Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23706 del 01/09/2021

Cassazione civile sez. III, 01/09/2021, (ud. 17/03/2021, dep. 01/09/2021), n.23706

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31726-2019 proposto da:

D.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIUSEPPE BRIGANTI

(PEC);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 10/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/03/2021 dal Consigliere Dott. RAFFAELE GAETANO ANTONIO FRASCA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. D.S., cittadino della (OMISSIS), ha proposto contro il Ministero dell’Interno ricorso per cassazione, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, avverso il decreto del 10 settembre 2019, con cui il Tribunale di Ancona, Sezione Specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, ha rigettato il suo ricorso contro la deliberazione della Commissione Territoriale competente che aveva negato la sua richiesta di riconoscimento della protezione internazionale formulata in tutte le gradate forme previste.

La richiesta era stata basata su una storia personale di abbandono del paese di origine motivata dal timore di essere ucciso da un militare, il quale aveva una relazione con la sua seconda moglie ed era stato colto sul fatto da lui, che l’aveva picchiato e gli aveva bruciato la moto, nonché successivamente minacciato avendolo incontrato. Il militare, in occasione di una sollevazione di militari a (OMISSIS) si era recato a casa dello zio del ricorrente, che era lì in visita, per ucciderlo. Per tale ragione e considerata la situazione di instabilità del paese il ricorrente era fuggito e temeva di ritornarvi fino a quando i ribelli restavano al potere.

2. Al ricorso ha resistito con atto di sola costituzione tardiva il Ministero.

3. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si deduce “nullità del decreto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 1, comma 11, lett. a), e art. 13 e degli artt. 737,135 c.p.c., art. 156 c.p.c., comma 2, nonché dell’art. 111 Cost., comma 6, L. n. 46 del 2017, art. 2”.

Il motivo preliminarmente, parafrasando Cass., Sez. Un., n. 8053 del 2014, assume che a seguito della riforma del 2012, sarebbe venuta meno la possibilità di controllare la motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma è rimasto possibile richiedere il controllo sull’esistenza e sulla coerenza della motivazione, rispettivamente quanto al profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza e dell’irriducibile contraddittorietà e illogicità manifesta, e, dunque, preannuncia una censura che di questo dovrebbe dolersi, come emerge sia dal richiamo dell’art. 360 c.p.c., comma 4 sia e soprattutto dall’espresso richiamo dell’art. 737 c.p.c. che impone che nel procedimento camerale il decreto di decisione sia motivato.

La lunga illustrazione, che parte successivamente assumendo di voler censurare il decreto “stante le lacune motivazionali in esso presenti”, si sostanzia nella prospettazione di censure che, però, discutono la motivazione sulla base di elementi aliunde rispetto ad essa e, dunque, il motivo è privo di fondamento, risolvendosi in un dissenso dalla motivazione esistente sulla base di tali elementi.

Come emerge proprio dalla giurisprudenza sulla motivazione inesistente, apparente o talmente contraddittoria da ridondare in motivazione inesistente, richiamata dalla sentenza delle Sezioni Unite e da esse ribadita, la censura ai sensi dell’art. 360, n. 4 per “mancanza di motivazione” deve necessariamente risultare dal tenore della motivazione: infatti, le Sezioni Unite, dopo avere affermato che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione”, hanno soggiunto che “pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”. Come si vede è sottolineata l’esigenza indefettibile che “il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali “. Le sezioni Unite si sono riferite al provvedimento ricorribile in Cassazione rappresentato dalla sentenza ed hanno evocato l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ma è palese che quando l’ordinamento prevede che il rimedio del ricorso per cassazione sia esperibile contro un provvedimento non qualificato sentenza, bensì “ordinanza”, che deve essere motivata, o, come nella specie, “decreto” e, quanto a quest’ultimo caso, come prevede l’art. 135 c.p.c., impone che sia motivato, il ricordato principio di diritto risulta senza dubbio alcuno applicabile per evidente omologia di ratio.

