Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2369 del 27/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 27/01/2022, (ud. 30/11/2021, dep. 27/01/2022), n.2369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5717 del ruolo generale dell’anno 2016

proposto da:

Chef Express s.p.a., in persona del legale rappresentante, (quale

incorporante di SGD s.r.l.), in qualità di rappresentante fiscale

di Momentum Services Ltd, rappresentata e difesa, per procura

speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Giuseppa Maria Teresa

Lamicela e Maria Lucrezia Turco, elettivamente domiciliata in Roma,

via Barberini, n. 47, presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale dell’Emilia-Romagna, n. 1630/10/15, depositata in data 24

luglio 2015;

udita la relazione nella pubblica udienza del 30 novembre 2021 dal

Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott. Visonà Stefano, che ha concluso riportandosi alle

conclusioni scritte con le quali aveva chiesto dichiararsi il

ricorso infondato;

udito per la società l’Avv. Giuseppe Francesco Lovetere.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata nonché dagli atti difensivi delle parti si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a SGD s.r.l., quale rappresentante fiscale in Italia di Momentum Services Ltd, soggetto giuridico di diritto inglese, un avviso di accertamento con il quale aveva disconosciuto il credito Iva esposto con la dichiarazione per l’anno 2004 in quanto le operazioni generatrici del credito erano escluse dal campo Iva e atteso che la documentazione presentata a corredo della richiesta era risultata inidonea; in particolare, il credito Iva oggetto di contestazione riguardava 12 fatture emesse da Cremonini s.p.a. a Momentum service ltd con la dizione “Service fees” per il distacco di personale e due fatture emesse con la causale “consulenze e servizi vari periodo 01/04/04-30/06/04” e “consulenze e servizi come da accordi a saldo 2004” per un servizio complessivo, comprendente attività manageriali di consulenza in ambito strategico, commerciale ed organizzativo, sicché doveva ritenersi che le suddette prestazioni erano da qualificarsi come attività di consulenza e assistenza tecnico-legale, con la conseguenza che, ai fini della territorialità dell’Iva, le stesse non erano imponibili in Italia, stante la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4; avverso il suddetto atto impositivo la società aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Modena; avverso la pronuncia del giudice di primo grado la società aveva proposto appello.

La Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: erano infondate le questioni relative alla nullità della sentenza di primo grado perché priva di motivazione o per vizio di extrapetizione nonché per illegittimità dell’avviso di accertamento per carenza e contraddittorietà della motivazione nonché per errata qualificazione dei servizi resi da Cremonini s.p.a. in favore di Momentum services Ltd; con riferimento al merito, in particolare alle fatture emesse con la causale “service fee” in relazione alle prestazioni rese dal sig. Z. presso Momentum services Ltd, la circostanza che lo stesso era risultato legato da un contratto di collaborazione continuativa e coordinata con Cremonini s.p.a. comportava la sussistenza di uno stretto legame con quest’ultima società, e, sotto tale profilo, le prestazioni di cui alle fatture emesse dovevano essere qualificate quali “prestito di personale”; in ogni caso, anche volendo ragionare al di fuori della figura del prestito di personale, la posizione di direttore generale che il Sig. Z. aveva assunto presso Momentum services ltd comportava che le prestazioni dallo stesso svolte erano da ricondursi nell’ambito della nozione di consulenza ed assistenza tecnica o legale; con riferimento alle due fatture recanti come causale “consulenze e servizi vari periodo 01/01/05-30/06/05” e “consulenze e servizi vari periodo 01/07/05-31/12/05”, che secondo la tesi della società erano da ricondursi ad un complesso di prestazioni non facilmente disaggregabili e quindi non ad una attività di consulenza, ed in ordine alle quali, invece, secondo l’amministrazione finanziaria, non sussistevano elementi di prova in ordine alla natura, qualità e quantità dei servizi prestati, dallo stesso atto di appello poteva evincersi che si trattava di prestazioni tecniche e specialistiche, non generiche, riconducibili, quindi, all’attività di consulenza.

