritti civili, nè di appartenere ad una minoranza etnica e/o religiosa, o di altro tipo, oggetto di persecuzione; iii) ha escluso, sulla base della consultazione di affidabili fonti di informazioni, delle quali ha pure dato puntualmente conto nel provvedimento impugnato, che in Nigeria, Delta State, sia riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. amplius, pag. 3-5, nonchè 7-8 del menzionato decreto); iv) quanto alla invocata protezione umanitaria (da scrutinarsi alla stregua della disciplina, da ritenersi applicabile ratione temporis – cfr. Cass., SU, nn. 29459-29461 del 2019 di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6), ha evidenziato l’assenza di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità del richiedente protezione, nonchè di un suo effettivo radicamento sul territorio dello Stato ospitante, determinato da ragioni familiari o di una concreta integrazione lavorativa, letta in connessione con il mancato riscontro di una situazione di grave compromissione dei diritti umani fondamentali nel Paese di origine, così da non consentire di pervenire ad una prognosi positiva quanto all’esposizione del richiedente, in ipotesi di rimpatrio, ad una situazione di negazione della dignità personale.

2.7. Al cospetto di un simile impianto argomentativo, sotteso al diniego di tutte le forme di protezione internazionale e corredato da una spiegazione esauriente delle ragioni atte a suffragare il rigetto delle domande proposte – sicchè, come si è già detto, non si ravvisano quei radicali vizi motivazionali che oggi assumono rilievo in sede di legittimità: “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014) – i formulati motivi sono complessivamente inammissibili, atteso che il tribunale ha fondato il proprio giudizio su di una lettura integrata, siccome stabilito alla disposizione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), delle dichiarazioni rese da J.E., giudicate scarsamente credibili, e delle informazioni circa il suo Paese di origine, siccome ritraibili dalla consultazione di fonti qualificate ed aggiornate, e sulla base di ciò ha escluso che ricorressero le condizioni per il riconoscimento sia della protezione maggiore (status di rifugiato e protezione sussidiaria) che di quella minore.

2.7.1. Va altresì rimarcato che la giurisprudenza di legittimità ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti, come si è già riferito), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014; ii) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori investe le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c), del medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, in Delta State, in Nigeria, non si segnala attualmente alcuna significativa instabilità politica. Va solo rimarcato che, come recentemente chiarito da Cass. n. 29056 del 2019, l’eventuale omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poichè, in tal caso, l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il tribunale renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando (ma tale ipotesi non è stata minimamente dedotta nell’odierna fattispecie) costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio. In altri termini, e più specificamente, colui che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito non deve limitarsi a dedurre l’astratta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ma ha l’onere di allegare l’esistenza e di indicare gli estremi delle COI che, secondo la sua prospettazione, ove fossero state esaminate dal giudice di merito avrebbero dovuto ragionevolmente condurre ad un diverso esito del giudizio. La mancanza di tale allegazione impedisce alla Corte di valutare la rilevanza e decisività della censura, rendendola inammissibile.

2.7.2. A tanto deve soltanto aggiungersi che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte (cfr. Cass. n. 2355 del 2020; Cass. n. 30105 del 2018).

2.8. Nessun decisivo rilievo assume, inoltre, ai fini della corretta applicazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, l’eventuale integrazione socio-lavorativa asseritamente raggiunta dal richiedente, posto che vige nella materia de qua il principio di diritto secondo il quale non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (cfr. Cass. n. 17072 del 2018).

2.8.1. Approdi interpretativi, quelli riportati, che, di recente, hanno ricevuto l’autorevole avallo della Sezioni Unite di questa Corte, che, con la sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019, hanno sancito che “in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”.

2.9. A fronte di tali approfonditi rilievi, che danno conto della correttezza dell’operazione di sussunzione dei fatti allegati alle norme di legge di cui il ricorrente ha chiesto l’applicazione, le doglianze sviluppate in ricorso investono, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione internazionale ed umanitaria), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposte, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019).

2.10. Per quanto si è detto, risulta inammissibile, perchè irrilevante, anche la censura con la quale si denuncia la violazione del principio di effettività del ricorso derivante dall’asseritamente mancata utilizzazione da parte del Giudice dei poteri istruttori officiosi. Va ricordato, peraltro, che secondo la Corte di Strasburgo, requisito essenziale per il rispetto del diritto al ricorso effettivo al giudice è quello della garanzia in favore dell’interessato dell’effettiva conoscenza della facoltà di esercitare il proprio diritto a prender parte al procedimento e, di conseguenza, ad un equo processo (Corte EDU, sentenza 27/04/2017, Schmidt c. Lettonia).

2.10.1. Nella specie, il ricorrente non deduce di non aver potuto esercitare tale diritto.

3. L’odierno ricorso, pertanto, va respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, atteso che il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

 

 

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