Pertanto, il motivo, per come risulta lungamente argomentato con riferimenti aliunde rispetto alla motivazione del decreto impugnato, si colloca al di fuori dei limiti del controllo sulla ricostruzione della quaestio facti segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 proprio secondo l’evocata decisione delle Sezioni Unite. La struttura argomentativa del motivo si ispira alla logica della sollecitazione al controllo della sufficienza della motivazione attraverso il confronto con elementi dello svolgimento processuale e, dunque, al di fuori del detto n. 5. Sicché, anche se si riconvertisse il motivo ai sensi di detta norma (per la verità facendo violenza all’enunciazione programmatica del ricorrente, di cui si è detto e, dunque, al di fuori dei limiti indicati da Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013), esso non cesserebbe di essere privo di fondamento.

Nella lunga illustrazione si richiamano precedenti di questa Corte, ma sempre nell’ambito di argomentazioni che restano in primo luogo estranee alla censura di mancanza di motivazione per come dedotta e per altro verso e comunque si muovono nella logica di cui si è appena detto, estranea ai limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5.

Inoltre, lo si nota per completezza, a pagina 23, si allude all’uso di generiche clausole di stile da parte del tribunale e, dunque, vi è una astratta corrispondenza con il modo di dedurre la mancanza di motivazione, ma l’assunto non si fa carico effettivamente della motivazione enunciata nel paragrafo 4 del decreto, sicché la doglianza risulta meramente assertoria.

Il Collegio non ignora che, per quello che emerge alla data di questa decisione, ricorsi redatti dallo stesso difensore dell’attuale ricorrente nella materia di cui è processo che presentavano la stessa tecnica di argomentazione del motivo in esame, di cui si è riferito, talvolta sono stati accolti dalla Prima Sezione di questa Corte (si veda Cass. n. 4286 del 2021), ma numerose volte sono stati rigettati dalla stessa Sezione, nonché in numerose occasioni dalla Sezione Seconda e in un caso dalla Sezione Lavoro e ciò proprio rilevando che il motivo non argomentava la mancanza di motivazione sulla base della sola decisione.

Le decisioni di accoglimento del primo motivo che si rinvengono nella giurisprudenza della Prima Sezione procedono allo scrutinano senza considerare il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite e per tale ragione non sono condivisibili.

Tanto si osserva, naturalmente, a prescindere da ogni considerazione sulle motivazioni dei provvedimenti in quelle occasioni ritenuti censurabili, intendendosi ribadire solo il valore del principio di diritto di cui si è detto.

2. Con il secondo motivo ci si duole di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Questo motivo ritiene di denunciare una serie di vizi di omesso esame di fatti (indicati alle pagg. 34-35) attraverso un rinvio al motivo precedente se non accolto. In sostanza i pretesi “fatti” vengono indicati in modo del tutto generico con tale rinvio e, al di là di tale decisiva genericità, si omette di rispettare l’art. 366, n. 6 nell’identificazione della sede in cui il giudice di merito ne era stato investito. Né può valere il rinvio all’illustrazione del motivo precedente per superare la rilevata deficienza, giacché in tal modo si pretende che la Corte debba supplire ad un onere che è a carico del ricorrente, precedendo di sua iniziativa alla ricerca di ciò che nel motivo precedente potrebbe supportare la doglianza in esame. Inoltre, il rinvio al motivo precedente si risolve anche in una delega a questa Corte a ricercare i profili di decisività dei vari fatti di cui sarebbe stato omesso l’esame. Ancora una volta si richiamano i principi sulla deduzione dell’omesso esame enunciati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite.

Non è chiaro nemmeno di quale forma di protezione si discuta, se si esclude un riferimento alla protezione umanitaria a pag. 35.

Il motivo è inammissibile.