La società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a cinque motivi, illustrato con successiva memoria, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott.ssa De Renzis Luisa, ha depositato le proprie osservazioni scritte con le quali ha concluso chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile o infondato.

La Corte, con ordinanza dell’11 novembre 2020, ha disposto il rinvio a nuovo ruolo per la trattazione della causa alla pubblica udienza.

Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Visonà Stefano, ha depositato le proprie osservazioni scritte con le quale ha ribadito la richiesta di rigetto del ricorso.

La ricorrente, con istanza dell’11 maggio 2021, ha chiesto, ai sensi della D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8bis, che la causa sia discussa oralmente alla presenza delle parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va precisato che la causa è stata trattata alla pubblica udienza, in presenza delle parti, stante la tempestiva istanza della ricorrente, ai sensi della D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8bis.

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere ritenuto che le prestazioni rese da Cremonini s.p.a. mediante il Sig. Z. in favore di Momentum service ltd dovevano essere qualificate come distacco/prestito di personale, con conseguente legittimità della pretesa della amministrazione finanziaria, nonostante il fatto che tale circostanza non era stata oggetto di contestazione con l’avviso di accertamento.

In particolare, parte ricorrente evidenzia che nell’avviso di accertamento si era unicamente contestata la genericità della prestazione indicata nelle fatture e la carenza di documentazione a supporto, nonché la riconducibilità delle stesse a servizi di consulenza ed assistenza, sicché la pronuncia censurata, avendo qualificato le attività in esame quali prestazioni rese a seguito di “prestito di personale”, attesa la natura di parasubordinazione del rapporto esistente tra il Sig. Z. e Cremonini s.p.a., avrebbe definito la questione sulla base di motivi diversi da quelli posti a fondamento della pretesa.

1.1. Il motivo è fondato.

Secondo l’orientamento di questa Corte, il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o ” causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori. In ciò si concreta il vizio di extra petizione ex art. 112 c.p.c., a norma del quale il giudice deve pronunciare sulla domanda e nei limiti di essa, trovando il potere-dovere del giudice di interpretazione e qualificazione giuridica della domanda un limite nel principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che gli impone di circoscrivere la decisione in relazione agli effetti giuridici che la parte vuole conseguire deducendo un certo fatto. La prospettazione della parte vincola pertanto il giudice a trarre, dai fatti esposti, soltanto l’effetto giuridico domandato, senza introdurne diversi e ulteriori, così radicalmente modificando i termini della controversia (Cass. Civ., 29 settembre 2021, n. 26368).

Ciò precisato, va quindi osservato che, con riferimento al caso di specie, la questione di fondo attiene all’esatto contenuto delle ragioni della pretesa fatta valere dall’amministrazione finanziaria con l’avviso di accertamento.

A tal proposito, nel ricorso, in osservanza all’onere di specificità del motivo, è riportato il contenuto dell’avviso di accertamento dal quale si evince che il fondamento della pretesa, da cui era derivata la contestazione del diritto alla detrazione dell’Iva, era stato indicato sia nella carenza documentale diretta a comprovare la natura delle prestazioni eseguite sia nella circostanza che le operazioni di cui alle fatture erano riconducibili ad attività di consulenza ed assistenza, in quanto tali non rilevanti ai fini dell’iva in quanto rese a soggetti passivi di imposta domiciliati o residenti in altri stati membri dell’unione.

Sotto tale profilo, oltre alla questione della incertezza sul contenuto effettivo delle prestazioni, la negazione del diritto alla detrazione Iva era stato basato sulla ricostruzione delle stesse quali attività di consulenza ed assistenza, circostanza che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4, costituiva presupposto di fatto idoneo ad escludere l’imponibilità in Italia delle suddette prestazioni, atteso il diverso criterio di collegamento che trova in questo caso applicazione e che fa eccezione rispetto al principio generale secondo cui, in caso di prestazione di servizi, ai fini della territorialità dell’imposta, viene in considerazione il soggetto che ha eseguito la prestazione e non il soggetto beneficiario.

