Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23699 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 28/10/2020), n.23699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8938-2014 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE GIULIO

CESARE 61, presso lo studio dell’avvocato NORBERTO MANENTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato SEBASTIANO PAPANDREA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 365/2013 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

SIRACUSA, depositata il 07/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. DE MASI ORONZO.

 

Fatto

RITENUTO

CHE

S.B. propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 365/16/2013, depositata il 7/10/2013, con la quale veniva respinto l’appello del contribuente in controversia relativa ad avviso irrogazione sanzioni emesso nei suoi confronti per impiego di lavoratori irregolari, ai sensi del D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, art. 3, comma 3, convertito, con modificazioni, in L. 23 aprile 2002, n. 73, sulla base di p.v.c. della Guardia di Finanza elevato il 14711/2002.

Secondo la CTR il contribuente non ha fornito la prova “che i lavoratori irregolari erano stati utilizzati in data successiva al 1.1.2002”, e che “le dichiarazioni rese in atti ai verbalizzanti dai lavoratori irregolari, in ordine alla data di inizio dell’attività lavorativa di ciascuno di loro, non possono valere, in alcun modo, come elementi di prova, ma rimangono solo delle dichiarazioni rese dalle parti che devono essere valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento”.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, alla luce della sentenza n. 144 del 2005 della Corte Costituzionale, per avere la CTR ritenuto legittima la sanzione irrogata in relazione a tutti i lavoratori trovati intenti al lavoro, commisurata al costo del lavoro risultante dal CCNL applicabile con decorrenza dal 1 gennaio dell’anno (2002) in cui è stata effettuata la verifica ispettiva, senza considerare la possibilità di superare la presunzione legale prevista dalla norma sottoposta al vaglio di costituzionalità e quindi di rideterminare l’entità della sanzione da irrogare.

Con il secondo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, art. 7, comma 4, nonchè dell’art. 112 c.p.c. (corrispondenza tra chiesto e pronunciato) e art. 115 c.p.c. (principio della disponibilità della prova), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, per non avere la CTR considerato che il contribuente ha prestato acquiescenza agli esiti dell’accertamento ispettivo per cui ben poteva avvalersi del contenuto delle dichiarazioni nell’occasione rese dai lavoratori alla Guardia di Finanza, al fine di parametrare la sanzione da irrogare al riscontro probatorio così acquisito agli atti del processo.

Con il terzo motivo deduce vizio di omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la CTR pronunciato sulla censura, contenuta nell’appello proposto avverso la sentenza di prime cure, concernente la posizione dei lavoratori Martello e Di Mauro, la cui assunzione avrebbe potuto configurarsi come irregolare soltanto con il decorso (non avvenuto all’epoca della verifica) di cinque giorni dall’avviamento al lavoro dichiarato.

Le censure, scrutinabili congiuntamente in quanto logicamente connesse, sono infondate e non meritano accoglimento.

L’impugnata sentenza, disattendendo la tesi del contribuente, non ha affatto escluso la possibilità di valutare la sussistenza del lavoro irregolare sulla base anche delle dichiarazioni rese dal lavoratori alla Guardia di Finanza, in applicazione della sentenza n. 144 del 2005 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’incostituzionalità del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, convertito nella L. n. 73 del 2002, nella parte in cui non prevede la possibilità, per il datore di lavoro, di fornire la prova che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio in data successiva al 1 gennaio dell’anno nel quale è stata elevata contestazione della violazione.

Ha viceversa affermato che tali dichiarazioni sono, in concreto, inidonee a superare la presunzione circa la durata dei rapporti di lavoro oggetto di verifica che è “funzionale all’esigenza di garantire l’effettività della sanzione senza porre a carico della amministrazione l’onere di fornire tutte le volte la prova della reale durata del rapporto irregolare”.

Le dichiarazioni rese del terzo, nel corso di un’ispezione ed acquisite agli atti di causa attraverso il processo verbale di constatazione, hanno normalmente valore indiziario e quindi concorrono a formare il convincimento del giudice solo se vengono confermate da altri elementi di prova (Cass. n. 9876/2011; n. 16711/2016).

Nel caso di specie è proprio l’assenza di riscontri offerti dal contribuente che ha indotto i giudici di merito a ritenere che le dichiarazioni dei lavoratori non possono assumere valore di presunzione grave, precisa e concordante ex art. 2729 c.c. circa la effettiva durata di ciascun rapporto di lavoro subordinato, instaurato “di fatto” con l’odierno ricorrente, in quanto non risultante dalle scritture o altra documentazione obbligatorie, donde la prevalenza data al “meccanismo di tipo presuntivo” sulla base del quale viene quantificata la sanzione che il D.L. n. 12 del 2002, volto ad incentivare l’emersione del lavoro irregolare, ha introdotto in aggiunta di quelle già previste per l’utilizzo di lavoratori irregolari.

La valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti è sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5, profilo questo neppure adeguatamente dedotto.

Il giudice peraltro non è tenuto ad occuparsi singolarmente di ogni allegazione e prospettazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4), che esponga, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4), in maniera succinta gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti e le tesi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e l’iter argomentativo seguito (Cass. n. 407/2006).

Neppure assume rilevo decisivo, ai fini qui considerati, l’acquiescenza del contribuente rispetto all’accertamento dei fatti compiuto dalla Guardia di Finanza, atteso che il processo verbale di constatazione, redatto dagli organi accertatori in occasione di verifiche presso il contribuente, può avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni, per cui esse è necessariamente rimesso, dapprima, alla libera valutazione dell’amministrazione finanziaria, per dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento, e poi, dell’autorità giudiziaria (Cass. n. 31120/2017).

In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite (sentenza n. 356/2010) secondo cui “In tema di sanzioni amministrative per impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie, il D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, art. 3, comma 3, conv. nella L. 23 aprile 2002, n. 73 – il quale prevede l’applicazione della sanzione amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso dall’inizio dell’anno e la data della contestazione della violazione – è stato introdotto per inasprire ulteriormente il trattamento sanzionatorio per coloro che continuino ad impiegare lavoratori irregolarmente, nonostante le agevolazioni di varia natura colte ad incentivare l’emersione del lavoro sommerso. Il predetto meccanismo presuntivo esclude qualsiasi obbligo dell’ente, che irroga la sanzione, di provare l’effettiva prestazione di attività lavorativa subordinata per il periodo intermedio compreso tra il giorno di accertamento dell’infrazione ed il primo gennaio dello stesso anno e prescrive al medesimo ente di commisurare la sanzione a quella durata, fino a prova contraria, facente carico all’autore della violazione”.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di quelle del presente giudizio, che liquida in Euro 5.5000,00 per compensi, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

 

 

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