3. Con il terzo motivo si denuncia “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento agli artt. 2 Cost., art. 10 Cost., comma 3, art. 32 Cost.; alla L. n. 881 del 1977, art. 11; al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8, 9, 10, 13, 27, 32, art. 35-bis, comma 9 e comma 11, lett. a) e all’art. 16 Direttiva Europea n. 2013/32 nonché agli artt. 2, 3 – anche in relazione all’art. 115 c.p.c., D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 5, 6, 7 e 14 e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2. TU n. 286 del 1998”.

Il motivo – che inizia parlando di “fatti narrati dalla ricorrente”, così suggerendo il dubbio che il successivo svolgimento sia una sorta di argomentazione preconfezionata polivalente – cumula nell’intestazione la denuncia della violazione e/o falsa applicazione di una congerie di norme, che riesce difficile immaginare come motivo unitario. E nello svolgimento la supposizione trova conferma.

Nella prima parte sembrerebbe prospettarsi una lamentela in ordine alla valutazione di non credibilità del racconto e riguardo ad essa si prospetta una violazione del dovere di cooperazione istruttoria, assumendo che il tribunale si sarebbe limitato ad adagiarsi sulle conclusioni già raggiunte dalla Commissione, ma non solo non si offre spiegazione di tale assunto, dato che ci si astiene dall’individuare quali fossero state le valutazioni della Commissione e comunque dallo spiegare Mn che cosa sarebbe consistito l’adagiarsi, ma, di seguito, in contraddizione con il primo assunto, a pag. 37, si censura la motivazione enunciata dal tribunale che nessun riferimento fa a quella della Commissione (come, del resto, già traspariva dalla riproduzione fattane nell’esposizione del fatto). Tale censura si risolve in una manifestazione di dissenso che impinge nella riserva al giudice del merito della valutazione della quaestio facti, così esprimendo una non consentita richiesta di riesame sotto vari profili della quaestio facti, tra l’altro mai specificamente evocativa della motivazione. E’ vero che si evoca il problema giuridico di cooperazione istruttoria, ma non si offre alcuna spiegazione in concreto del perché la motivazione del tribunale l’avrebbe violata.

Il carattere del tutto eterogeneo delle questioni prospettate nel motivo si rivela, poi, quando si passa a lamentare che non sarebbe stata valutata la situazione del paese di origine per come dedotta nel ricorso introduttivo del giudizio e che non sarebbero state assunte informazioni aggiornate. Tale lamentela è però svolta senza alcuna evocazione della motivazione del decreto, la quale mostra, peraltro, di avere considerato numerose fonti informative nelle pagine dalla n. 2 alla n. 4, in cui si articola il paragrafo 5, dedicato alla situazione del paese di origine. Sicché, per questa parte il motivo risulta anche privo di correlazione con la motivazione. Ed anzi si concreta in una prospettazione del tutto astratta, anche là dove evoca provvedimenti che avrebbero ben deciso sull’assunzione di informazioni.

Il motivo, di seguito, alle pagg. 42-45, sempre proseguendo nel suo carattere assolutamente votato ad affastellare questioni, con assoluta inosservanza del dovere di chiarezza dell’illustrazione (espressione della genuina funzione di un motivo di impugnazione in genere e in particolare in Cassazione), lamenta la mancata audizione da parte del tribunale in interrogatorio libero del ricorrente, assumendo che era stata sollecitata a pag. 8 del ricorso, prodotto in questa sede.

Senonché, l’esame del ricorso alla pag. 8, in disparte che per assumere dignità ai fini della doglianza una richiesta nei ricorso avrebbe dovuto essere reiterata in sede di trattazione, evidenzia testualmente quanto segue: “Si chiede, in ultima analisi, l’audizione personale del sig. D.S.” il tenore di questa richiesta, fermo che quanto poco sopra notato circa la mancata allegazione della formulazione dell’istanze in sede di trattazione rende inammissibile la doglianza, palesa che se essa fosse scrutinabile, sarebbe priva di fondamento al lume del principio di diritto di cui a Cass. n. 25439 del 2020.