In sostanza, il fatto, sulla cui base l’amministrazione finanziaria aveva ritenuto di negare la territorialità dell’Iva in Italia era stato specificamente individuato nella sola circostanza che le prestazioni eseguite avevano natura di consulenza o assistenza tecnica e legale, mentre alcun riferimento era stato fatto al diverso criterio di collegamento, pur indicato nella medesima previsione normativa, valorizzato dal giudice di primo grado e, poi, dal giudice del gravame, consistente nella realizzazione di prestazioni mediante distacco di personale.

E’ evidente la diversità fattuale della ricostruzione della natura della prestazione a seconda che la si riferisca ora ad attività di consulenza o di assistenza tecnica e legale ora, invece, al distacco di personale. Nel primo caso, la pretesa si fonda sulle caratteristiche proprie dell’attività svolta, in particolare sul fatto che le prestazioni di servizi hanno una caratterizzazione particolare, in quanto, per scelta del legislatore, si fonda su di una attività di supporto all’attività del committente, secondo le caratteristiche proprie dell’attività di consulenza e di assistenza, che possono essere ricondotte ad una attività professionale che si estrinseca in giudizi, precisazioni, chiarimenti o pareri in cui rileva la valutazione soggettiva del consulente; nel secondo caso, invece, la fattispecie si colloca nell’ambito del particolare rapporto tra il prestatore ed il beneficiario, secondo le caratteristiche tratteggiate, nel diritto interno, dal D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 30, secondo cui il distacco di personale si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.

Il riferimento, dunque, al solo criterio di collegamento consistente nello svolgimento di attività di consulenza e di assistenza tecnica e legale ha delimitato entro tale presupposto di fatto la ragione fondante la pretesa dell’amministrazione finanziaria.

Non correttamente, dunque, parte controricorrente ritiene che si sarebbe trattata di una attività di riqualificazione giuridica del fatto, come tale rientrante nel potere-dovere del giudice.

Invero, il suddetto potere-dovere del giudice è correttamente esercitato ove la valutazione giuridica sia compiuta tenuto conto della causa petendi posta a base della pretesa, dunque del fatto costitutivo della stessa, mentre, ove si individui, a fondamento della decisione, un fatto diverso rispetto a quello fatto valere con la pretesa impositiva, il suddetto potere non è correttamente esercitato, avendo il giudice statuito oltre lo specifico ambito segnato dal fatto costitutivo della pretesa.

2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.L. n. 276 del 2003, art. 30, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4, lett. d) ed e), per avere, in primo luogo, ritenuto che, pur essendo il Sig. Z. un lavoratore parasubordinato, lo stesso, in modo contraddittorio, sarebbe stato oggetto di un accordo di prestito/distacco di personale dipendente, e, inoltre, per avere ritenuto, in contrasto con quanto previsto dal D.L. n. 276 del 2003, art. 30, che può essere oggetto di distacco/prestito di personale un lavoratore parasubordinato.

2.1. Le considerazioni espresse con riferimento al primo motivo di ricorso hanno valore assorbente del presente motivo.

3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4, lett. d) ed e), per avere ritenuto che le prestazioni di servizi di cui alle fatture con causale “service fee” rese da Cremonini s.p.a. per mezzo del sig. Z. in favore di Momentum service ltd dovessero essere qualificate quali “prestazioni di assistenza tecnica o legale”.

3.1. Il motivo è fondato.

Il motivo di ricorso in esame prospetta la questione della non corretta sussunzione della fattispecie nell’ambito delle prestazioni di consulenza ed assistenza tecnica e legale, avendo, in realtà, il Sig. Z. svolto attività di direttore generale che presuppone una attività di gestione e decisionale non riconducibile alla attività di consulenza, che si esplica, piuttosto, in attività professionale che si estrinseca in giudizi, precisazioni, chiarimenti o pareri in cui rileva la valutazione soggettiva del consulente.

In questo ambito, il giudice del gravame ha preso atto della circostanza che il sig. Z. svolgesse attività di direttore generale presso Momentum service ltd, ma ha ritenuto di dovere ricondurre tale attività nell’ambito della consulenza ed assistenza tecnico-legale, sicché si pone la questione della corretta sussunzione della fattispecie nell’ambito della astratta previsione normativa di riferimento.

Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 3, nel testo applicabile ratione temporis, prevedeva, in generale, ai fini della individuazione dei criteri di collegamento in materia di territorialità dell’Iva relativa a prestazione di servizi, che queste si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da soggetti che hanno il domicilio nel territorio stesso o da soggetti ivi residenti che non abbiano stabilito il domicilio all’estero, nonché quando sono rese da stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati e residenti all’estero; non si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da stabili organizzazioni all’estero di soggetti domiciliati o residenti in Italia. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche, agli effetti del presente articolo, si considera domicilio il luogo in cui si trova la sede legale e residenza quello in cui si trova la sede effettiva.

In deroga a quanto previsto dalla regola generale, poi, il comma 4, lett. d), prevede che le prestazioni di consulenza e assistenza tecnica o legale si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti domiciliati nel territorio stesso o a soggetti ivi residenti che non hanno stabilito il domicilio all’estero e quando sono rese a stabili organizzazioni in Italia di soggetti domiciliati o residenti all’estero, a meno che non siano utilizzate fuori dalla Comunità economica Europea e la successiva lett. e) prevede che le prestazioni di servizi e le operazioni di cui alla lettera precedente rese a soggetti domiciliati o residenti in altri Stati membri della Comunità Economica Europea, si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando il destinatario non è soggetto passivo dell’imposta nello Stato in cui ha il domicilio o la residenza.

Va quindi osservato che la Corte di Giustizia ha considerato dirimente dal punto di vista fiscale non “il nome della professione del soggetto che fornisce le prestazioni”, ma la natura stessa di quest’ultime e la “finalità” perseguita (sentenza del 6 dicembre 2007, causa C401/06).

Più precisamente, secondo la Corte di Giustizia le prestazioni elencate nell’art. 9, par. 2, lett. e), terzo trattino (art. 56 della direttiva 2006/112) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4, lett. d), riguardano non solo le attività tipiche delle professioni di avvocato, consulente, perito contabile o di ingegnere, ma ogni altra attività “analoga” a una delle attività menzionate, singolarmente considerate, da chiunque effettuate. A tal fine una prestazione deve ritenersi “analoga” a una delle attività menzionate quando persegue la medesima finalità.

Le attività “analoghe” sono normalmente riconducibili a soggetti diversi da quelli che professionalmente svolgono le attività di avvocato, consulente, perito contabile o ingegnere, che tuttavia esprimono contenuti e finalità uguali e detta “analogia” non è ravvisabile, invece, nelle prestazioni in cui sia preminente l’organizzazione di mezzi tecnici, tipica delle attività imprenditoriali, rispetto alla componente intellettuale e valutativa.

In definitiva, ciò che caratterizza la “consulenza” è lo svolgimento di un’attività consistente in giudizi, precisazioni, chiarimenti o pareri in cui sia preminente la valutazione personale del soggetto che la effettua ed il profilo intellettuale della prestazione.

Tali principi non sono stati osservati dal giudice del gravame che ha ritenuto che l’attività di direttore generale svolta dal Sig. Z. fosse riconducibile alla mera attività di consulenza e assistenza tecnica e legale, senza alcuna specifica considerazione se, rispetto alla attività di direzione generale, di per sé estranea alla mera attività di consulenza, in quanto implicante l’assunzione di poteri gestori e di controllo, alla luce della documentazione prodotta, la stessa avesse o meno le caratteristiche, sopra descritte, sulla cui base procedere alla qualificazione della stessa in termini di consulenza o assistenza tecnica o legale, e, quindi, nell’ambito della previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4, lett. d).

4. Con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e art. 112 c.p.c., per avere reso una motivazione apparente in ordine alla questione relativa ai servizi manageriali di cui alle fatture con causale “consulenze e servizi vari” rese da Cremonini s.p.a. in favore di Momentum service ltd.

4.1. Il motivo è infondato.

La nozione di motivazione apparente va intesa nei ristretti limiti precisati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232): “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.

