Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2369 del 31/01/2018


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Cassazione civile, sez. III, 31/01/2018, (ud. 05/12/2017, dep.31/01/2018),  n. 2369

Fatto

RILEVATO CHE:

1. St.Se., con atto di citazione ritualmente notificato, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Rossano il Dr. S.G. e l’ASL n. (OMISSIS) di Rossano, in persona del legale rappresentante pro tempore, per ivi sentir condannare i convenuti al risarcimento di tutti i danni (biologico, da invalidità permanente, alla vita di relazione, ecc.) da essa subiti in occasione dell’intervento di legatura delle tube.

In punto di fatto, parte attorea deduceva che:

– in data (OMISSIS) era stata ricoverata per gravidanza a termine, presso la Divisione di Ostetricia e di Ginecologia del Presidio Ospedaliero di (OMISSIS); al momento del ricovero le sue condizioni risultavano soddisfacenti, come emerge dalla cartella clinica prodotta in atti;

– in data (OMISSIS) era stata sottoposta ad intervento di parto mediante taglio cesareo, a causa dei possibili rischi a carico dell’utero, per essere stata già sottoposta ad altro parto cesareo; al termine di tale intervento i sanitari avevano effettuato la legatura e sezione delle tube, senza il suo consenso e senza che fossero intervenute, nel corso dell’operazione, complicanze tali da giustificare clinicamente un intervento di sterilizzazione d’urgenza;

– era venuta a conoscenza di tale ultimo intervento soltanto all’inizio del (OMISSIS), allorquando il proprio medico ginecologo, al quale si era rivolta per una visita, le aveva dato lettura della copia del cartellino di dimissione del presidio Ospedaliero di (OMISSIS);

– nel mese di (OMISSIS), aveva effettuato presso l’Ospedale di (OMISSIS) una salpingografia bilaterale, che aveva confermato l’avvenuto intervento.

Tanto premesso, parte attorea deduceva che – poichè non aveva mai prestato alcun consenso all’intervento di legatura e sezione delle tube; e poichè tale intervento non era in alcun modo necessitato dall’andamento del parto cesareo – sussisteva nel caso di specie una responsabilità del professionista e della struttura sanitaria. Quindi concludeva affinchè il Tribunale di Rossano dichiarasse la responsabilità del Dr. S.G. e, conseguentemente, dell’Asl n. (OMISSIS) di Rossano per l’intervento di legatura e sezione delle tube e condannasse i convenuti al risarcimento di tutti i danni subiti.

2. Si costituiva in cancelleria l’Asl n. (OMISSIS) di Rossano in persona del Direttore Generale, la quale evidenziava l’assoluta non censurabilità del comportamento professionale serbato dal Dr. S. sia dal punto di vista medico-clinico che dal punto di vista deontologico. Invero, le condizioni della sig.ra St.Se., sottoposta in occasione di una precedente gravidanza ad intervento di taglio cesareo, erano tali da consigliare di evitare una terza ed ulteriore gravidanza che avrebbe messo in pericolo l’incolumità fisica della donna, peraltro portatrice di rimarchevoli deficit organici afferenti al proprio apparato riproduttivo-genitale. D’altra parte, secondo la ricostruzione della vicenda offerta dal convenuto, la St. era stata resa edotta delle circostanze ora esposte e la stessa aveva prestato il proprio consenso, sebbene non nella forma scritta. Sulla scorta di tali considerazioni, ritenuto di non potersi addebitare alcuna responsabilità alla struttura sanitaria convenuta, la difesa dell’Asl concludeva per il rigetto della domanda proposta dalla sig.ra St.Se..

3. All’udienza del 5 febbraio 1999 si costituiva altresì il Dr. S.G. il quale concludeva anch’egli per il rigetto della domanda e la condanna al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., dell’attrice che aveva “sicuramente agito con censurabili intenti e nella consapevolezza di esternare inconferenti giudizi ed alterate verità accadimentali”.

