Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23701 del 22/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 22/11/2016, (ud. 20/05/2016, dep. 22/11/2016), n.23701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27454/2013 proposto da:

VIP TASSI SRL SOCIETA’ UNIPERSONALE (OMISSIS), in persona

dell’Amministratore Unico e legale rappresentante dott.

A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI TRE OROLOGI 20,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO PICOZZA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIANLUCA FUSCO giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PATRIMONIO DELLO STATO SPA;

– intimato –

Nonchè da:

FINTECNA IMMOBILIARE SRL incorporante di PATRIMONIO DELLO STATO SPA

IN LIQUIDAZIONE, in persona del suo Amministratore Delegato avv.

F.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. GRAMSCI 36,

presso lo studio dell’avvocato ANTONINO CATAUDELLA, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

VIP TASSI SRL (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 705/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/05/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato GIANLUCA FUSCO;

udito l’Avvocato ROBERTO MAZZA per delega;

udito l’Avvocato ANTONINO CATAUDELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 20/2/2013 la Corte d’Appello di Roma ha respinto il gravame interposto dalla società Vip Tassi s.r.l. unipersonale in relazione alla pronunzia Trib. Roma n. 20845/2009 di: a) rigetto della domanda proposta nei confronti dell’Agenzia del demanio di indennità per addizioni e miglioramenti – oltre a rimborso delle spese di condono edilizio – asseritamente apportati all’immobile sito in (OMISSIS) già condotto in locazione giusta contratto d.d. 16/7/2002 stipulato con l’Agenzia del demanio (e poi acquistato in proprietà esercitando la prelazione); b) accoglimento della domanda nei suoi confronti spiegata dalla società Patrimonio dello Stato s.p.a. (subentrata all’Agenzia del demanio) di pagamento di scaduti canoni di locazione.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società Vip Tassi s.r.l. unipersonale propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.

Resiste con controricorso la società Fintecna Immobiliare s.r.l. (incorporante la società Patrimonio dello Stato s.p.a.), che spiega altresì ricorso incidentale condizionato, sulla base di unico complesso motivo, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico complesso motivo la ricorrente in via principale denunzia “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1362 ss., 1593 e 1253 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole dell’erronea interpretazione del contratto di compravendita, e in particolare della clausola di cui all’art. 5, giacchè il relativo “testo letterale… non consente perplessità allorchè inequivocabilmente si riferisce all’immobile (inteso quale res compravenduta) per affermare la volontà delle parti di farne acquistare alla Vip Tassi s.r.l. la proprietà “nello stato di fatto e nella condizione di diritto in cui si trova”; deducendo altresì che “i contraenti si riferiscono evidentemente all’immobile nella sua oggettività allorchè precisano che faranno carico alla società acquirente “tutti gli eventuali rischi e costi, nulla escluso ed eccettuato”.

Lamenta che il “dato testuale della disposizione convenzionale non può in alcun modo giustificare l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui, con la sottoscrizione dell’art. 5, la Vip Tassi s.r.l. si sarebbe anche fatta carico di ulteriori obbligazioni giuridiche soggettivamente gravanti sulla venditrice Patrimonio dello Stato S.p.A. in virtù di quanto pattuito nell’art. 1, del distinto e autonomo contratto di locazione del 16 luglio 2002”. Nè può invero “oggettivamente desumersi, dal testo dell’art. 5 del contratto di compravendita, una sorta di implicita volontà delle parti di trasferire alla società acquirente le obbligazioni gravanti sulla venditrice in virtù della locazione in precedenza disciplinata.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che “fino alla conclusione del primo grado di giudizio controparte non aveva neppure ipotizzato che l’art. 5 del contratto di compravendita potesse avere determinato una sorta di estinzione convenzionale dell’obbligo gravante su Patrimonio dello Stato S.p.A. ai sensi dell’art. 1 del contratto di locazione del luglio 2002”, come sintomaticamente emerge sia dalla “lettera in data 16 marzo 2007” (ove a fronte della “richiesta di corresponsione dell’indennizzo di cui all’art. 1 del contratto di locazione” si è dalla controparte sottolineato che “il riconoscimento di tale indennità alla Vip Tassi s.r.l. risulta legato alla sola fattispecie in cui il trasferimento del bene in argomento non avvenga in suo favore, così come chiaramente precisato nel citato art. 1”) sia dalla “comunicazione del 20 luglio 2007” (con la quale la controparte ha manifestato “la disponibilità a fissare un incontro… al fine di valutare, nel rispetto del quadro normativo di riferimento, gli elementi relativi alla problematica in questione”).

