Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23706 del 11/11/2011

Cassazione civile sez. III, 11/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 11/11/2011), n.23706

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6240/2010 proposto da:

GRUPPO BOSSONI SPA (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante Vice Presidente del C.d.A., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA DARDANELLI 21, presso lo studio dell’avvocato GRAMAZIO

Giovanni, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIUSEPPE OMAR BOSIO giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ZURICH INSURANCE PUBLIC LIMITED COMPANY, (OMISSIS), – quale

avente causa per cessione del portafoglio di ZURICH INSURANCE COMPANY

S.A., COMPAGNIA DI ASSICURAZIONI, in persona del Procuratore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.G. BELLI 27, presso lo

studio dell’avvocato PIERI NERLI Giovanni, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CATTANEO DANIELE giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 113/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO

dell’11/11/08, depositata il 19/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito l’Avvocato Pieri Nerli Giovanni, difensore della

controricorrente che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. TOMMASO BASILE che si

riporta alla relazione.

La Corte:

Fatto

PREMESSO IN FATTO

Il 20 luglio 2011 è stata depositata in Cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“1. – La s.p.a. Gruppo Bossoni – avendo incorporato per fusione la s.r.l. Autoemme, concessionaria FIAT – ha stipulato con la s.p.a.

Zurich International (oggi Zurich Insurance Corapany) polizza assicurativa a copertura dei rischi di danni ai fabbricati, alle attrezzature aziendali ed all’intero parco automobili, per il massimale complessivo di L. 6.300.000.000. La polizza prevedeva garanzie complementari per vari eventi, fra cui gli eventi atmosferici, e nelle condizioni particolari – ad integrazione della garanzia per i rischi atmosferici – assicurava la copertura dei danni causati dalla grandine alle vetture parcheggiate nell’area all’aperto, di pertinenza dell’azienda. Il relativo indennizzo era subordinato ad una franchigia di L. 500.000 per singolo sinistro e prevedeva l’indennizzo massimo di L. 25.000.000 all’anno per ogni singolo rischio.

Verificatasi una forte grandinata il 20.9.2000, con danni al complesso delle vetture parcheggiate quantificati dal liquidatore della Zurich in L. 46.000.000, la Zurich ha messo a disposizione della danneggiata L. 25.000.000 ed ha proposto davanti al Tribunale di Milano azione di accertamento di nulla dovere oltre la predetta somma.

La Bossoni ha resistito, assumendo che il massimale di cui sopra deve essere riferito non al singolo evento dannoso, ma ai danni indennizzabili ad ogni singola vettura.

Con sentenza n. 113/2009, depositata il 19 gennaio 2009, la Corte di appello di Milano – confermando la sentenza emessa dal Tribunale in primo grado – ha accolto la domanda della Zurich, affermando che per singolo rischio deve intendersi l’evento dannoso il cui verificarsi è coperto da assicurazione; non il danno subito da ogni singolo bene assicurato.

La Bossoni propone sette motivi di ricorso per cassazione.

Resiste la Zurich con controricorso.

2.- Con tutti i motivi la ricorrente denuncia l’erronea interpretazione del contratto di assicurazione, addebitando alla sentenza impugnata omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, con i primi due motivi, e violazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366 e 1370 cod. civ., rispettivamente con il terzo, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo.

3.- I motivi sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., norma applicabile al caso di specie, perchè in vigore alla data del deposito della sentenza impugnata (D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, artt. 6 e 27) e non ancora abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 (cfr. artt. 47 e 58, L. n. 69 cit.).

3.1.- La norma dispone che, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, e, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria.

Secondo l’orientamento costante della Corte di cassazione (confronta la recente Cass. 25 marzo 2009, n. 7197) il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico- giuridica della questione, sì da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

E’ pertanto inammissibile il motivo di ricorso sorretto da un quesito la cui formulazione sia inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione e a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente indichi la fattispecie concreta, rapportandola allo schema normativo che ritiene applicabile; indichi il principio erroneamente enunciato dalla sentenza impugnata e formuli quello di cui chiede l’affermazione; sì da consentire alla Corte di cassazione di formulare con la sua decisione un principio di diritto chiaro, specifico e applicabile anche ai casi simili (cfr.

Cass. Civ. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36 e 11 marzo 2008 n. 6420; Cass. Civ. Sez. 3^, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535).

Nella specie con le censure di violazione di legge la ricorrente chiede ..darsi atto che: 1) quando la causa verte sull’interpretazione di una parola non è corretto presumere che essa abbia un significato univoco, senza indagare le ragioni che sorreggono la diversa interpretazione; 2) quando le parti, nel dare esecuzione ad un contratto hanno dato concordemente un’interpretazione univoca ad una clausola, è da presumere fino a prova contraria che nel rinnovare il contratto abbiano dato alla clausola il medesimo significato (terzo motivo); …darsi atto che viola l’art. 1363 c.c., la sentenza che non si fa carico di coordinare i contenuti delle singole clausole… (quarto motivo);

…darsi atto che, siccome la comune volontà delle parti attiene ad eventi concreti e particolari, non può essere surrogata dal significato delle parole, neppure quello riportato nelle definizioni delle clausole generali, se prima non sono state indagate le particolarità del caso, per vedere quali significati concreti possono venire in considerazione, in quanto anche al punto di vista logico il significato particolare di un espressione non può essere desunto dal significato generale delle parole, ma dal contesto specifico a cui essa si riferisce (quinto motivo); …darsi atto che la sentenza deve essere annullata, in quanto ha completamente travisato il principio di buona fede, che attiene alla condotta delle parti e deve pertanto essere indagata con riferimento a circostanze precise e concrete e non può essere presunta… (sesto motivo);

…darsi atto che le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto….. predisposte da uno dei contraenti si interpretano, nel dubbio, in favore dell’altro (settimo motivo).