In particolare, la difesa del professionista deduceva che la St. era stata ricoverata nella divisione di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di (OMISSIS) ((OMISSIS)) in condizioni generali già non buone e poi aggravatesi in data (OMISSIS), in quanto era stato evidenziato un utero contratto, di forma irregolare a clessidra, indice di assottigliamento del segmento uterino inferiore e, quindi, esposto al concreto rischio di distaccarsi o di rompersi. Tale situazione, secondo corretta applicazione dei dettami della scienza medica, aveva reso necessario il ricorso ad un nuovo taglio cesareo, del quale lui aveva informato, puntualmente ed alla presenza di tutto il personale medico e paramedico, la Sig.ra St., anticipandole che, se avesse rilevato, nel corso dell’intervento, una condizione di isteromalacia (presenza di tessuto miometrale alterato nella struttura e nella solidità) sarebbe stato opportuno, già nel corso dell’intervento, adottare iniziative terapeutiche profilattiche quali la sterilizzazione chirurgica tubarica bilaterale. A seguito di tale informativa, la paziente aveva così avuto modo di esprimere il proprio consenso, con affermazione di assoluto ed incondizionato affidamento alle competenze dell’operatore.

4. La causa veniva istruita a mezzo interrogatorio libero dell’attrice, prova testimoniale e CTU medico legale, e, quindi, trattenuta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti all’udienza del 22 giugno 2006.

5. Il Tribunale di Rossano con sentenza in data 22-30 gennaio 2007, in accoglimento della domanda proposta dalla sig.ra St.Se.:

– dichiarava la responsabilità del Dr. S.G. per avere seguito sull’attrice in data (OMISSIS) l’intervento di legatura e sezione delle tube senza il preventivo consenso della stessa;

– condannava il Dr. S.G. e l’Asl n. (OMISSIS) di Rossano in persona del Direttore Generale pro tempore, in solido tra loro, al pagamento in favore della sig.ra St.Se. ed a titolo di risarcimento dei danni della complessiva somma di Euro 63.430,30, oltre interessi nella misura legale dalla data del deposito della sentenza fino all’effettivo soddisfo;

– condannava i convenuti, in solido tra loro, alla refusione in favore della sig.ra St.Se. delle spese processuali;

– poneva definitivamente a carico delle parti convenute, in solido tra loro, le spese della consulenza tecnica d’ufficio, liquidate come da separato decreto.

6. Avverso la sentenza del Tribunale di Rossano, proponevano appello: sia S.G., che chiedeva l’integrale riforma della sentenza; sia l’ASP di Cosenza, in persona del legale rappresentante p.t., che chiedeva a sua volta l’integrale riforma della sentenza o, in subordine, l’esclusione di responsabilità in capo ad essa ASP.

La Sig.ra St. si costituiva eccependo l’inammissibilità degli appelli per difetto di specificità dei motivi e in ogni caso l’infondatezza degli stessi, di cui chiedeva il rigetto.

7. La Corte territoriale – dopo aver respinto l’istanza di inibitoria e disposto la riunione degli appelli – con la sentenza impugnata rigettava entrambe le impugnazioni e confermava la sentenza di primo grado, condannando entrambi i convenuti alla rifusione in favore di parte attorea delle spese processuali.

8. Avverso la sentenza della Corte territoriale proponeva ricorso il Dr. S., articolando 4 motivi di doglianza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

2. Fondati sono i primi due motivi, entrambi concernenti il consenso informato, nei quali l’odierno ricorrente censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione di legge e per omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti.

Può essere utile ricordare che la giurisprudenza di questa Corte, anche di recente, nell’affrontare la problematica del consenso informato (sotto il profilo del contenuto, delle modalità di acquisizione e del fondamento), ha avuto già modo di affermare che:

a) il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti (col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l'”id quod plerumque accidit”, in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque ad interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento lesivo): Sez. 3, sent. n. 27751 del 11/12/2013, Rv. 628757-01;

b) il medico viene meno all’obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso, sicchè non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente (Sez. 3, Sentenza n. 19212 del 29/09/2015, Rv. 637014-01);

c) il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, e tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona – bene che riceve e si correda di una tutela primaria nella scala dei valori giuridici a fondamento dell’ordine giuridico e del vivere civile -, o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio. Tale consenso è talmente inderogabile che non assume astratta rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l’intervento absque pactis sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale deficit di informazione, il paziente non è posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica (Sez. 3, sent. n. 16543 del 28/07/2011, Rv. 619495-01).