Lamenta che anche “una lettura secondo buona fede delle clausole in esame non possa giustificare l’interpretazione seguita dalla Corte di Appello”, in quanto “le addizioni realizzate in passato dalla Vip Tassi s.r.l., e successivamente condonate, hanno sensibilmente incrementato il valore oggettivo del compendio immobiliare per cui è causa, non sembrando d’altro canto “conforme a una valutazione secondo i canoni di buona fede ipotizzare che – in difetto di qualsivoglia esplicita manifestazione di volontà – l’attuale ricorrente abbia potuto implicitamente abdicare al proprio diritto di credito con la sottoscrizione del contratto di compravendita.

Si duole essere “parimenti non conforme a buona fede… la lettura dell’art. 5 del contratto di compravendita secondo cui la Vip Tassi s.r.l. avrebbe pagato un prezzo di acquisto pari al valore stimato del bene comprensivo delle addizioni e, allo stesso tempo, si sarebbe fatta implicitamente carico anche del costo per la realizzazione del fabbricato (che invece gravava su controparte a norma dell’art. 1 del contratto di locazione del luglio 2002), sicchè “avrebbe sostenuto il costo per la realizzazione di un cespite e, con ingiustificabile duplicazione, invece di essere rimborsata dell’esborso avrebbe addirittura corrisposto un prezzo maggiorato per il relativo acquisto.

Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

Va anzitutto osservato che, giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione del contratto è riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 21/4/2005, n. 8296).

Il sindacato di legittimità può avere cioè ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti bensì solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 29/7/2004, n. 14495).

Deve quindi porsi in rilievo che, pur non mancando qualche pronunzia di segno diverso (v., Cass., 10/10/2003, n. 15100; Cass., 23/12/1993, n. 12758), come questa Corte ha già avuto modo di affermare in tema di interpretazione del contratto, risponde ad orientamento consolidato che ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate.

Si è al riguardo peraltro precisato che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell’art. 1363 c.c., giacchè per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (v. Cass., 28/8/2007, n. 828; Cass., 22/12/2005, n. 28479; 16/6/2003, n. 9626).

Va d’altro canto sottolineato che, pur assumendo l’elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il giudice deve invero a tal fine necessariamente riguardarlo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, e in particolare di quelli (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 6/5/2015, n. 9006) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c, avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295).

Il primo di tali criteri (art. 1369 c.c.) consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta.

L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c., quale criterio d’interpretazione del contratto (fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale”) si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628).

A tale stregua esso non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale (cfr., con riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947).

Assume dunque fondamentale rilievo che il contratto venga interpretato avuto riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale, con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale (art. 1372 c.c.).

Orbene, la corte di merito è nel caso pervenuta ad un’interpretazione del negozio de quo in termini non consentanei con i suindicati principi.

Ha in particolare rigettato la domanda di corresponsione dell’indennità per addizioni e miglioramenti, dall’odierna ricorrente fondata sul contratto di locazione tra le parti intercorso, argomentando dalle clausole dell’altro e diverso contratto di compravendita da esse successivamente stipulato.

In particolare, dalle parole “nello stato di fatto e nella condizione di diritto in cui si trova, ben nota all’acquirente che dichiara di accettare, assumendosene tutti gli eventuali rischi e costi, nulla escluso ed eccettuato di cui al relativo art. 1, affermando che “l’art. 5, dell’atto di compravendita è invero univoco nell’accollare alla società acquirente ogni rischio e costo relativo alla condizione di fatto e di diritto in cui si trovava il compendio alienato, con conseguente estinzione per confusione di ogni ipotetico credito della conduttrice nei confronti della locatrice”.

