Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2371 del 09/02/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 2371 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BUFFA FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 30779-2011 proposto da:
BRUGI CLAUDIO C.F. BRGCLD66C04C289L, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA TUSCOLANA 9, presso lo
studio dell’avvocato ROSELLINA RICCI, rappresentato e
difeso dall’avvocato EMILIO FESTA, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2014
3186

contro

METAN PETROLI DI ROMANELLI BRUNO & C. S.N.C. P.I.
00419310552, in persona del legale rappresentante pro
tempore, domiciliata in ROMA, VIAt9DELLA PIRAMIDE

Data pubblicazione: 09/02/2015

CESTIA i/B, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
MARIA GIOVANELLI, rappresentata e difesa
dall’avvocato LUCIANO BROZZETTI, giusta delega in
atti;
– controricorrente

di PERUGIA, depositata il 17/08/2011 R.G.N. 317/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/10/2014 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO BUFFA;
udito l’Avvocato BROZZETTI LUCIANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

4.
4.

avverso la sentenza n. 189/2011 della CORTE D’APPELLO

I.

1. Con sentenza 17/8/2011, la corte d’appello di Perugia, in riforma della sentenza
del 13/3/2010 del tribunale di Orvieto, ha rigettato la domanda proposta contro
la Metan petroli snc, volta a far qualificare il rapporto in essere, formalmente di
associazione in partecipazione, come lavoro subordinato, e conseguentemente a
far qualificare il recesso come licenziamento disciplinare, con ogni conseguenza di
legge.
In particolare, la corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dei caratteri
dell’associazione di partecipazione ed in ogni caso non dimostrati gli estremi del
rapporto di lavoro subordinato (ed in particolare la soggezione del lavoratore al
potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro).
2. Avverso tale sentenza ricorre l’associato per un motivo, cui resiste l’associante con
controricorso, illustrato da memoria.
3. Con unico motivo di ricorso — ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. — si deduce
violazione degli articoli 2094, 2549, 2697 c.c., 86 digs. 276/03, 35 Cost., per aver
trascurato che la legge su richiamata presume la subordinazione ove manchi
l’effettiva partecipazione del lavoratore o adeguate erogazioni in suo favore (da
intendersi quale partecipazione agli utili e diritto al rendiconto).
4. Il motivo è infondato. La corte territoriale ha -con motivazione ampia, adeguata e
corretta- esaminato i caratteri della fattispecie tenendo conto degli elementi di
fatto invocati dall’associato, ed ha concluso —all’esito di istruttoria appositaritenendo effettiva l’associazione in partecipazione. In particolare, la corte ha
valorizzato che l’associato aveva ampia autonomia per quanto riguardava
l’approvvigionamento dei carburanti e la gestione del rapporto con i fornitori, la
fissazione dei prezzi e delle condizioni di vendita, la riscossione dei corrispettivi, la
concessione di dilazioni di pagamento ai clienti, senza che l’associante operasse
alcun controllo sulle presenze degli associati o si ingerisse nelle modalità di
conduzione e gestione dell’impianto; mentre per altro verso la corte ha dato
rilievo all’assenza di vincoli di orario o di presenza, alla possibilità di concordare
con l’altro associato i turni di presenza, alla possibilità di farsi sostituire o aiutare
da terzi da loro direttamente reclutati e retribuiti, nonché all’assenza di soggezione
del lavorante al potere direttivo e disciplinare della controparte; secondo la
decisione impugnata, anzi, nella specie gli associati avevano accesso ai dati
contabili e ricevevano periodicamente comunicazioni dall’associante circa i
risultati della gestione, potendo altresì — come avvenuto in alcune occasionicontestare il bilancio, ed in ogni caso essi partecipavano agli utili ed alle perdite
secondo l’andamento dei singoli esercizi.
5. Tale valutazione è del tutto rispettosa dei principi indicati da questa Corte —ed ai
quali va data continuità- in ordine alla distinzione tra il rapporto di associazione in
partecipazione e il rapporto di lavoro subordinato, essendosi precisato in tema di

