Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2369 del 01/02/2011

Cassazione civile sez. II, 01/02/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 01/02/2011), n.2369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

R.D.T.G., rappresentato e difeso, in forza di

procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Nicolodi Alessandro,

elettivamente domiciliato nella cancelleria civile della Corte di

cassazione, piazza Cavour, Roma;

– ricorrente –

contro

A.A.;

– intimato –

avverso l’ordinanza del Tribunale di Firenze in data 5 novembre 2008;

Udita, la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 6 agosto 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.: “Con ricorso notificato in data 21 dicembre 2009, R.D.T.G. ha proposto ricorso per la cassazione dell’ordinanza del Tribunale di Firenze in data 5 novembre 2008, in esito al giudizio di opposizione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 170 ordinanza riguardante la conferma del compenso richiesto dall’arch. A.A., ed a lui liquidato dal giudice istruttore, nel procedimento di accertamento tecnico preventivo pendente tra i fratelli R.D.T., da una parte, e B. C.R. ed altri, dall’altra, relativamente allo stato ed alle condizioni dell’immobile posto in (OMISSIS), che fu oggetto del contratto di locazione tra le parti.

L’intimato non ha resistito con controricorso.

Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 62 e 194 cod. proc. civ., del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 49, 50 e 51, del D.M. 30 maggio 2002, art. 29 nonchè dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo è fondato.

Sono pacifiche le seguenti circostanze:

l’arch. A.A. è stato nominato c.t.u. nel procedimento per accertamento tecnico preventivo promosso, tra gli altri, da R.D.T.G., per far accertare lo stato e le condizioni dell’immobile posto in (OMISSIS), terzo piano;

al c.t.u. è stato posto il seguente quesito: visto il ricorso, con gli allegati, sentite le parti ed i loro tecnici (ove nominati), esperita ogni opportuna indagine anche avvalendosi delle necessarie attrezzature tecniche e delle metodologie ritenute necessarie, descriva in modo dettagliato le condizioni dell’appartamento in questione, avuto riguardo alle questioni poste nel ricorso; il c.t.u.

ha depositato la perizia e ottenuto la liquidazione del compenso in Euro 1.019,62, oltre oneri, regolarmente saldato;

i ricorrenti, con apposita domanda integrativa depositata il 13 settembre 2006, hanno puntualizzato le incompletezze contenute nell’elaborato peritale, concludendo per il richiamo del c.t.u. a chiarimenti e ad integrazione della predetta relazione; accolta l’istanza, al c.t.u. è stato affidato l’incarico di esperire gli accertamenti e le descrizioni ulteriori richieste dai ricorrenti;

al deposito della integrazione della c.t.u. ha fatto seguito una nuova liquidazione del compenso (Euro 800 per onorari ed Euro 43,05 per spese di vacazione), oggetto della presente controversia.

Tanto premesso, occorre rilevare che, nel rigettare l’opposizione dell’odierno ricorrente, il giudice a quo si è discostato dal principio per cui, in relazione alla liquidazione del compenso in favore del consulente tecnico, i chiarimenti non costituiscono un’attività ulteriore ed estranea rispetto a quella, già espletata e remunerata, oggetto di consulenza, ma un’attività complementare, integrativa e necessaria, al cui compimento il c.t.u. può essere tenuto qualora gli venga richiesto (il che normalmente accade quando la relazione depositata non possa dirsi esaustiva), e di conseguenza in relazione ad essi non spetta un compenso ulteriore rispetto a quello già percepito per la consulenza tecnica (Cass., Sez. 3, 2 marzo 2006, n. 4655).

L’accoglimento del primo mezzo assorbe l’esame degli ulteriori quattro motivi.

Sussistono, pertanto, le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio”.

Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ., alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che, pertanto, il ricorso deve essere accolto;

che, cassata l’ordinanza impugnata, la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto;

che, pertanto, dovendo escludersi la liquidazione del compenso in favore dell’arch. A.A. per i chiarimenti ad integrazione della c.t.u., la relativa istanza va rigettata;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’istanza di liquidazione dell’arch.

A.A. per i chiarimenti ad integrazione della c.t.u.;

condanna l’intimato al rimborso delle spese processuali sostenute dal ricorrente, che liquida in complessivi Euro 600, di cui Euro 400 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2011

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