Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2371 del 31/01/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 2371 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: TATANGELO AUGUSTO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 13918 del ruolo generale
dell’anno 2014, proposto
da
PRESTI Antonella (C.F.: PRS NNT 55844 D960Q), in
proprio e quale amministratore di sostegno di LO IACONO Marianna (C.F.: LCN MNN 93S60 D960P)
LO IACONO Basilio (C.F.: LCN BSL 82M31 C351C)
LO IACONO Giuseppe (C.F.: LCN GPP 85M17 D960L)
tutti rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso,
dall’avvocato Vincenzo Battaglia (C.F.: BTT VCN 51A10
D960Q)
-ricorrentinei confronti di
ASSESSORATO ALLA SANITÀ DELLA REGIONE SICILIA
(C.F.: non indicato), in persona dell’Assessore legale
rappresentante pro tempore, in proprio e quale ente
subentrante alla GESTIONE STRALCIO DELLA SOPPRESSA U.S.L. N. 17 DI GELA, in persona del legale rappresentante pro tempore
AZIENDA OSPEDALIERA VITTORIO EMANUELE DI GELA,
oggi PRESIDIO OSPEDALIERO VITTORIO EMANUELE —
A.S.P. DI CALTANISSETTA (C.F.: 01414850857), in persona del legale rappresentante pro tempore
A.U.S.L. N. 2 DI CALTANISSETTA (P.I.: 01825570854),
in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimatiRic. n. 13918/2014 – Sez. 3 – Ad. 5 dicembre 2017 – Ordinanza – Pagina 1 di 7

Cuze&.

Data pubblicazione: 31/01/2018

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta n. 94/2013, depositata in data 10 aprile 2013;
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio
del 5 dicembre 2017 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatti di causa
Antonietta Presti e Pietro Lo Iacono, in proprio e nella qualità
di genitori legali rappresentanti della figlia minore Marianna Lo

Caltanissetta (quale Commissario Liquidatore della soppressa
USL n. 17 di Gela), dell’Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele
di Gela e dell’Assessorato alla Sanità della Regione Sicilia, per
ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di asserite
negligenze dei sanitari della struttura ospedaliera ove la prima
era stata ricoverata in occasione del parto, avvenuto nel
1993, che avrebbero causato alla nascitura gravissime patologie (tetraparesi spastica e insufficienza mentale medio-grave).
Il Tribunale di Caltanissetta, dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Assessorato alla Sanità della Regione Sicilia
e dell’Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele di Gela, ha accolto la domanda nei confronti della Gestione Stralcio presso la
AUSL n. 2 di Caltanissetta anche per la definizione delle pendenze della pregressa USL n. 17 di Gela (da cui dipendeva
all’epoca dei fatti l’Ospedale Vittorio Emanuele).
La Corte di Appello di Caltanissetta, in riforma della decisione
di primo grado, ha dichiarato il difetto di legittimazione processuale dell’Azienda Unità Sanitaria Locale n. 2 di Caltanissetta, ha dichiarato inammissibile l’appello dell’Azienda Ospedaliera Vittorio Emanuele di Gela e, in accoglimento di quello
avanzato dall’Assessorato alla Sanità della Regione Sicilia
(frattanto subentrato nelle posizioni soggettive passive delle
soppresse UUSSLL), ha rigettato la domanda nel merito.
Ricorrono Antonietta Presti, in proprio e nella qualità di amministratore di sostegno della figlia Marianna Lo Iacono (che ha
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Iacono, hanno agito in giudizio nei confronti della ASL n. 2 di

raggiunto la maggiore età nel corso di giudizio), nonché Basilio e Giuseppe Lo Iacono, tutti eredi di Pietro Lo Iacono (deceduto nel corso del giudizio), sulla base di quattro motivi.
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati.
Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis.1 c.p.c..
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-

Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo
della controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. Acritica
adesione della Corte di Appello alle conclusioni del consulente
tecnico. Difetto di motivazione».
Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata risulta pubblicata nel mese di aprile
2013. Dunque, in base alla formulazione applicabile alla fattispecie ratione temporis dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il
vizio di «omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia» non è deducibile come motivo di ricorso per cassazione.
D’altra parte non sussiste nel provvedimento impugnato, e
non risulta del resto neanche specificamente denunziato, un
“difetto di motivazione” tale da consentire di ravvisare una vera e propria “motivazione apparente” o “intrinsecamente ed
insanabilmente contraddittoria”, come sarebbe necessario, ai
sensi della formulazione vigente dell’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c. (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014,
Rv. 629830 e 629831).
2. Con il secondo motivo si denunzia «erronea ricostruzione
del nesso causale che, in materia civile, deve essere verificato
in relazione agli elementi disponibili nel caso concreto, riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di
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bis.1 c. p.c..

conferma e verificando, nel contempo, l’esclusione di possibili
elementi alternativi (probabilità logica o baconiana). Motivazione lacunosa e contraddittoria in relazione a fatti decisivi
della controversia».
Con il terzo motivo si denunzia «violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.. Onere
della prova».