I

distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di
prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con
retribuzione collegata agli utili dell’impresa (tra le altre, Sez. L, Sentenza n. 24871
del 08/10/2008, Rv. 605042; Sez. L, Sentenza n. 2693 del 24/02/2001, Rv.
544158), che la riconducibilità del rapporto all’uno o all’altro degli schemi predetti
esige un’indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua
delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che
caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo
implica l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante e l’esistenza per
l’associato di un rischio di impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica un
effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell’associante
di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere
gerarchico e disciplinare della persona o dell’organo che assume le scelte di fondo
dell’organizzazione dell’azienda. Peraltro, va evidenziato (con Sez. L, Sentenza
n. 24871 del 08/10/2008, Rv. 605042) che la riconducibilità del rapporto all’uno
o all’altro degli schemi predetti esige un’indagine del giudice del merito – volta a
cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto
rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti – il cui accertamento, se
adeguatamente e correttamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità.
Si è altresì affermato (Sez. L, Sentenza n. 20002 del 07/10/2004, Rv. 577560)
che l’elemento idoneo a caratterizzare il rapporto di lavoro subordinato e a
differenziarlo da altri tipi di rapporto (quali quello di lavoro autonomo, la società
o l’associazione in partecipazione con apporto di prestazioni lavorative) è
l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare
del datore di lavoro, tenendo presente che il potere direttivo non può esplicarsi in
semplici direttive di carattere generale (compatibili con altri tipi di rapporto), ma
deve manifestarsi in ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla
prestazione lavorativa e che il potere organizzativo non può esplicarsi in un
semplice coordinamento (anch’esso compatibile con altri tipi di rapporto), ma
deve manifestarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell’organizzazione
aziendale; la medesima sentenza ha inoltre evidenziato che la qualificazione
formale del rapporto effettuata dalle parti al momento della conclusione del
contratto, pur non essendo decisiva, non è tuttavia irrilevante e pertanto, qualora a
fronte della rivendicata natura subordinata del rapporto venga dedotta e
documentalrnente provata l’esistenza di un rapporto di associazione in
partecipazione, l’accertamento del giudice di merito deve essere molto rigoroso
(potendo anche un associato essere assoggettato a direttive e istruzioni nonché ad
un’attività di coordinamento latamente organizzativa) e non trascurare
nell’indagine aspetti sicuramente riferibili all’uno o all’altro tipo di rapporto quali,

per un verso, l’assunzione di un rischio economico e l’approvazione di rendiconti
e, per altro verso, l’effettiva e provata soggezione al potere disciplinare del datore
di lavoro.
6. Né può rilevare in questa sede l’art. 86 co. 2 d.lgs. 276/2003, nel testo vigente
prima dell’abrogazione dettata dalla 1. 92 del 2012, secondo il quale, al fine di
evitare fenomeni elusivi della disciplina di legge e contratto collettivo, in caso di
rapporti di associazione in partecipazione resi senza una effettiva partecipazione e
adeguate erogazioni a chi lavora, il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi,
economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro
subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di
attività, o in mancanza di contratto collettivo, in una corrispondente posizione
secondo il contratto di settore analogo, a meno che il datore di lavoro, o
committente, o altrimenti utilizzatore non comprovi, con idonee attestazioni o
documentazioni, che la prestazione rientra in una delle tipologie di lavoro
disciplinate nel presente decreto ovvero in un contratto di lavoro subordinato
speciale o con particolare disciplina, o in un contratto nominato di lavoro
autonomo, o in altro contratto espressamente previsto nell’ordinamento.
7. La deduzione, infatti, presupponendo un rapporto di associazione con
caratteristiche peculiari (rispetto alle quali il legislatore appronta tutele minime
distinte dalla conversione del rapporto), risulta del tutto distinta ed incompatibile
con quella volta all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato: si è infatti
precisato da questa Corte (Sez. L, Sentenza n. 2884 del 24/02/2012, Rv. 621259)
che l’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, nel prevedere che “in caso di
rapporti di associazione in partecipazione resi senza una effettiva partecipazione
ed adeguate erogazioni a chi lavora, il lavoratore ha diritto ai trattamenti
contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per
il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore
di attività”, non ha introdotto nel nostro ordinamento una forma di conversione
legale del contratto di associazione in partecipazione in contratto a lavoro
subordinato, ma ha soltanto previsto – in funzione integrativa della disciplina
dell’associazione in partecipazione – che, ove il primo di tali contratti sia stato
stipulato con finalità elusive delle norme di legge e di contrattazione collettiva a
tutela del lavoratore, all’associato si applichino le più favorevoli disposizioni
previste per il lavoratore dipendente. Ne consegue che la verifica della sussistenza
dei presupposti di cui all’art. 86 del d.lgs. n. 276 del 2003 non comporta la prova
dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il cui riscontro resta
demandato al giudice di merito e presuppone un più complesso tema di indagine e
di prova, mentre, ove il lavoratore abbia denunciato l’esistenza di un rapporto di
lavoro subordinato dissimulato da una associazione in partecipazione, la

p.q.m.
la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si
liquidano in euro tremila per compensi ed curo cento per spese, oltre accessori come per
legge e spese generali nella misura del 15%.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 ottobre 2014.

successiva domanda diretta ad accertare la sussistenza delle condizioni di cui
all’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, è nuova e, come tale,
inammissibile.
8. Nel caso, poiché non risulta (ed è anzi espressamente contestato da controparte)
che il ricorrente abbia proposto domanda volta all’applicazione dell’art. 86 cit. nel
ricorso introduttivo della lite, sicché la stessa non è stata oggetto di cognizione da
parte della sentenza impugnata, la questione non può qui essere esaminata in
applicazione del principio su riportato.
9. Il ricorso va per quanto detto rigettato.
10.Le spese seguono la soccombenza.

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