Nella successiva esposizione il motivo, dalla pag. 45 sino alla pagina 56 si risolve in una manifestazione di dissenso rispetto alla ricostruzione della quaestio facti sotto vari profili e, dunque, non solo tradisce la logica che avrebbe dovuto avere in dipendenza dell’intestazione, ma si risolve in una sollecitazione a controllare la relativa motivazione, nemmeno sempre evocata, al di fuori dei limiti consentiti dalla già richiamata vigenza dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

A pag. 52, ancorché il motivo non deduca vizio ai sensi del n. 5, si lamenta l’omesso esame della documentazione medica che era stata allegata in ricorso, ma, in violazione dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 non si fornisce né una riproduzione diretta né una riproduzione indiretta della stessa, sicché l’assunto che ai fini della valutazione di vulnerabilità del ricorrente non sia stata esaminata risulta inammissibile per detta violazione. Tanto si osserva anche ipotizzando una riconversione del motivo in parte qua ai sensi dell’art. 360, n. 5.

In chiusura del motivo, in fine, si sostiene del tutto genericamente che il tribunale avrebbe omesso di valutare il percorso migratorio del ricorrente. Ma nulla si dice al riguardo.

Il motivo è dunque sotto i vari profili indicati inammissibile, non senza che si debba nuovamente rimarcare l’assoluta inosservanza del requisito della chiarezza nel già segnalato carattere di affastellamento in un unico motivo di varie problematiche.

4. Con il quarto motivo si prospetta “violazione e/o falsa applicazione di norme m diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. In riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione Edu, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32”.

Questo motivo si risolve nell’espressa dichiarazione di voler richiamare le considerazioni già svolte nel motivo precedente, che si assumono in modo assertorio idonee a giustificare la violazione delle fonti indicate.

Il motivo non può che seguire la sorte del motivo precedente, non senza doversi sottolineare che sarebbe stato necessario spiegare come e perché le argomentazioni svolte ne motivo precedente sarebbero idonee a dar sostanza al motivo in discorso. Nel mentre ci si limita ad invocare in esordio della breve illustrazione, in modo anodino, “i profili di connessione sia sotto il profilo logico che giuridico con il precedente motivo”.

5. Con il quinto motivo si lamenta “in subordine ai precedenti motivi di ricorso violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento all’art. 10 Cost., comma 3, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, e al TU n. 286 del 1998, art. 5, commi 2-ter e 6 e art. 19, comma 2, come modificati dal D.L. n. 113 del 2018”.

Il motivo e’, in realtà, un “non motivo”.

Lo stesso ricorrente rileva che il tribunale ha espressamente affermato – richiamando Cass. n. 4890 del 2019 – il carattere non retroattivo dell’intervento abrogativo della protezione umanitaria operato da parte del D.L. n. 113 del 2018, ma, adducendo il timore che il relativo orientamento possa essere ribaltato dalle Sezioni Unite, alle quali lo stesso tribunale ha registrato all’epoca essere stata rimessa la relativa questione, prospetta con il motivo l’applicabilità comunque della disciplina di cui all’intestazione del motivo.

In tal modo, non si avvede che la mancata impugnazione della statuizione del tribunale, cui egli non aveva interesse, avrebbe reso coperta da cosa giudicata la questione. E’ per questo che si è in presenza di un “non motivo”. Tanto si rileva non senza che debba registrarsi che le Sezioni Unite hanno convalidato l’orientamento applicato dal tribunale: Cass., Sez. Un., n. 29459 del 2019.

6. Il ricorso è rigettato.

Non è luogo a provvedere sulle spese.

7. Stante il tenore della pronuncia (declaratoria della inammissibilità del ricorso), va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto. Spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Terza Civile, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2021

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