I quesiti sono inammissibilmente generici ed astratti; sono privi di ogni riferimento alla fattispecie concreta (riferimento essenziale, soprattutto in tema di interpretazione dei contratti, per comprendere il problema di cui si sta parlando); non richiamano il criterio di decisione adottato dalla Corte di appello, nè gli indici interpretativi concreti in base ai quali si sarebbe dovuto assegnare alla clausola in discussione significato diverso da quello che le è stato di fatto assegnato; danno per ammesso ciò che dovrebbe essere dimostrato: cioè che la Corte di appello abbia dato alle parole ed ai comportamenti interpretazione univoca a fronte di un testo con più significati; che non abbia tenuto conto del coordinamento fra le diverse clausole; che non abbia fatto riferimento al contesto specifico; che abbia travisato il principio di buona fede, ecc..

Al contrario, la sentenza impugnata si è fatta carico dei problemi di cui sopra, con congrua e logica motivazione, e le apodittiche censure contenute nei quesiti non illustrano le asserite, concrete violazioni delle norme sull’interpretazione, ma solo manifestano il dissenso della ricorrente dal merito della sentenza impugnata:

dissenso di per sè insufficiente a giustificarne l’annullamento.

3.2.- Quanto alle censure di vizio di motivazione (primo e secondo motivo), esse si sarebbero dovute concludere con una proposizione di sintesi, analoga al quesito di diritto, contenente la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, insufficiente o contraddittoria, ovvero l’indicazione delle ragioni per le quali la motivazione è da ritenere a inidonea a giustificare la decisione, sì da non ingenerare incertezze in ordine ai motivi del ricorso ed alla valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007; Cass. Sez. 3^, 07/04/2008, n. 8897).

Tale requisito non si può ritenere rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass. civ., Sez. 3^, ord. 16 luglio 2007 n. 16002, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

Nella specie la sintesi delle censure di cui al primo motivo è la seguente: gli argomenti addotti dalla sentenza a sostegno della tesi secondo cui nella polizza la parola rischio è da riferire al fatto generatore del danno e non al danno sono smentiti dai fatti e quindi non possono essere presi come argomenti validi per respingere la domanda proposta dalla convenuta; quella di cui al secondo motivo: La Corte di appello, assecondando una tesi che riteneva ragionevole (e che è invece di aperta mala fede), ha omesso di verificare le conseguenze concrete della decisione che era chiamata ad assumere, arrivando ad un risultato che in realtà mette la sentenza in contraddizione con le clausole della polizza.

Non risulta dalle suddette proposizioni quale sia il fatto controverso in relazione al quale la motivazione sarebbe viziata; nè si precisa quali siano i vizi di motivazione in cui la sentenza è incorsa.

La Corte di merito, per contro, ha correttamente e logicamente motivato la sua soluzione nel senso che per rischio assicurato si deve intendere l’evento grandine che si è verificato; come sinistro i danni che ne sono derivati; che – essendo il massimale di L. 25.000.000 commisurato al rischio realizzatosi (grandinata) ed al sinistro che ne è derivato (danni alle automobili) – esso debba essere riferito ai danni complessivamente derivati dall’unico evento dannoso; non a quelli subiti da ogni singola automobile.

La Corte ha altresì tenuto conto delle altre clausole contrattuali, esponendo le ragioni per cui ha escluso che esse portino a diversa soluzione; ha tenuto conto dei comportamenti pregressi delle parti e delle ragioni per cui li ha ritenuti irrilevanti al fine di dare supporto alle ragioni dell’assicurata.

L’asserita inadeguatezza del massimale al valore complessivo delle automobili assicurate – su cui la ricorrente insiste particolarmente al fine di criticare l’interpretazione del Tribunale – non è significativo, poichè si tratta di massimale collegato a quel particolare evento rischioso (grandinata), che di per sè può produrre danni relativamente limitati.

Il richiamo, quindi, al massimale di gran lunga superiore (L. 1.100.000.000), previsto in polizza per eventi idonei a provocare la completa distruzione dei beni assicurati (incendio, ecc), non è significativo, come ha correttamente deciso la Corte di appello, trattandosi di rischio che, in relazione alla grandine, non ha occasione di realizzarsi.

4.- Propongo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, o comunque infondato, con provvedimento in Camera di consiglio”.

La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e ai difensori delle parti.

Il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Il Collegio, all’esito dell’esame del ricorso, ha condiviso la soluzione e gli argomenti esposti nella relazione, che le argomentazioni difensive contenute nella memoria della ricorrente non consentono di disattendere.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

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