Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23704 del 22/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 22/11/2016, (ud. 20/05/2016, dep. 22/11/2016), n.23704

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8699/2013 proposto da:

S.D.C.L., (OMISSIS), S.D.C.M.

(OMISSIS), S.D.C.G. (OMISSIS),

S.D.C.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

TESSALONICA 47, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO GUALTIERI,

rappresentati e difesi dall’avvocato S.D.C.P.

anche difensore di sè medesimo, giusta procura speciale in calce al

ricorso per gli altri;

– ricorrenti –

contro

MATIL SRL, (OMISSIS);

– intimata –

nonchè da:

MATIL SRL (OMISSIS) in persona del legale rappresentante

N.G., elettivamente domiciliata in ROMA, V. DEI LEVII 29, presso lo

studio dell’avvocato ADRIANO CARMELO FRANCO, rappresentato e difeso

dall’avvocato RAFFAELE FIORESTA giusta procura speciale in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

S.D.C.L. (OMISSIS), S.D.C.M.

(OMISSIS), S.D.C.G. (OMISSIS),

S.D.C.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

TESSALONICA 47, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO GUALTIERI,

rappresentati e difesi dall’avvocato S.D.C.P.

anche difensore di sè medesimo, giusta procura speciale in calce al

ricorso principale per gli altri;

– controricorrenti all’incidentale –

avverso la sentenza n. 128/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 06/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/05/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito l’Avvocato S.D.C.P.;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del l motivo

di ricorso, rigetto del 2 motivo, assorbito il 3; inammissibilità

in subordine rigetto di entrambi i ricorsi incidentali.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. S.d.C.P., L., M. e G. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Catanzaro, la s.r.l. Matil, chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 1591 c.c., per il mancato rilascio degli immobili e per il deprezzamento dei medesimi.

A sostegno della domanda esposero che, con due diversi contratti stipulati entrambi il (OMISSIS), scaduti il (OMISSIS), essi avevano locato alla società convenuta due immobili siti nello stesso palazzo e che la conduttrice, nonostante l’avvenuta convalida dello sfratto, non aveva rilasciato gli immobili.

Nel giudizio intervenne S.d.C.N., aderendo alle conclusioni dei fratelli.

Si costituì in giudizio la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla non rispondenza dell’immobile alle norme urbanistiche vigenti.

Il Tribunale accolse la domanda principale per quanto di ragione e condannò la convenuta al risarcimento dei danni per l’occupazione abusiva e per i danni causati agli immobili, nonchè al pagamento delle spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata appellata dalla società Matil e la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del 6 febbraio 2012, in parziale accoglimento del gravame, ha riformato la sentenza del Tribunale ed ha condannato la società appellante al pagamento della residua somma di Euro 38.095,96, oltre interessi, nonchè degli ulteriori canoni di locazione, ed al pagamento della metà delle spese dei due gradi di giudizio, compensate quanto all’altra metà.

La Corte territoriale ha osservato, per quanto di interesse in questa sede, che la società conduttrice aveva legittimamente continuato ad occupare l’immobile, anche dopo il provvedimento di sfratto, fino alla data del (OMISSIS), nella quale era stata compiuta l’offerta reale dell’indennità per la perdita dell’avviamento. In relazione, invece, al periodo successivo, nel quale la società conduttrice era rimasta nella detenzione dell’immobile, la stessa doveva essere condannata a pagare i soli canoni di locazione corrispondenti, non avendo i locatori fornito adeguata prova, ai sensi dell’art. 1591 c.c., del loro diritto al maggior danno (in conseguenza, ad esempio, della perdita di occasioni di locazione più vantaggiose). A questo riguardo, ha aggiunto la Corte, non poteva considerarsi sufficiente la prova documentale, fornita dai locatori e proveniente da un terzo non parte in causa, attestante l’offerta di un canone di locazione per Lire 50.000 al metro quadrato per il piano terra e di Lire 25.000 al metro quadrato per il primo piano, trattandosi di documento avente un mero valore indiziario.