Il tema del consenso informato è stato di recente oggetto di ulteriori precisazioni, da parte di questo giudice di legittimità (sent. n. 26827/2017), che, con argomentazioni interamente condivise dal collegio, ha affermato, in particolare che:

– la mancanza di consenso può assumere rilievo a fini risarcitori quando siano configurabili conseguenze pregiudizievoli derivate dalla violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione in sè considerato, a prescindere dalla lesione incolpevole della salute del paziente;

– il diritto all’autodeterminazione, distinto dal diritto alla salute, secondo l’insegnamento della stessa Corte costituzionale (sent. n. 438 del 2008), rappresenta: da un lato, una doverosa e inalienabile forma di rispetto per la libertà della persona umana, atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sè e ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive (Cass. n. 23676/2008 e n. 21748/2007); dall’altro, uno strumento relazionale volto al perseguimento e alla tutela dell’interesse della persona, quale paziente, ad una compiuta informazione, che si sostanzia nella indicazione: delle prevedibili conseguenze del trattamento sanitario; del possibile verificarsi di un aggravamento delle condizioni di salute; dell’eventuale impegnatività, in termini di sofferenze, del percorso riabilitiativo post-operatorio;

– ad una corretta e compiuta informazione, infatti, consegue per il paziente: la facoltà di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico; la possibilità di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari; la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze postoperatorie; la facoltà di rifiutare l’intervento o la terapia, ovvero di decidere consapevolmente di interromperla; la possibilità di prepararsi ad affrontare dette conseguenze con maggiore e migliore consapevolezza;

– in questa prospettiva, viene in rilievo il caso in cui, alla prestazione terapeutica, conseguano pregiudizi che il paziente avrebbe alternativamente preferito non sopportare nell’ambito di scelte che solo a lui è dato di compiere; nonchè la considerazione del turbamento e della sofferenza che derivino al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perchè non prospettate e, anche per questo, più difficilmente accettate;

– tale tipo di danno non patrimoniale è risarcibile (in via strettamente equitativa) ogniqualvolta varchi la soglia della gravità dell’offesa secondo i canoni delineati dalle sentenze delle Sezioni unite nn. 26972-26975 del 2008, che hanno condivisibilmente affermato che il diritto deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico;

– diversamente, il paziente che chieda il risarcimento anche del danno da lesione della salute che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, ma tuttavia compiuto senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, deve necessariamente allegare, sulla base anche di elementi soltanto presuntivi (Cass. n. 16503/2017) la cui efficienza dimostrativa seguirà una sorta di ideale scala ascendente, a seconda della gravità delle condizioni di salute e della necessarietà dell’operazione – che egli avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato (Cass. n. 2847/2010), allegando ancora che, tra il permanere della situazione patologica in atti e le conseguenze dell’intervento medico, avrebbe scelto la prima situazione, ovvero che, debitamente informato, avrebbe vissuto il periodo successivo all’intervento con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e le eventuali sofferenze) predisposizione la cui mancanza andrebbe realisticamente e verosimilmente imputata proprio (e solo) all’assenza di informazione.

In definitiva, occorre qui ribadire che, in materia di consenso informato, il giudice deve interrogarsi se il corretto adempimento, da parte del medico, dei suoi doveri informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico – dal quale, senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato – ovvero avrebbe consentito al paziente la necessaria preparazione e la necessaria predisposizione ad affrontare il periodo post-operatorio nella piena e necessaria consapevolezza del suo dipanarsi nel tempo. Infatti, se il paziente avesse comunque e consapevolmente acconsentito all’intervento, dichiarandosi disposto a subirlo qual che ne fossero gli esiti e le conseguenze, anche all’esito di una incompleta informazione nei termini poc’anzi indicati, sarebbe insussistente il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico e la lesione della salute, proprio perchè il paziente avrebbe, in ogni caso, consapevolmente subito quella incolpevole lesione, all’esito di un intervento eseguito secondo le leges artis da parte del sanitario.

Pertanto, con specifico riferimento al riparto degli oneri probatori gravanti sulle parti, occorre ribadire: da un lato, che il consenso del paziente all’atto medico non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita; presuntiva, per contro, può essere la prova che un consenso informato sia stato prestato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sul medico (Sez. 3, sent. n. 20984 del 27/11/2012, Rv. 624388-01); dall’altro, che, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute “solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute” (Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010, Rv. 611427-01).

Di tale ultima regola di giudizio non hanno fatto buon governo i giudici di merito.

Invero, dalla sentenza del Tribunale di Rossano – che pure riporta analiticamente quanto assunto dalla ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, riferisce che la St. all’udienza del 23/4/1999 era stata liberamente interrogata quindi riepiloga i fatti che avevano dato origine alla causa (pp. 2-7) – non emerge che la St. abbia mai allegato che, ove mai avesse ricevuto una completa e corretta informazione, avrebbe rifiutato l’intervento di salpingectomia.

