Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23689 del 28/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 28/10/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 28/10/2020), n.23689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25504-2017 proposto da:

LEGAMBIENTE ONLUS, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato EMANUELA BEACCO

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Ministro pro

tempore, MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, – MINISTERO DELLA GIUSTIZIA,

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, in persona del Ministro pro tempore,

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA DI MILANO,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1234/2017 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 21/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato BEACCO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per i controricorrenti l’Avvocato REALI che ha chiesto il

rigetto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

LEGAMBIENTE ONLUS propone ricorso per la cassazione, sulla base di tre motivi, della sentenza n. 1234/20157, depositata il 21/3/2017, con cui la CTR della Lombardia accolse l’appello proposto dal Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, in controversia concernente la questione se una organizzazione non lucrativa di utilità sociale (Onlus) sia o meno assoggettata al pagamento del contributo unificato in caso di proposizione di ricorso giurisdizionale.

Ad avviso dell’adita CTR la contribuente ha erroneamente invocato l’applicazione del D.P.R. n. 642 del 1972, art. 27 bis, della tabella B allegata, che prevede specifiche esenzioni dall’imposta di bollo in favore delle ONLUS, e che riguarda “atti, documenti, istanze, contratti”, e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, secondo la quale sono esenti dal pagamento del contributo unificato coloro che godono già della imposta di registro, trattandosi di organizzazione non lucrativa di utilità sociale, in quanto si tratta di normativa che deve essere interpretata riduttivamente, con riferimento ai soli atti amministrativi e non anche a quelli processuali (nella specie, il ricorso presentato da LEGAMBIENTE innanzi al TAR della Lombardia avverso un piano di Governo del Territorio del Comune di (OMISSIS), in quanto lesivo degli interessi statutariamente recati dall’associazione), atteso che contempla agevolazioni fiscali che non ammettono una interpretazione analogico – estensiva.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Giustizia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, resistono con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo l’Associazione ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 642 del 1972, art. 27 bis, della tabella B allegata, (Disciplina della imposta di bollo), e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – T.U.S.G.), nonchè dei principi generali in materia di atti giudiziari, con riferimento alle associazioni senza scopo di lucro e segnatamente la L. n. 266 del 1991, artt. 1 e 8, (Legge quadro sul volontariato), dovendosi ricomprendere nell’esenzione del pagamento del bollo anche gli atti aventi natura giudiziaria e/o processuale, secondo una interpretazione del regime agevolativo che, considerato il favor legislatoris per le “attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo”, è l’unica realmente compatibile con i principi costituzionali ed unionali.

Con il secondo motivo deduce l’illegittimità costituzionale (artt. 3,24,53,81,97 Cost.), del D.P.R. n. 642 del 1972, art. 27 bis, della tabella B allegata, e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, nella parte in cui non includono nell’elenco degli atti esenti dal bollo anche gli atti giudiziari e/o processuali, nonchè del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 6-bis, nella parte in cui ha esteso il pagamento del contributo unificato anche ai c.d. “motivi aggiunti”, ed della L. n. 266 del 1991, art. 8, nella parte in cui non individua tra gli atti “connessi allo svolgimento della loro attività” anche gli atti aventi natura giudiziaria e/o processuale delle organizzazioni di volontariato, per violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale.

Con il terzo motivo deduce l’illegittimità costituzionale (artt. 3,24,53,81,97 Cost.), del D.P.R. n. 642 del 1972, art. 27 bis, della tabella B allegata, e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, nella parte in cui non includono nell’elenco degli atti esenti dal bollo anche gli atti giudiziari e/o processuali, nonchè del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 6-bis, nella parte in cui ha esteso il pagamento del contributo unificato anche ai c.d. “motivi aggiunti”, ed della L. n. 266 del 1991, art. 8, nella parte in cui non individua tra gli atti “connessi allo svolgimento della loro attività” anche gli atti aventi natura giudiziaria e/o processuale delle organizzazioni di volontariato, per violazione del principio di adeguatezza della capacità contributiva e del diritto inviolabile di agire in giudizio. Il primo motivo di ricorso è infondato e va respinto.

Il quadro normativo di riferimento è quello di seguito riportato.

Il D.P.R. n. 642 del 1972, art. 1, (Disciplina dell’imposta di bollo) che recita: “Sono soggetti alla imposta di bollo gli atti, i documenti e i registri indicati nell’annessa tariffa. Le disposizioni del presente decreto non si applicano agli atti legislativi e, se non espressamente previsti nella tariffa, agli atti amministrativi dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e loro consorzi.”.

