Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23700 del 22/11/2016


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Cassazione civile sez. III, 22/11/2016, (ud. 20/05/2016, dep. 22/11/2016), n.23700

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26407/2013 proposto da:

V.I., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G

SAVONAROLA 39, presso lo studio dell’avvocato STUDIO LEGALE POLESE,

rappresentata e difesa dagli avvocati MARIATERESA ELENA POVIA, CARLO

ZAULI, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.P., Z.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 699/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/05/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato ARTURO PERUGINI per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 10/9/2013 la Corte d’Appello di Bologna, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla sig. V.I. nei confronti dei sigg. Z.P. e D. – quali eredi della defunta sig. M.G. – e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Ravenna 24/7/2012, ha rigettato la domanda da quest’ultime in via riconvenzionale spiegata di risarcimento di lamentati danni, e ha confermato l’impugnata sentenza per il resto. Ha in particolare confermato il rigetto della domanda di risoluzione di contratto di locazione d.d. 30/1/2003 avente ad oggetto terreno sito in frazione (OMISSIS), ove era stato apposto un chiosco per la vendita di fiori.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la V. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi. Le intimate non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218 e 1587 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 Cedu, art. 47 Carta di Nizza, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 1467 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4 motivo denunzia violazione dell’art. 934 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 5 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1593 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso è inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito E es., al “ricorso ex art. 409 c.p.c. del 29 febbraio 2008”, alla “comparsa in forma di ricorso ex art. 50 c.p.c. e art. 447 bis c.p.c. del 14/10/2010”, alla comparsa di costituzione e risposta delle controparti, a “tutte le istanze istruttorie… dedotte in comparsa di riassunzione, alla “perizia grafologica elaborata dalla Prof.ssa S.P.A.”, all'”ordinanza del 22/04/2011″, alle deposizioni dei “testi Z.C., Z.M., A.P., all’espletato interrogatorio formale di Z.P. e di Z.D.”, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello, al “rapporto contrattuale di locazione”, alla “documentazione versata in atti”, a “tutte le pratiche avviate dalla conduttrice, alla “autorizzazione edilizia per l’installazione temporanea del chiosco (v. doc. 23 dell’appellante) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Senza sottacersi, con particolare riferimento al 1 motivo, che stante la genericità della formulazione della mossa censura (sostanziantesi nella doglianza che la corte di merito si è limitata “a sostenere che il conduttore di immobile destinato ad uso non abitativo abbia il diritto di non usare il bene sic et simpliciter senza che possano configurarsi per ciò solo delle responsabilità per inadempimento”), non risulta invero idoneamente censurata la relativa ratio decidendi secondo cui non può “configurare inadempimento la cessazione dell’attività commerciale, con la conseguente perdita dell’avviamento, atteso che… l’esercizio dell’attività in questione era nella esclusiva disponibilità del conduttore, il quale in qualsiasi momento avrebbe potuto decidere di interromperla o meno, senza che ciò potesse influire sul rapporto di locazione, nel quale l’obbligazione primaria era quella di pagare il canone e di adibire la cosa locata all’uso pattuito”, e che “tutti i valori connessi all’esercizio dell’attività commerciale, sia in senso positivo che negativo (avviamento e/o perdita dello stesso), appartenevano unicamente alla sua titolare”.

Quanto al 3 motivo, deve sottolinearsi che risulta del pari non idoneamente censurata la ratio decidendi secondo cui “Del tutto insostenibile è… l’eccessiva onerosità del rapporto a causa dell’onere di pagare l’ICI, non solo per la modestia dell’importo ma anche perchè l’imposta ìn questione è dipendente dalla proprietà e non già dal contratto di locazione; inoltre, del contratto, al di là del nomen, era espressamente previsto ed accettato l’utilizzo del terreno per uno scopo di natura commerciale e non agricola. Quest’ultimo era escluso non solo dalla modestissima estensione dell’area, incompatibile con l’attività di coltivazione del fondo, ma anche dall’ubicazione della stessa vicino al cimitero, circostanza perfettamente compatibile con la gestione di un chiosco per vendita di fiori.

Con riferimento al 4 e al 5 motivo, va ulteriormente osservato che le mosse censure risultano non ben comprensibili e non si appalesano a tale stregua invero decisive (4 motivo), altresì prospettando inammissibili profili di novità (5 motivo).

Quanto infine al 2 motivo, a parte il rilievo che la decisione sulla mera questione di competenza appartiene ad una serie processuale autonoma sia per presupposti che per ambito di cognizione e per gli effetti impugnatori, sicchè non è in alcun modo riferibile “ad un altro grado dello stesso processo” (cfr., con riferimento alla decisione su provvedimento cautelare, Cass., Sez. Un., 26/1/2011, n. 1783), va osservato che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità la pretesa incompatibilità del giudice a far parte del collegio chiamato a decidere sulla domanda non determina la nullità deducibile in sede d’impugnazione ma dà luogo soltanto al potere di ricusazione che la parte ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione del giudice, nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c. (v. Cass., 8/6/2007, n. 13433; Cass., 15/6/2004, n 11275).

Potere di ricusazione che non risulta essere stato nella specie invero esercitato dall’odierna ricorrente, la quale non ha d’altro canto nemmeno dedotto che l’inosservanza dell’obbligo di astensione sia stato nella specie ascrivibile ad un interesse proprio del componente dell’organo decidente (cfr. Cass., 112711/2009, n. 23930; Cass., 27/5/2009, n. 12263; Cass., 12/1/2007, n. 565).

Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo le intimate svolto attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2016

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