In definitiva, la Corte d’appello ha riconosciuto che ai locatori spettava il pagamento di una somma pari all’importo dei canoni di locazione dal 10 agosto 1994 fino alla pubblicazione della sentenza di secondo grado; per cui, preso atto che la società Matil aveva versato per quel titolo, in data 15 maggio 2009, l’ulteriore somma di Euro 150.000, e calcolando il danno agli infissi (Euro 9.468,03), la Corte ha fissato la somma dovuta in Euro 178.627,93 pari all’importo dei canoni di locazione per 87 mensilità con l’aggiunta della rivalutazione dall’ottobre 1994 al 31 dicembre 2011 e i relativi interessi legali. Sottraendo alle due somme indicate quella di euro 150.000 versata, il debito residuo della società conduttrice stato fissato in Euro 38.095,96.

L’esito della lite ha determinato la Corte alla compensazione parziale delle spese.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro propongono ricorso principale i germani S.d.C., con unico atto affidato a tre motivi.

Resiste la s.r.l. Matil con controricorso contenente un motivo di ricorso incidentale ed un altro motivo di ricorso incidentale condizionato.

I ricorrenti principali resistono con controricorso ad entrambi i ricorsi incidentali ed hanno anche depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 5), error in iudicando, nonchè contraddittorietà ed erroneità della motivazione per inesatta determinazione dei presupposti numerici posti a base della decisione.

Osservano i ricorrenti che la sentenza impugnata, nello stabilire l’esatta entità delle somme dovute dalla società conduttrice a titolo di occupazione degli immobili con decorrenza dall’agosto (ovvero ottobre) 1994 fino al gennaio 2012 (data di deposito), avrebbe calcolato erroneamente 87 mensilità di canone, mentre i mesi sarebbero 208 ovvero 210. Tale errore ha determinato a cascata quelli successivi, perchè la somma da riconoscere ai ricorrenti dovrebbe essere ben più elevata (si indica la somma rivalutata di Euro 428.791,22, anzichè quella di Euro 178.627,93).

1.1. Il motivo è inammissibile.

Occorre innanzitutto rilevare che l’errore nel quale è incorsa la Corte d’appello, ammesso anche nel controricorso, è palese ed inoppugnabile; pur avendo riconosciuto che gli odierni ricorrenti avevano diritto al pagamento del canone dalla data dell’offerta reale (luglio 1994) fino a quella della sentenza di secondo grado (gennaio 2012), i giudici di appello hanno moltiplicato il canone mensile pari ad Euro 902,85 per il numero di 87 mensilità, mentre è evidente che l’arco temporale al quale l’obbligo di pagamento si riferisce comprende un numero di mesi ben maggiore (diciassette anni sono 204 mesi, cui vanno aggiunti gli ulteriori).

Ciò posto, e dando quindi per pacifico l’errore, si tratta di stabilire quale sia il rimedio impugnatorio utilizzabile per correggerlo.

Come questa Corte ha più volte affermato, l’errore di calcolo del giudice del merito può essere denunciato solo con ricorso per cassazione quando sia riconducibile all’impostazione dell’ordine delle operazioni matematiche necessarie per ottenere un certo risultato, perchè in tali ipotesi si lamenta un vero e proprio error in iudicando nella individuazione dei parametri e dei criteri di conteggio sulla cui base sono stati effettuati i calcoli. Qualora, invece, esso consista in un’erronea utilizzazione delle regole matematiche sulla base di presupposti numerici esattamente determinati ed esatta individuazione ed ordine delle operazioni da compiere, è emendabile con l’apposita procedura di correzione regolata dagli artt. 287 c.p.c. e segg. (così la sentenza 5 agosto 2002, n. 11712, seguita e sostanzialmente ribadita da molte altre pronunce, tra le quali le sentenze 10 marzo 2005, n. 5330, e 15 gennaio 2013, n. 793).