Il D.P.R. n. 642 del 1972, art. 27-bis, della tabella B allegata, secondo il quale sono esenti dalla imposta di bollo: “1. Atti, documenti, istanze, contratti nonchè copie anche se dichiarate conformi, estratti, certificazioni, dichiarazioni e attestazioni poste in essere o richiesti da organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) (nonchè dalle federazioni sportive, dagli enti di promozione sportiva e dalle associazioni e società sportive dilettantistiche senza fine di lucro riconosciuti dal CONI).

La L. n. 266 del 1991, art. 8, (Legge quadro sul volontariato) che recita: “1. Gli atti costitutivi delle organizzazioni di volontariato di cui alla presente L., art. 3, costituite esclusivamente per fini di solidarietà, e quelli connessi allo svolgimento delle loro attività sono esenti dall’imposta di bollo e dall’imposta di registro. 2. Le operazioni effettuate dalle organizzazioni di volontariato di cui alla presente L., art. 3, costituite esclusivamente per fini di solidarietà, non si considerano cessioni di beni nè prestazioni di servizi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto: le donazioni e le attribuzioni di eredità o di legato sono esenti da ogni imposta a carico delle organizzazioni che perseguono esclusivamente i fini suindicati. 3. Alla L. 29 dicembre 1990, n. 408, art. 17, dopo il comma 1, è aggiunto il seguente: “1-ter. Con i D.Lgs. di cui all’art. 17, comma 1, e secondo i medesimi principi e criteri direttivi, saranno introdotte misure volte a favorire le erogazioni liberali in denaro a favore delle organizzazioni di volontariato costituite esclusivamente ai fini di solidarietà, purchè le attività siano destinate a finalità di volontariato, riconosciute idonee in base alla normativa vigente in materia e che risultano iscritte senza interruzione da almeno due anni negli appositi registri. A tal fine, in deroga alla disposizione di cui all’art. 17, comma 1, lett. a, dovrà essere prevista la deducibilità delle predette erogazioni, ai sensi del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 317, artt. 10, 65 e 110, per un ammontare non superiore a lire 2 milioni ovvero, ai fini del reddito d’impresa, nella misura del 50 per cento della somma erogata entro il limite del 2 per cento degli utili dichiarati e fino ad un massimo di lire 100 milioni. 4. I proventi derivanti da attività commerciali e produttive marginali non costituiscono redditi imponibili ai fini IRPEG e ILOR qualora sia documentato il loro totale impiego per i fini istituzionali dell’organizzazione di volontariato. Sulle domande di esenzione, previo accertamento della natura e dell’entità delle attività, decide il Ministro delle finanze con proprio decreto, di concerto con il Ministro per gli affari sociali.”.

Il D.P.R. n. 115 del 2002 (T.U.G.S.), art. 9, secondo cui: 1. E’ dovuto il contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, ((…)) nel processo amministrativo ((e nel processo tributario)), secondo gli importi previsti dall’art. 13, e salvo quanto previsto dall’art. 10. ((1-bis. Nei processi per controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie, nonchè per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego le parti che sono titolari di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, superiore a tre volte l’importo previsto dall’art. 76, sono soggette, rispettivamente, al contributo unificato di iscrizione a ruolo nella misura di cui all’art. 13, comma 1, lett. a), e all’art. 13, comma 3, salvo che per i processi dinanzi alla Corte di cassazione in cui il contributo è dovuto nella misura di cui all’art. 13, comma 1.)).”

Il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, che recita: “1. Non è soggetto al contributo unificato il processo già esente, secondo previsione legislativa e senza limiti di competenza o di valore, dall’imposta di bollo o da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, nonchè il processo di rettificazione di stato civile, il processo in materia tavolare, il processo di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, ((, e il processo in materia di integrazione scolastica, relativamente ai ricorsi amministrativi per la garanzia del sostegno agli alunni con handicap fisici o sensoriali, ai sensi della L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 13, comma 3)). 2. Non è soggetto al contributo unificato il processo, anche esecutivo, di opposizione e cautelare, in materia di assegni per il mantenimento della prole, e quello comunque riguardante la stessa. 3. Non sono soggetti al contributo unificato i processi di cui al libro IV, titolo II, capi II, III, IV e V, del codice di procedura civile. 4. COMMA ABROGATO dalla L. 23 DICEMBRE 2009, N. 191. 5. COMMA ABROGATO dalla L. 23 DICEMBRE 2009, N. 191. 6. La ragione dell’esenzione deve risultare da apposita dichiarazione resa dalla parte nelle conclusioni dell’atto introduttivo.

6-bis. Nei procedimenti di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, e successive modificazioni, gli atti del processo sono soggetti soltanto al pagamento del contributo unificato, nonchè delle spese forfetizzate secondo l’importo fissato al presente T.U., art. 30. Nelle controversie di cui alla L. 2 aprile 1958, n. 319, art. unico, e successive modificazioni, e in quelle in cui si applica lo stesso articolo, è in ogni caso dovuto il contributo unificato.”.