D’altra parte, detta circostanza non sembra neppure essere emersa dall’articolata istruzione dibattimentale, avvenuta nel giudizio di primo grado. Il Tribunale di Rossano, infatti:

– ha ritenuto provata la domanda attorea (p. 19 e ss.) sulla base: a) della cartella clinica (dalla quale non era risultata la prestazione di alcun consenso all’intervento di legatura delle tube, mentre era risultata una situazione medica assolutamente soddisfacente della St. sia al momento del ricovero che nel corso del parto cesareo), nonchè b) della deposizione resa da St.Ma. (dalla quale era risultato che l’odierna convenuta, sorella della teste, soltanto in occasione di una visita ginecologica, effettuata due anni dopo il parto, era venuta a conoscenza del fatto che durante il parto le erano state chiuse le tube);

– ha espressamente preso in esame il dichiarato del Dr. P.G. (ginecologo, che all’epoca dei fatti svolgeva la propria attività presso l’Ospedale di (OMISSIS), quale aiuto del Dr. S., e che tanto fece anche durante il taglio cesareo eseguito sulla St.), a dire del quale, il Dr. S., poco prima di iniziare l’operazione, quando la St. era già stata portata in sala operatoria, avrebbe fatto presente alla paziente che, trattandosi del secondo parto cesareo, vi era la possibilità di dover procedere alla legatura delle tube, ed avrebbe precisato che avrebbe potuto prendere tale decisione soltanto nel corso dell’intervento (esaminando le condizioni uterine), ottenendo il consenso verbale della donna. Ma, alla luce dell'”insanabile e gravissima contraddizione” tra detta deposizione e quella del Dr. Pa.Ga. (medico anestesista presso l’Ospedale di (OMISSIS), che, pur avendo partecipato all’intervento e pur essendo stato presente nella sala preparto e in sala operatoria, ha riferito di non aver assistito a siffatto colloquio), è pervenuto alla conclusione – con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede di legittimità che il Dr. S. non aveva svolto neppure nella fase immediatamente precedente al parto cesareo, la necessaria attività informativa;

– ha preso espressamente in considerazione anche il dichiarato della Sig.ra Sb.An., infermiera professionale, capo sala nel reparto di Ostetricia dell’Ospedale di (OMISSIS), a dire della quale, il Dr. S., durante l’intervento, resosi conto di dover procedere alla legatura delle tube, uscì dalla sala operatoria per andare ad avvertire i parenti, che si rimisero alla sua decisione. Ma, alla luce di un “esame complessivo della prova documentale e testimoniale”, analiticamente ripercorso, è pervenuto alla conclusione – anch’essa insindacabile nella presente sede – che non era risultato provato: nè il dedotto intervenuto un sanguinamento,(e la successiva richiesta della presenza dei parenti) e neppure il verificarsi di uno stato di necessità, legittimante l’intervento di sterilizzazione tubarica.

E la Corte di appello di Catanzaro – dopo aver rilevato (p. 8) la genericità delle censure svolte nei motivi di gravame a fronte del “complesso ed articolato impianto motivazionale” della sentenza di primo grado – ha a sua volta ritenuto accertato soltanto che:

a) la St., di anni 37, nel corso del suo secondo parto con TC, era stata sterilizzata (avendo il ginecologo praticato la legatura e sezione delle tube), senza essere stata previamente informata;

b) le evenienze accadute in sala parto non erano state tali da imporre di intervenire d’urgenza con la sterilizzazione chirurgica della paziente.

In definitiva, dal complesso motivazionale di entrambe le sentenze di merito non risulta traccia che la St. abbia dato prova del fatto che, se fosse stata adeguatamente informata dell’intervento di sterilizzazione tubarica, avrebbe rifiutato la prestazione.

Ne consegue che – assorbiti gli ulteriori profili di doglianza (nei quali il ricorrente Dr. S. lamenta, in relazione all’art. 360, n. 5, l’acritica adesione alle risultanze peritali contenute nella perizia redatta dal Dr. A.; e, in relazione all’art. 360, n. 3, l’erronea ritenuta inammissibilità dei motivi di appello concernenti la quantificazione del danno) – la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, affinchè la stessa, cui è demandata anche la regolamentazione delle spese processuali tra le parti, proceda a nuovo esame della domanda attorea alla luce dei principi sopra richiamati.

PQM

La Corte:

cassa la sentenza impugnata – in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso presentato dal Dr. S.G. con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro perchè, in diversa composizione, proceda a nuovo esame della questione del consenso informato alla luce dei principi sopra richiamati.

Demanda alla Corte territoriale la regolamentazione delle spese processuali tra le parti anche in relazione al presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2018

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