Ha altresì escluso che “i costi accollati sarebbero solo quelli futuri, in quanto i diritti in contestazione sono stati… azionati dopo la stipulazione della compravendita”.

Orbene, a parte l’erroneità del riferimento all’operare nella specie – in difetto dei relativi presupposti- degli istituti dell’accollo e della confusione, emerge evidente come le non meglio precisate suindicate affermazioni, nonchè quella per la quale l’art. 4, dell’atto di compravendita (secondo cui “ogni adempimento e spesa eventualmente occorrenti al completamento della sanatoria siano a carico esclusivo della società acquirente) va inteso come contemplante l’esclusione della possibilità che “gli oneri già sostenuti possano considerarsi ragione di ripartizione”, oltre a risultare apoditticamente formulate (non venendo indicato sulla base di quali elementi esse risultino suffragate) si appalesano invero come del tutto illogiche nonchè contrastanti con la ragione pratica del contratto di compravendita de quo, non potendo dalla circostanza della relativa mera stipulazione trarsi il corollario della tacita o implicita volontà dell’odierna ricorrente di rinunziare (“abdicare”) al diritto di credito alle addizioni apportate nel tempo alla cosa locata (a fortiori in considerazione, nel caso, del loro rilevante valore economico), nonchè al “diritto al rimborso degli oneri sostenuti per il condono edilizio”.

Dalla corte di merito non risulta d’altro canto nemmeno dato conto di come siffatta interpretazione possa trovare logica e coerente spiegazione avuto riguardo al comportamento nel caso dalle parti successivamente mantenuto, avuto in particolare riferimento alla redazione e invio della lettera in data 16 marzo 2007, della comunicazione in data 20 luglio 2007, della lettera 19 settembre 2007, dalle quali emerge come anche l’odierna controricorrente in realtà considerasse non estinti i diritti di controparte insorgenti dal contratto di locazione in ragione della successiva stipulazione tra di esse del contratto di compravendita de quo.

Comportamento deponente in termini invero contrari alla comune volontà delle parti nell’impugnata sentenza indicata come volta ad “accollare alla società acquirente ogni rischio e costo relativo alla condizione di fatto e di diritto in cui si trovava il compendio alienato, con conseguente estinzione per confusione di ogni ipotetico credito della conduttrice nei confronti della locatrice”.

Emerge dunque evidente come i giudici di merito si siano nel caso limitati – dandone altresì erronea, insufficiente e illogica motivazione – a un’interpretazione meramente atomistica e formalistica delle clausole contrattuali in argomento (e in particolare di quelle di cui agli artt. 1, 4 e 5), omettendo invero di riguardarne il tenore letterale alla stregua dei richiamati primari criteri di interpretazione soggettiva dell’interpretazione globale (art. 1362 c.c., comma 2), sistematica (art. 1363 c.c.), funzionale (art. 1369 c.c.) e secondo buona fede (art. 1366 c.c.), avuto riguardo alla relativa causa concreta.

Dell’impugnata sentenza, logicamente assorbito il ricorso incidentale affidato ad unico motivo (con il quale la ricorrente in via incidentale si duole non essersi dai giudici di merito considerato che nessuna autorizzazione era stata dalla locatrice data per la costruzione dell’addizione – tra l’altro non consentita dalla disciplina urbanistica -, e, per altro verso, lamenta che in base alle clausole di cui all’art. 1, comma 2, e art. 3, comma 2, del contratto di locazione l’indennizzo non sarebbe spettato qualora come nella specie l’immobile fosse stato alienato allo stesso conduttore, non ricorrendo in tale ipotesi la ragione giustificativa della relativa corresponsione consistente nell’attribuzione di “una sorta di compenso al conduttore per l’improvvisa interruzione del rapporto locatizio e, quindi, della possibilità di continuare a godere del bene”) prospettante questione da valutarsi dal giudice del rinvio nell’ambito della disamina rimessagli giusta quanto sopra rilevato ed esposto, s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo del suindicato disatteso principio applicazione.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, assorbito l’incidentale. Cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2016

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