Orbene, nessuna delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 642 del 1972 contempla ipotesi di esenzione dall’imposta di bollo, a favore delle ONLUS, di tipo “soggettivo” (LEGAMBIENTE ONLUS ha pacificamente natura di organizzazione non lucrativa di utilità sociale ai sensi del D.Lgs. n. 460 del 1997), in relazione agli atti processuali (atti di citazione, ricorsi, memorie, ecc.), che risultano in generale tassati, ai sensi dell’art. 20 della tariffa allegata al D.P.R. n. 642 del 1972, essendo viceversa esenti da bollo, ai sensi della tabella allegato B alla tariffa allegata al citato D.P.R. n. 642 del 1972, soltanto talune categorie di atti quali gli atti del processo penale (art. 3) e di quello dinanzi alla Corte Costituzionale (art. 5), nonchè atti, provvedimenti e documenti di procedimenti giurisdizionali in materia di assicurazioni sociali obbligatorie ed assegni familiari, individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, ed ancora, in materia di pensioni dirette o di reversibilità, di equo canone delle locazioni degli immobili urbani (art. 12).

Gli atti processuali, compresi quelli del processo tributario, non sono più soggetti al bollo, essendo oggi dovuto il pagamento del “contributo unificato di iscrizione a ruolo”, per ciascun grado del processo civile, amministrativo contabile e tributario, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, che nel disciplinare la materia ha, tra l’altro, la L. n. 488 del 1999, abrogato art. 9, il quale ha inizialmente introdotto il “contributo unificato per le spese degli atti giudiziari”, che a propria volta aveva sostituito i tributi previgenti (imposte di bollo, tassa di iscrizione a ruolo, diritti di cancelleria, ecc.).

Circa la “natura tributaria erariale” del predetto contributo unificato non vi sono dubbi. La Corte Costituzionale (sent. n. 73 del 2015) ha affermato che tanto rimarcato si ricava: “a) dalla circostanza che esso è stato istituito in forza di legge a fini di semplificazione e in sostituzione di tributi erariali gravanti anch’essi su procedimenti giurisdizionali, quali l’imposta di bollo e la tassa di iscrizione a ruolo, oltre che dei diritti di cancelleria e di chiamata di causa dell’ufficiale giudiziario (L. n. 488 del 1999, art. 9, commi 1 e 2); b) dalla conseguente applicazione al contributo unificato delle stesse esenzioni previste dalla precedente legislazione per i tributi sostituiti e per l’imposta di registro sui medesimi procedimenti giurisdizionali (cit. art. 9, comma 8); c) dalla sua espressa configurazione quale prelievo coattivo volto al finanziamento delle “spese degli atti giudiziari” (rubrica del citato art. 9); d) dal fatto, infine, che esso, ancorchè connesso alla fruizione del servizio giudiziario, è commisurato forfetariamente al valore dei processi (art. 9, comma 2, e tabella 1 allegata alla legge) e non al costo del servizio reso od al valore della prestazione erogata. Il contributo ha, pertanto, le caratteristiche essenziali del tributo e cioè la doverosità della prestazione e il collegamento di questa ad una pubblica spesa, quale è quella per il servizio giudiziario (analogamente si sono espresse, quanto alle caratteristiche dei tributi, le sentenze n. 26 del 1982, n. 63 del 1990, n. 2 del 1995, n. 11 del 1995 e n. 37 del 1997), con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante.

Anche questa Corte (Cass. n. 5994/2012 e n. 9840/2011) ha avuto modo di statuire che il contributo unificato ha natura di “tributo erariale”, che la parte è tenuta a versare il c.u., al momento dell’iscrizione della causa a ruolo, per finanziare le spese che l’amministrazione della Giustizia deve sopportare per la trattazione e la decisione della controversia, e che “anche l’obbligo del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 T.U.S.G., comma 1-quater, ha natura di obbligazione tributaria (in questo senso, Cass., Sez. 6 – 1, n. 15166 del 11/06/2018): sia perchè – come si vedrà – l’obbligo di versare un importo “ulteriore” del contributo unificato (c.d. “doppio contributo”) presuppone normativamente l’obbligo di versare il “primo” contributo unificato e, quindi, partecipa della natura di esso; sia perchè il versamento di un “ulteriore” importo del contributo unificato assolve la funzione di ristorare l’amministrazione della Giustizia dall’aver essa dovuto impegnare le limitate risorse dell’apparato giudiziario nella decisione di una impugnazione non meritevole di accoglimento (ciò non esclude, tuttavia, che l’obbligo di pagamento del doppio contributo abbia altresì una funzione preventivo – deterrente e, quindi, vagamente sanzionatoria – nei confronti della parte che, avendo già ottenuto la decisione della causa dal giudice di primo grado, non se ne accontenti, ma adisca infondatamente il giudice superiore).”.

