Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23696 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/10/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 28/10/2020), n.23696

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Mar – Consigliere –

Dott. SAIJA S. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3073-2015 proposto da:

GARDENIA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS

31, presso lo studio dell’avvocato VITO SOLA, rappresento e difeso

dall’avvocato DOMENICO DELLA RATTA;

– ricorrente –

contro

ATENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI COSENZA UFFICIO

TERRITORIALE DI ROSSANO, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI COSENZA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1175/2014 della COMM. TRIB. REG. di CATANZARO,

depositata ii 05/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del

26/02/2020 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con avviso di accertamento n. (OMISSIS), l’Ufficio di Rossano accertò a carico di Gardenia s.r.l. un maggior reddito imponibile ai fini IRPEG e IRAP per l’anno d’imposta 2002, pari ad Euro 738.569,52, a seguito dell’illecita percezione di un contributo regionale per la costruzione di un villaggio turistico, procedendo alla liquidazione delle relative imposte ed accessori. La C.T.P. di Cosenza respinse il ricorso proposto dalla società con sentenza n. 350/04/12, confermata dalla C.T.R. della Calabria con decisione del 5.6.2014. Osservò in particolare il giudice d’appello che il terreno venduto dalla società ad altra compagine sociale, afferente al medesimo gruppo familiare, aveva carattere fittizio, rientrando nel complesso di artifici e raggiri posti in essere per ottenere indebitamente il contributo regionale, consistenti nella mancata comunicazione della insistenza di un pignoramento sul terreno stesso, nel carattere fittizio della sua vendita, nonchè nel consistente ammanco di cassa, pure riscontrato dalla G.d.F. in sede di verifica.

Gardenia s.r.l. ricorre ora per cassazione, sulla base di quattro motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 1, e del D.L. n. 16 del 2012, conv. in L. n. 44 del 2012, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente si duole dell’affermazione della C.T.R. secondo cui il detto contributo regionale, in quanto frutto di artifici e raggiri posti in essere da essa società, fosse stato illecitamente percepito, con conseguente assoggettamento a tassazione nell’anno 2002 dell’intera somma, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 1, e ciò in quanto la classificazione di detto contributo come reddito da capitale è erronea, essendosi peraltro ritenuto provato un illecito mai verificatosi.

1.2 – Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la C.T.R. ritenuto adeguatamente motivato l’avviso di accertamento, benchè mediante rinvio al p.v.c. della G.d.F. del 10.12.2008, tuttavia non allegato a detto avviso.

1.3 – Con il terzo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la C.T.R. ritenuto affetto da novità il motivo d’appello concernente la mancata valutazione delle controdeduzioni offerte nella fase stragiudiziale, mai sollevato prima, nonostante essa ricorrente avesse in realtà prodotto la relativa memoria difensiva già unitamente al ricorso introduttivo.

1.4 – Con il quarto motivo, infine, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la C.T.R. ritenuto non fornita la prova della pretesa erariale da parte dell’Agenzia.

2.1 – Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Infatti, la società ha concepito il ricorso in esame iniziando con la formulazione di varie e confuse censure avverso la decisione della C.T.R., senza minimamente far cenno alla vicenda, nè dal punto di vista sostanziale, nè processuale. Basti notare che (ad eccezione di un vago riferimento contenuto nell’intestazione dell’atto) solo a pag. 7 del ricorso, dopo una messe di considerazioni sui pretesi errori in cui sarebbe incorsa la C.T.R. e sulla portata di varie norme giuridiche, la società opera un fugace cenno al fatto che l’atto impositivo impugnato è un avviso di accertamento. Insomma, per poter compiutamente ricostruire la vicenda, e per poter intuire il senso dei motivi di ricorso, occorre o leggere il controricorso, oppure la sentenza, oppure ancora procedere ad una faticosissima cesellatura di quanto evincibile passim in ricorso, per ottenere una descrizione comunque lacunosa e insufficiente. Tutto ciò rende praticamente non comprensibili, se non nei loro tratti essenzialissimi – e comunque inammissibilmente costringendo la Corte a ricercare qua e là nel ricorso stesso gli argomenti che ne costituiscono il trait d’union – i motivi di censura proposti.

In proposito, si è condivisibilmente affermato che “Nel giudizio di cassazione, il requisito di contenuto – forma previsto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), deve essere assolto necessariamente con il ricorso e non può essere ricavato da altri atti, quali la sentenza impugnata o il controricorso, perchè la causa di inammissibilità non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo, peraltro, riferibile ad un unico atto” (Cass. n. 18623/2016). E ancora, “In tema di giudizio di legittimità, per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’ art. 366 c.p.c., n. 3, non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi” (Cass. n. 17036/2018). Infine, particolarmente calzante è il principio per cui “Per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati ‘causa petendì e ‘petitum, nonchè degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perchè tanto equivarrebbe a devolvere alla S.C. un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente. Il requisito non è adempiuto, pertanto, laddove i motivi di censura si articolino in un’inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, riproduzione di atti e documenti incorporati nel ricorso, argomentazioni delle parti e frammenti di motivazione della sentenza di primo grado” (Cass. n. 13312/2018).

2.2 – Come se ciò non bastasse, può aggiungersi che la società è incorsa anche nella violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto nel ricorso si fa riferimento a diversi e numerosi atti e documenti, senza tuttavia indicare quando siano stati prodotti e in quale sede processuale si trovino (ciò vale, in particolare, per il p.v.c. della G.d.F. del 10.12.2008, per i certificati catastali circa la pretesa diversità della particelle di terreno, per il verbale di primo sopralluogo della G.d.F. del 2007, per le controdeduzioni asseritamente non esaminate dall’Ufficio, ecc.).

3.1 – In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dell’art. 13, comma 1 – quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

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