Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23700 del 01/09/2021

Cassazione civile sez. III, 01/09/2021, (ud. 17/03/2021, dep. 01/09/2021), n.23700

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31638-2019 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI CONSOLI,

62, presso lo studio dell’avvocato ENRICA INGHILLERI, rappresentato

e difeso dall’avvocato LUCIA PAOLINELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 15/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/03/2021 dal Presidente relatore Dott. RAFFAELE GAETANO ANTONIO

FRASCA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. K.S., cittadino della (OMISSIS), ha proposto contro il Ministero dell’Interno ricorso per cassazione, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, avverso il decreto del 15 settembre 2019, con cui il Tribunale di Ancona, Sezione Specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, ha rigettato il suo ricorso contro la deliberazione della Commissione Territoriale competente che aveva negato la sua richiesta di riconoscimento della protezione internazionale, formulata in tutte le gradate forme previste.

La richiesta era stata basata su una storia personale di allontanamento dal paese di origine e precisamente dalla capitale Monrovia, dove è nato, a causa della morte della sua famiglia, composta dai suoi genitori e da due fratelli, per l’epidemia del virus ebola e per il timore di essere a sua vola contagiato.

2. Al ricorso ha resistito con atto di sola costituzione tardiva il Ministero.

3. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso si deduce letteralmente: Con il secondo motivo così letteralmente ci si duole: “Impugnazione capi da 4 a 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Si enunciano poi due submotivi: il primo, sub A, lo si dice riferito ai capi da 4, 5, 6 e 7 del decreto impugnato e denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 1A della Convenzione di Ginevra, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 e; D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3; il secondo, sub B, lo si riferisce al capo 8 del decreto e denuncia “violazione e falsa applicazione della lege nazionale e sovranazionale inerente il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in particolare del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32 dell’art. 3 CEDU e art. 10 Cost. – Vizio di motivazione”.

1.2. L’illustrazione del primo submotivo inizia sostenendo che il tribunale ha confermato il provvedimento amministrativo, “ritenendo il racconto non rilevante e non provato, non inseribile in un contesto di violenza generalizzata, data la situazione socio politica della (OMISSIS)”, ma, subito di seguito – dopo avere genericamente lamentato, senza individuarla, l’erroneità della motivazione – dà atto, riproducendo a pag. 20 il passo della motivazione di cui al paragrafo 4 del decreto impugnato, che il tribunale ha ritenuto credibile il racconto. Ma, ancora di seguito, sostiene che il tribunale avrebbe “dapprima sminuito o disatteso completamente le allegazioni del richiedente, quindi (…) omesso di verificare se a causa dell’instabilità politica e istituzionale della (OMISSIS), nonché del conflitto etnico religioso in atto da oltre quindici anni nel Paese, vi fosse il rischio, per il richiedente, di grave compromissione dei propri diritti umani fondamentali, quale quello alla vita, alla salute, al lavoro, in caso di rientro forzoso”. Assume che davanti al tribunale sarebbe stata ampiamente dimostrata la situazione interna del Paese, “che ha fatto da sfondo e contesto alla vicenda patita dal ricorrente e che ne ha mosso la fuga”. Cita genericamente il sito “(OMISSIS)” e altre fonti, fra cui un articolo diffuso dal Dipartimento Federale Affari Esteri Svizzero. Sostiene, quindi, che il rientro lo sottoporrebbe al rischio “di patire un trattamento inumano o degradante come contemplato dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b)” e assume che il tribunale avrebbe dovuto assumere d’ufficio le informazioni aggiornate rilevanti ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8.

Dal tenore dell’illustrazione la doglianza parrebbe, dunque, riferirsi al riconoscimento della protezione c.d. sussidiaria di cui all’evocata art. 14, lett. b.

Senonché, nessuna spiegazione viene fornita del come del perché, in relazione alla vicenda personale narrata, verrebbe in rilievo l’ipotesi dell’art. 14, lett. B che nulla ha a che fare con la natura sanitaria di detta vicenda.

Non solo: se si passa alla lettura della motivazione su detta forma di protezione nel decreto, in esso si legge, nella prima proposizione del punto 7.1., che esso ha affermato che “con riferimento alla vicenda di K.S. (…) non viene in rilievo nessuno dei profili di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) – b), poiché non emergono circostanze fondate tali da ritenere che il ricorrente possa essere sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti nel Paese di origine (…)”.

Con questa motivazione, che poi viene ulteriormente spiegata, il tribunale ha voluto dire una cosa ovvia rispetto alla vicenda di cui era investito, cioè che le ipotesi di cui alle due lettere indicate non erano pertinenti rispetto alla vicenda narrata dal ricorrente.

Il motivo e’, pertanto, privo di fondamento.

Va rilevato che in alcun modo in esso si evoca l’art. 14, lett. C in relazione alla quale le considerazioni sulle fonti evocate avrebbero potuto avere senso.

Peraltro, il tribunale, nelle premesse alla sua decisione in concreto, nel paragrafo 5 della motivazione ha ampiamente riferito di COI aggiornate sulla situazione della (OMISSIS), sicché le fonti evocate dal motivo, a parte il segnalato difetto di rilevanza della prospettazione del motivo, si risolvono nella mera contrapposizione a quelle, senza che di queste ultime si discuta.

2. Il submotivo B esordisce – a pag. 23 – adducendo che il tribunale avrebbe violato le norme indicate “per avere escluso la protezione umanitaria, senza contestualizzare nell’ambito della situazione attualmente presente in (OMISSIS) i fattori di vulnerabilità del richiedente”: il riferimento ad un paese diverso rende problematica la rilevanza delle successive argomentazioni. Esse anche qui sono esposte nuovamente ignorando la motivazione che si vorrebbe criticare, la quale inizia alla pag. 6 e si conclude alla pag. 7. E’ omesso di farvi riferimento critico, e, dunque, per ciò solo il motivo risulta anch’esso inammissibile, non senza che debba osservarsi che svolge anche considerazioni del tutto generiche e fattuali su documenti che si erano prodotti in sede di merito, ma lo fa senza dedurre l’art. 360 c.p.c., n. 5 ed in particolare senza precisare se e dove dal loro contenuto si fosse argomentato in termini espositivi di un fatto da considerarsi dal tribunale. Peraltro, se si passa alla lettura della motivazione, essa non risulta in alcun modo considerata in termini critici quanto alle pur stringate prime due proposizioni della pag. 8: ivi si è occupata anche di comparare la situazione del ricorrente in punto di possibile vulnerabilità con quella prima ricostruita del paese di rientro.

Il submotivo è inammissibile.

3. Il ricorso è rigettato.

4. L’irritualità della costituzione del Ministero e l’assenza di un’attività difensionale in pubblica udienza, escludono che si debba provvedere sulle spese.

5. Stante il tenore della pronuncia (declaratoria della inammissibilità del ricorso), va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto. Spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Terza Civile, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2021

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