Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2370 del 01/02/2011

Cassazione civile sez. II, 01/02/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 01/02/2011), n.2370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.L., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale

a margine del ricorso, dall’Avv. Cotrona Vincenzo, elettivamente

domiciliato nello studio dell’Avv. Roberto Carducci in Roma, via G.

Deledda, n. 53;

– ricorrente –

contro

B.M.L. e BE.Lu., rappresentati e

difesi, in forza di procura speciale a margine del controricorso,

dagli Avv. Saccaridi Stefania e Alfredo Di Girolamo, elettivamente

domiciliati nello studio di quest’ultimo in Roma, via F.

Confalonieri, n. 2;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 842 in data

19 giugno 2009;

Udita, la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

sentito l’Avv. Vincenzo Cotrona;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso: “nulla

osserva”.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 6 agosto 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:

“Il Tribunale di Prato, dopo avere respinto, con sentenza non definitiva, l’eccezione preliminare di decadenza dalla garanzia proposta dal convenuto, con sentenza definitiva n. 359 del 20 marzo 2006 condannava l’appaltatore F.L. al pagamento, in favore degli attori B.M.L. e Be.Lu., della somma di Euro 11.134,76, con interessi legali dalla domanda al saldo, per i vizi inerenti alle opere di falegnameria ed i costi necessari alla loro eliminazione.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 842 depositata in data 19 giugno 2009, ha rigettato il gravame del F..

Questi ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, sulla base di sette motivi. Gli intimati hanno resistito con controricorso.

Il primo motivo denuncia nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Il secondo mezzo prospetta omessa motivazione ed il terzo contraddittorietà della motivazione.

Il quarto motivo è rubricato violazione e/o falsa applicazione di legge, il quinto motivo omessa motivazione, ed il sesto insufficiente motivazione circa un punto decisivo prospettato e violazione di legge.

Il settimo motivo censura erronea attribuzione degli interessi con decorrenza dalla notifica della citazione (violazione e falsa applicazione dell’art. 1282 cod. civ. in combinazione con l’art. 1494 cod. civ. o, in ipotesi, con l’art. 1968 cod. civ.).

Tutti i motivi sono inammissibili, perchè non contengono la formulazione conclusiva – prescritta, a pena di inammissibilità, dall’art. 366-bis cod. proc. civ. (ratione temporis applicabile) – di un quesito di diritto (là dove si censura violazione e falsa applicazione di legge), nè (nella parte in cui si prospetta il vizio di motivazione) di un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) recante la chiara e sintetica indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria.

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.

Letta la memoria del ricorrente in via principale.

Considerato che il Collegio concorda con gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ.;

che i rilievi critici ad essa mossi dal ricorrente (il quale, se concorda che il primo, il quarto ed il settimo motivo siano carenti del quesito di diritto, sostiene tuttavia che i restanti motivi, relativi al vizio di motivazione, siano conformi alla prescrizione dell’art. 366-bis cod. proc. civ.) non sono condivisibili;

che, in ordine ai motivi con cui si censura omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, occorre ricordare che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunci la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione;

che ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603);

che, al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente – al contrario di quanto ritiene il ricorrente – che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata;

che non si può dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, Cass., Sez. 3, 30 dicembre 2009, n. 27680);

che nella specie i motivi di ricorso, formulati ex art. 360 c.p.c., n. 5, sono totalmente privi di tale momento di sintesi, iniziale o finale, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo e contenente l’indicazione tanto del fatto controverso, quanto delle ragioni dell’asserito vizio di motivazione;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese sostenute dai controricorrenti, liquidate in complessivi Euro 1.200, di cui Euro 1.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2011

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