logico tra i trattamenti sanitari prestati alla partoriente ed alla
neonata e i danni alla salute dalla stessa lamentati — sono
connessi e possono essere esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati.
Secondo i consulenti tecnici nominati nel corso del giudizio di
appello al fine di rinnovare le operazioni peritali espletate in
primo grado (che avevano del resto condotto ad analoghe
conclusioni, disattese però dal tribunale) «la encefalopatia ipossico ischemica patita dalla bambina ha un’origine prenatale, probabilmente da iponatriemia materna e/o da altre cause,
concorrenti o determinanti, che sfuggono alla identificazione
come accade nella maggior parte dei casi di danno neurologico antenatale»; inoltre, «anche se la bambina fosse stata più
tempestivamente trasferita in altra struttura dai pediatri di
Gela, il trattamento terapeutico non sarebbe stato diverso da
quello somministrato; e anche da una più precoce diagnosi del
danno neurologico prenatale la neonata non avrebbe tratto
beneficio alcuno, stante che la terapia era stata correttamente
somministrata» (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).
Nei successivi chiarimenti, essi hanno poi «ulteriormente esplicitato le ragioni per le quali poteva considerarsi plausibile
l’ipotesi pato genetica di un danno neurologico fetale instauratosi prima della nascita; hanno aggiunto tuttavia che non potevano escludersi altre cause concorrenti o determinanti».

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Il secondo ed il terzo motivo — aventi ad oggetto il nesso ezio-

La corte di appello ne ha tratto le seguenti conclusioni (cfr.
pag. 11 della sentenza): «i consulenti della Corte con ampie e
motivate argomentazioni ribadiscono il loro convincimento in
ordine alla probabile origine prenatale del danno neurologico,
ma anche a volersi limitare a considerare tali argomentazioni
tecniche capaci di prospettare solo un’interpretazione alternativa del corteo sintomatologico (cosa che in un quadro così

errori tecnici nelle valutazioni dei CCTTUU, appare la scelta più
ragionevole), si evidenzia che non può darsi per certa la riconducibilità del danno al comportamento dei medici del reparto pediatrico».
Dunque, all’esito della valutazione delle prove, la corte di appello non solo ha rilevato che non era stato dimostrato che il
danno neurologico di cui era stato chiesto il risarcimento fosse
causalmente riconducibile alla condotta dei medici che avevano assistito il parto e/o della struttura sanitaria, ma che era
addirittura più probabile che detto danno avesse una causa
preesistente alla nascita, come tale certamente non riconducibile a responsabilità dei sanitari.
Ha comunque accertato in fatto – in aderenza alle conclusioni
dei consulenti tecnici di ufficio – che né da una eventuale diagnosi precoce né da un eventuale immediato trasferimento in
una struttura maggiormente attrezzata la neonata avrebbe
tratto beneficio.
La decisione impugnata risulta del tutto conforme ai principi di
diritto affermati da questa Corte in tema di accertamento e
prova della condotta colposa e del nesso causale nelle obbligazioni risarcitorie, che possono essere sintetizzati come segue:
«sia nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il
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complesso, e a fronte dell’impossibilità di riscontrare specifici

nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l’oggetto di
due accertamenti concettualmente distinti; la sussistenza della prima non dimostra, di per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa;
l’art. 1218 c.c. solleva il creditore della obbligazione che si afferma non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall’onere di provare il nesso di cau-

sarcimento;
nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica,
è onere dell’attore, paziente danneggiato, dimostrare
l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il
danno di cui chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del
sanitario è stata, secondo il criterio del “più probabile che
non”, la causa del danno; se, al termine dell’istruttoria, non
risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la
causa del danno lamentato dal paziente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata» (in tal senso, di
recente, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18392 del 26/07/2017, Rv.
645164 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 26824 del
14/11/2017; Sez. 3, Sentenza n. 26825 del 14/11/2017, non
massimate).
Essa si sottrae dunque alle censure avanzate dai ricorrenti.

3. Con il quarto motivo si denunzia «violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e ss., 175 e ss. c.p.c. in relazione
all’art. 360 n. 5 c.p.c.».
Secondo i ricorrenti, la corte di appello avrebbe dovuto provvedere a sostituire il collegio peritale nominato per rinnovare
la consulenza tecnica in secondo grado, come da loro richiesto, per la complessità dell’incarico e per l’inconciliabilità delle
conclusioni raggiunte dai consulenti di ufficio con quelle espresse dai propri consulenti di parte, o quanto meno spiegare
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sa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il ri-

specificamente perché non aveva provveduto a detta sostituzione.
Il motivo è manifestamente infondato.
Non costituisce motivo di nullità della sentenza o del procedimento la mancata sostituzione del consulente tecnico e la
mancata rinnovazione delle operazioni di consulenza sulla base della richiesta della parte che contesti le conclusioni rag-

nale del giudice di individuare l’ausiliario di cui intende avvalersi non è sindacabile in sede di legittimità.
4. Il ricorso è rigettato.
Nulla è a dirsi in ordine alle spese del giudizio, non avendo gli
intimati svolto attività difensiva.
Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente
al termine previsto dall’art. 1, co. 18, della legge n. 228 del
2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui
all’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto
dall’art. 1, co. 17, della citata legge n. 228 del 2012.
per questi motivi
La Corte:

rigetta il ricorso;

nulla per le spese.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del
2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, in data 5 dicembre 2017.

giunte dal consulente stesso: l’esercizio del potere discrezio-

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