Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23709 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/09/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 24/09/2019), n.23709

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6176-2014 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA V. ADELAIDE

RISTORI 9, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO TIGANI SAVA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO VINCENZO

VANNUCCI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

èlettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 109/2013 della COMM.TRIB.REG. di PERUGIA,

depositata il 16/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2019 dal Consigliere Dott. LOCATELLI GIUSEPPE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate eseguiva una verifica sui conti correnti intestati a C.P., esercente la professione di consulente commerciale e tributaria, accertando per l’anno di imposta 2004 l’esistenza di maggiori imponibili ai fini Irpef, Irap ed Iva.

La contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Perugia che lo annullava con sentenza n. 134 del 2011.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello, accolto dalla Commissione tributaria regionale dell’Umbria con sentenza n. 109 del 16 luglio 2013 di conferma dell’avviso di accertamento impugnato.

Contro la sentenza di appello C.P. propone due motivi di ricorso per cassazione. Deposita memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Il primo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2; della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7; dell’art. 41 paragrafo 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; nonchè degli artt. 1101 e 2728 c.c., in ragione dell’art. 360 c.p.c., n. 3″, nella parte in cui la C.T.R. non ha ritenuto obbligatorio il preventivo contraddittorio con il contribuente nel caso degli accertamenti bancari previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e inapplicabile la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Il motivo è infondato. L’utilizzazione dei dati acquisiti mediante gli accertamenti bancari di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 7) non è subordinata alla previa instaurazione del contraddittorio. Come affermato da questa Corte, in tema di accertamento delle imposte, la legittimità della ricostruzione della base imponibile mediante l’utilizzo delle movimentazioni bancarie acquisite non è subordinata al contraddittorio con il contribuente, anticipato alla fase amministrativa, in quanto l’invito a comparire per fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari di cui al TUIR, art. 32, comma 1, n. 2 costituisce per l’Ufficio una mera facoltà discrezionale e non un obbligo, sicchè dal mancato esercizio di tale facoltà non deriva alcuna illegittimità della rettifica operata in base ai relativi accertamenti. (Sez. 5, Sentenza n. 25770 del 05/12/2014; Sez. 5 Sentenza n. 10249 del 26/04/2017).

Il giudice di merito ha correttamente escluso l’applicabilità dell’art. 12 comma 7 nei casi di accertamento cosiddetto ” a tavolino”, dovendosi considerare che, in assenza di un accesso dei verificatori presso il locale di svolgimento dell’attività imprenditoriale o professionale, neppure esiste un verbale di chiusura delle operazioni (di accesso) dai quali far decorrere il termine dilatorio di sessanta giorni prima della emissione dell’atto impositivo. Questa Corte ha inoltre precisato che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg (o Irpef) ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”. (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637605 – 01). Con riguardo ai tributi “armonizzati”, quale l’Iva, questa Corte, in conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia U.E. (in particolare sentenza 3.7.2014 C-129 e C-130/13, Kamino International Logistics) ha stabilito che, in tema di tributi “armonizzati”, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fermo restando che per i tributi non “armonizzati” (imposte dirette) non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. (Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015).

Nel caso di specie la contribuente non ha mai indicato quali siano le ragioni che avrebbe potuto far valere in caso di contraddittorio preventivo e che gli sono state precluse dalla mancata instaurazione della interlocuzione endoprocedimentale.

2. Il secondo motivo denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi per avere la C.T.R. ritenuto applicabile al caso in esame la novella sostanziale contenuta nella L. 31 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402, che ha modificato il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1 n. 2; della L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1, e art. 10, nonchè degli artt. 1101, 2727 e 2728, in ragion dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, nella parte in cui ha ritenuto retroattive le modifiche apportate dalla legge finanziaria 2005 che ha reso applicabile anche ai professionisti la presunzione di maggiori compensi desumibili dai prelevamenti e versamenti risultanti dai conti correnti bancari.

Secondo la giurisprudenza pressochè unanime della Corte, alla quale questo Collegio intende dare continuità, già nella vigenza del testo antecedente alla modifica introdotta dalla L. 31 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402 (che ha aggiunto la parola “o compensi”), la presunzione stabilita dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 secondo cui sia i prelevamenti che i versamenti operati sui conti correnti bancari vanno imputati ai ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività (se questo non dimostra di averne tenuto conto nella base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito) era applicabile non solo al reddito di impresa in senso stretto ma anche ai redditi di lavoro autonomo, dovendosi ritenere che il termini “ricavi” figura impiegato in una accezione ampia, riferibile non solo ai componenti positivi del reddito di impresa di cui al Tuir, artt. 85 e 109, ma anche e più in generale ai proventi derivanti da ogni attività di lavoro autonomo di cui all’art. 53 Tuir. (conformi: Sez. 5, Sentenza n. 14041 del 27/06/2011, n. 4601/2002, n. 11750/2008, n. 430/2008, n. 11750/2008, n. 14026/2012; difforme n. 27845/2018).

Occorre invece considerare lo ius superveniens rappresentato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2, nella parte in cui, con riferimento ai lavoratori autonomi, prevede che i prelevamenti costituiscano presunzione di maggiori compensi, restando invece invariata la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili (Sez. 5, Sentenza n. 16697 del 09/08/2016; Sez.6-5 n. 7951 del 2018).

In parziale accoglimento del secondo motivo, la sentenza deve essere cassata con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria in diversa composizione, la quale deciderà la controversia attenendosi alla regola che la presunzione prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2) è applicabile alle sole operazioni di versamento (e non di prelevamento) risultanti dai conti correnti bancari riferibili al professionista. Alla medesima Commissione è demandata la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il primo motivo; accoglie il secondo nei termini indicati in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 24 settembre 2019

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