Osserva il Collegio che, proprio facendo applicazione di tale principio, al quale l’odierna pronuncia intende dare continuità, risulta evidente che l’errore nel quale la Corte d’appello è incorsa è emendabile con la procedura di correzione di cui all’art. 287 c.p.c.; non c’è nel ragionamento della Corte di merito, infatti, alcun errore nel presupposto numerico, nè errore nell’impostazione dell’operazione da svolgere, ma solo un errore nella materiale operazione di moltiplicazione del canone per un numero di mesi diverso da quello effettivo.

Ne consegue che il motivo in esame è inammissibile.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), error in indicando, violazione e falsa applicazione degli artt. 1591, 2697 e 2727 c.c., nonchè omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Osservano i ricorrenti che la sentenza impugnata non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di indennità di cui all’art. 1591 c.c.. Ed infatti essi avevano prodotto in giudizio una dichiarazione dell’impresa Sanzi che conteneva una proposta di locazione ad un canone ben più elevato, per cui la Corte d’appello aveva a disposizione tutti gli elementi per liquidare il maggior danno da occupazione degli immobili. La sentenza in esame, poi, non avrebbe tenuto in considerazione il fatto che la società conduttrice aveva incamerato l’indennità per la perdita dell’avviamento senza effettivamente rilasciare gli immobili, il che avrebbe dovuto condurre al riconoscimento del maggior danno da ritardo nella restituzione.

2.1. Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di responsabilità del conduttore per il ritardato rilascio di immobile locato, il maggior danno di cui all’art. 1591 c.c., deve essere provato in concreto dal locatore secondo le regole ordinarie e, quindi, anche mediante presunzioni; tale prova deve consistere nella rigorosa dimostrazione che la ritardata restituzione dell’immobile ha concretamente pregiudicato la possibilità di locare il bene a terzi per un canone superiore all’ultimo corrispettivo convenuto con il conduttore inadempiente, non essendo sufficiente la mera prova del diverso e maggior valore locativo di mercato (sentenze 3 marzo 2009, n. 5051, 31 gennaio 2012, n. 1372, e 11 luglio 2014, n. 15899). Si tratta, evidentemente, di una valutazione di spettanza del giudice di merito, non sindacabile in questa sede se sorretta da adeguata motivazione e da criteri logici e presuntivi ragionevoli.

Nella specie, la Corte calabrese ha assolto il proprio compito e, valutando le prove a disposizione, è pervenuta alla conclusione che tale maggior danno non fosse stato dimostrato, non essendo all’uopo convincente nè il contenuto della c.t.u., “acriticamente recepita dal giudice di prime cure”, nè l’offerta alla quale si richiama anche il motivo in esame, avendo la Corte ritenuto quel documento dotato di un mero valore indiziario. Si tratta, come si vede, di una valutazione motivata sulla quale il Collegio non ha motivo di entrare, non potendosi in questa sede ottenere un nuovo esame del merito.

3. Con il terzo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3), 4) e 5), error in iudicando, violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., nonchè omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione in punto di spese.

Si osserva che la sentenza impugnata, pur avendo in motivazione affermato di dover compensare per metà le spese del solo giudizio di appello, ha poi in dispositivo compensato nella stessa misura anche quelle relative al giudizio di primo grado, in modo illogico e contraddittorio. La sentenza avrebbe poi omesso di indicare chi fosse tenuto al pagamento delle spese delle due consulenze tecniche espletate.

3.1. Osserva la Corte che i rilievi contenuti nel motivo in esame, sebbene esatti, non conducono tuttavia all’accoglimento della censura.

3.2. La sentenza impugnata, in effetti, contiene un’evidente svista perchè, mentre nella motivazione ha dichiarato di compensare le spese per il solo giudizio di appello, nel dispositivo le ha invece compensate anche per quello di primo grado.