Ciò precisato, in ordine alla questione relativa ai servizi manageriali di cui alle fatture con causale “consulenze e servizi vari” rese da Cremonini s.p.a. in favore di Momentum service ltd la sentenza ha motivato precisando: in primo luogo, di non potere accogliere l’argomentazione della contribuente in quanto l’amministrazione finanziaria aveva sostenuto che non erano state provate la natura, la qualità e la quantità delle prestazioni, il che ha condotto il giudicante a porre l’attenzione alla causale delle due fatture, dunque alla stessa indicazione, in esse contenute, che si trattava di attività di consulenza; in secondo luogo, che le ulteriori attività che, secondo la linea difensiva di parte ricorrente, avrebbero dovuto condurre a ritenere che in realtà le fatture erano riferite ad una più ampia e generica attività espletata, non erano riconducibili alla mera attività di consulenza, in quanto tecniche e specialistiche.

Si tratta una motivazione, dunque, nella quale è ricostruibile il ragionamento logico giuridico seguito dal giudice del gravame, con conseguente infondatezza del motivo di ricorso in esame.

5. Con il quinto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 4, lett. d), ed e), per avere erroneamente sussunto nell’ambito della previsione normativa astratta della prestazione di assistenza tecnica o legale le attività concretamente svolte da Cremonini s.p.a. in favore di Momentum service ltd.

5.1. Il motivo è inammissibile.

Lo stesso, invero, non tiene conto della ratio decidendi della pronuncia censurata.

Come già osservato in sede di esame del quarto motivo di censura, il giudice del gravame, invero, ha motivato sulla questione in esame precisando di non potere accogliere l’argomentazione della contribuente (secondo cui doveva considerarsi la esistenza di un coacervo di prestazioni non facilmente disaggregabili) in quanto l’amministrazione finanziaria aveva sostenuto che non erano state provate la natura, la qualità e la quantità delle prestazioni, il che ha condotto il giudicante a porre l’attenzione alla causale delle due fatture, dunque alla stessa indicazione che si trattava di attività di consulenza.

E’ partendo da tale considerazione che il giudice del gravame ha, poi, escluso di potere seguire la linea difensiva di parte ricorrente, in quanto ha ritenuto che le ulteriori attività indicate dalla stessa parte non erano tali da potere ricondurre le attività rese ad una generica prestazione di servizi di ampio contenuto, precisando, peraltro, che non vi era prova che le stesse erano state ricevute da Momentum service ltd.

Quel che rileva, dunque, è che la statuizione del giudice del gravame ha avuto come suo momento centrale di valutazione la specifica indicazione della causale recata nelle fatture e la non rilevanza delle ulteriori prestazioni indicate, non solo in quanto prive di prova, ma anche perché ritenute non idonee a estendere le prestazioni dal campo dell’attività di consulenza.

Non si tratta, dunque, di una non corretta sussunzione della fattispecie concreta nel paradigma normativo individuato dalla ricorrente, ma di una attività prettamente valutativa compiuta dal giudice del gravame, del contenuto di prestazioni solo genericamente indicate dalla ricorrente, non suscettibile, quindi, di censura in questa sede.

6. Infine, va disattesa la deduzione di parte ricorrente, contenuta nella memoria, secondo cui troverebbe applicazione al caso di specie lo ius superveniens consistente nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 6, secondo cui: “in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore”, resta comunque fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e ss..

Secondo parte ricorrente, la suddetta formulazione dovrebbe essere interpretata nel senso di ricomprendere una vasta gamma di ipotesi che vanno dall’errata applicazione di un’aliquota all’errato assolvimento dell’Iva in relazione ad operazioni fuori campo, ed in questo ambito dovrebbero essere ricondotte anche le ipotesi di errato assolvimento dell’Iva in relazione ad operazioni esenti o non imponibili.

La suddetta linea interpretativa non può trovare accoglimento.

Questa Corte (Cass. Civ., 3 novembre 2020, n. 24289), sul punto, ha precisato che il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 6, come chiaramente si evince dal tenore letterale della richiamata disposizione, trova applicazione solo in relazione alle operazioni imponibili, allorquando sia stata corrisposta l’Iva in base ad un’aliquota superiore a quella effettivamente dovuta e non anche con riferimento alle ipotesi di operazioni non imponibili.