Si tratta tuttavia, ad avviso di questo Collegio, di una svista che non toglie chiarezza alla decisione. Come la giurisprudenza di questa Corte ha già affermato, infatti, nell’ordinario giudizio di cognizione la portata precettiva della sentenza va individuata tenendo conto non solo del dispositivo ma anche integrando questo con la motivazione, sicchè, ove manchi un vero e proprio contrasto tra dispositivo e motivazione, deve ritenersi prevalente la statuizione contenuta in una delle due parti del provvedimento, che va interpretato secondo l’unica statuizione in esso contenuta (ordinanza 17 luglio 2015, n. 15088). Nella specie, la sentenza di secondo grado ha riformato quella del Tribunale, accogliendo in parte l’impugnazione proposta dalla società Matil; ne consegue che, dovendosi avere riguardo, ai fini della liquidazione delle spese, all’esito globale del giudizio, la statuizione di compensazione di entrambi i gradi (contenuta nel dispositivo) riflette in modo coerente l’effettiva decisione assunta e non è suscettibile di essere cassata.

3.3. Quanto, invece, all’ulteriore censura riguardante l’omessa statuizione sulle spese della c.t.u., si osserva che la stessa non è fondata.

Ed infatti – posto che, una volta definito il giudizio e regolato con sentenza l’onere delle spese processuali, il giudice non ha più alcun potere di provvedere alla liquidazione dei compensi in favore del c.t.u., a meno che non sia quest’ultimo a richiederlo (sentenze 31 marzo 2006, n. 7633, e 31 dicembre 2009, n. 28299) – la statuizione assunta dalla Corte di merito in ordine alle spese processuali vale necessariamente anche per quelle relative al compenso dell’ausiliario. Deve pertanto ritenersi che gli odierni ricorrenti potranno ripetere dalla società Matil la metà delle spese della c.t.u. se ed in quanto essi le abbiano eventualmente anticipate (v. sul punto l’ordinanza 21 dicembre 2009, n. 26920).

3.4. Infondato è, quando non inammissibile, il motivo in esame là dove lamenta un’omissione, da parte della sentenza in esame, circa la necessaria differenziazione, ai fini delle spese, tra le diverse parti appellate (oggi ricorrenti). La valutazione della Corte di merito appare, sul punto, implicitamente data con la condanna unitaria contenuta in sentenza; nè il ricorso prospetta se e in quali termini la questione sia stata posta al giudice di appello.

4. Con l’unico motivo del ricorso incidentale la s.r.l. Matil lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., degli artt. 112 e 342 c.p.c., nonchè omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un fatto decisivo per il giudizio.

Secondo la società ricorrente la sentenza impugnata avrebbe erroneamente liquidato in favore dei fratelli S.d.C., a titolo di illegittima occupazione, l’intero importo del canone oltre accessori senza considerare che gli stessi erano proprietari solo in parte dell’immobile in questione, poichè le altre erano di proprietà di S.U.M. e degli eredi D.F..

4.1. Il motivo non è fondato.

Risulta dalla sentenza impugnata che “sulla misura dei canoni di locazione dovuti al momento della scadenza del contratto si è formato il giudicato esterno (sentenza n. 603 del 2001 del Tribunale di Catanzaro, passata in giudicato)”. Tale affermazione esclude che vi sia stata la presunta omissione di pronuncia; e comunque, rispetto a quel passaggio della motivazione il ricorso incidentale nulla dice, sicchè è evidente che l’entità dell’importo mensile del canone che la società Matil è stata condannata a pagare agli odierni ricorrenti principali non può più essere censurata in questa sede.

5. Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento dell’unico motivo di ricorso incidentale condizionato, sul quale non è necessario assumere alcuna decisione.

6. In conclusione, è dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso principale, mentre sono rigettati gli altri due ed il ricorso incidentale, rimanendo assorbito il ricorso incidentale condizionato.

A tale esito segue l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

Sussistono tuttavia le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, sia da parte dei ricorrenti principali che della società ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale, rigetta gli altri due ed il ricorso incidentale, rimanendo assorbito il ricorso incidentale condizionato, e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, sia da parte dei ricorrenti principali che della società ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 20 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2016

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