In particolare, è stato affermato il seguente principio di diritto: “In tema di IVA, l’imposta erroneamente corrisposta in relazione ad un’operazione non imponibile non può essere portata in detrazione dal cessionario, nemmeno a seguito della modifica apportata dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 935, al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 6. Invero, indipendentemente dalla sua efficacia retroattiva prevista dal D.L. n. 34 del 2019, art. 6, comma 3 bis, la menzionata disposizione si applica unicamente alla diversa ipotesi in cui, a seguito di un’operazione imponibile, l’IVA sia stata erroneamente corrisposta sulla base di un’aliquota maggiore rispetto a quella effettivamente dovuta”.

Ne’ può ragionarsi in termini di incostituzionalità della norma, per contrasto con gli artt. 3,53 e 97 Cost., come invece postulato dalla ricorrente.

La linea argomentativa indicata dalla ricorrente muove da un presupposto non corretto, cioè che l’intervento normativo in esame riconoscerebbe il diritto di detrazione del cessionario dell’Iva ad esso indebitamente applicata dal cedente e ciò sarebbe evincibile dal dato letterale della norma, secondo cui “resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione dell’Iva”.

Questa Corte (Cass. Civ., 21 aprile 2021, n. 10439) ha, tuttavia, precisato che tale tesi interpretativa si pone in contrasto con la Sesta direttiva 77/388/CEE (nonché con la successiva direttiva 2006/112/CE), così come costantemente interpretata dalla Corte di Giustizia, secondo cui, benché il diritto alla detrazione dell’Iva costituisce parte integrante del meccanismo dell’imposta, il suo esercizio è limitato alle sole imposte dovute e non può essere esteso all’Iva indebitamente versata a monte, per cui non si estende all’imposta dovuta esclusivamente in quanto esposta sulla fattura (cfr., da ultimo, Corte Giust., 10 luglio 2019, Kursu Zeme; Corte Giust., 21 febbraio 2018, Kreuzmayr; Corte Giust., 14 giugno 2017, Compass Contract Services; Corte Giust., 26 aprile 2017, Farkas). Pertanto, l’inciso contenuto nella previsione normativa in esame (“fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli artt. 19 e ss. …”) va considerato quale riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva nei limiti di quanto dovuto ai sensi delle disposizioni richiamate, che, per le ragioni suindicate, non consentono di poter detrarre l’imposta versata nel suo intero ammontare, laddove non dovuta per intero o in parte, e, dunque, nei limiti dell’imposta effettivamente dovuta in ragione della natura delle caratteristiche dell’operazione posta in essere.

Sotto tale profilo, non è ravvisabile alcuna disparità di trattamento, neanche sotto il profilo sanzionatorio, come invece segnalato dalla ricorrente, posto che la norma riconosce, come detto, il diritto alla detrazione solo nei limiti dell’imposta effettivamente dovuta: nessun diritto alla detrazione è riconosciuto sia in caso di operazioni non imponibili sia in caso di erronea applicazione dell’Iva nella misura maggiore rispetto a quella effettivamente dovuta.

Ne’ può ragionarsi in termini di violazione dell’art. 97 Cost., prospettata sotto il profilo di un aggravamento ingiustificato del carico di lavoro dell’amministrazione finanziaria chiamata ad esaminare un numero maggiore di istanze di rimborso, proprio in quanto, in siffatti casi, per recuperare l’imposta di rivalsa indebitamente versata l’operatore dovrà avanzare richiesta di restituzione all’operatore che ha emesso la fattura erronea, conformemente al diritto nazionale (cfr., in particolare, le richiamate sentenze della Corte di Giustizia Kreuzmayr e Farkas).

7. In conclusione, il primo motivo e terzo motivo sono fondati, assorbito il secondo, infondato il quarto e inammissibile il quinto, con conseguente cassazione della sentenza per i motivi accolti e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite.

PQM

La Corte:

accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo, infondato il quarto e inammissibile il quinto, cassa la sentenza impugnata per i motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2022

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