Di recente si è rimarcato che l’obbligo di pagamento del contributo unificato dipende dalla ricorrenza di una serie di fattori, “innanzitutto da quanto previsto dall’art. 9 T.U., che prescrive in via generale quando è dovuto il contributo unificato (talora facendo dipendere la sua debenza dal livello del reddito della parte, come è previsto per le controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie e per quelle individuali di lavoro o concernenti il pubblico impiego); ma dipende anche dall’assenza delle “esenzioni” di cui al successivo art. 10 T.U., (riconosciute per particolari tipi di procedimenti) e dall’assenza di “prenotazione a debito” ai sensi dell’art. 11 T.U.S.G., (riconosciuta in favore dell’amministrazione pubblica, della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato e della parte obbligata al risarcimento del danno quando è esercitata l’azione civile nel processo penale). Si tratta di plurimi fattori, taluni di tipo “oggettivo” (come quelli riferiti al tipo di controversia), altri di tipo “soggettivo” (come quelli legati alla posizione della parte, con riferimento ad es. al suo reddito: art. 9 T.U., comma 1-bis); taluni di carattere “positivo” (come quelli appena menzionati), altri di carattere “negativo” (assenza di esenzioni e di prenotazione a debito).” (Cass. Sez. Un. 4315/2020).

Ed a fronte della previsione di una imposizione in via generalizzata del suddetto onere a carico del soggetto che intenda adire le vie giudiziali, neppure facendo leva sul combinato disposto del D.P.R. n. 642 del 1972, art. 27-bis, della tabella B allegata, e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, che direttamente disciplina i casi di esenzione dal pagamento del contributo unificato per particolari tipi di procedimenti, si trovano convincenti argomenti a sostegno della lettura del dettato normativo proposta dalla contribuente, la quale incentrata il – preteso – diritto alla esenzione su elementi di tipo “soggettivo” non rinvenibili nella disposizione agevolativa, e tenta di introdurre un criterio – all’evidenza troppo lato – che il legislatore consapevolmente ha inteso evitare, criterio che non coglie la “realtà” del contributo unificato (così Cass. n. 6434/2019 citata).

Sovviene l’orientamento costante di questa Corte (Cass. n. 6434/2019; n. 14332/2018; n. 27331/16; n. 21522/13), dal quale non vi sono ragioni per discostarsi, secondo il quale “In materia di agevolazioni tributarie, le ONLUS non sono esenti dal pagamento del contributo unificato, ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, e del D.P.R. n. 642 del 1972, art. 27 bis, della tabella 8 allegata, atteso che, da un lato, il termine “atti” deve riferirsi esclusivamente a quelli amministrativi e non anche a quelli processuali, giusta la necessità di un’interpretazione restrittiva quanto ai benefici fiscali, e, dall’altro, che l’esenzione dal contributo suddetto è giustificabile, alla luce del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, solo in base ad un criterio di meritevolezza, in funzione della solidarietà sociale, dell’oggetto del giudizio e non in considerazione della qualità del soggetto, anche in ragione di esigenze costituzionali di parità di trattamento e comunitarie di non discriminazione”, ed ” (..) un’eventuale esenzione dal contributo unificato, in ragione della sola qualità del soggetto che agisce in giudizio, risulterebbe “distonica rispetto alla tecnica utilizzata dal legislatore nella previsione delle ipotesi di esenzione, la quale procede attraverso l’individuazione dell’oggetto dei giudizi, nei quali gli atti sono posti in essere, in base al criterio della particolare meritevolezza delle situazioni giuridiche” (Corte Cost. n. 91 del 2015)”.

A conferma della correttezza della sopra riportata interpretazione della disciplina di favore di cui qui si discute non appare superfluo ricordare che il D.P.R. n. 642 del 1972, art. 27-bis, è stato originariamente inserito nella tabella, allegato B, dal D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 17, (contenente il riordino degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale) ed aveva un ambito soggettivo di applicazione limitato esclusivamente agli “Atti, documenti, istanze, contratti nonchè copie anche se dichiarate conformi, estratti, certificazioni, dichiarazioni e attestazioni poste in essere o richiesti da organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS).”, che successivamente la L. 289 del 2002, art. 90, comma 6, ha ampliato la categoria dei soggetti beneficiari della esenzione, facendovi rientrare, a decorrere dal 1 gennaio 2003, anche “le federazioni sportive, dagli enti di promozione sportiva e dalle associazioni e società sportive dilettantistiche senza fine di lucro riconosciuti dal CONI.”, e che il D.Lgs. n. 117 del 2017, (Codice del terzo settore) ha riproposto, ampliandola sotto l’aspetto oggettivo, la esenzione già prevista dal più volte citato, art. 27-bis, prevedendo, con l’art. 82, comma 5, a decorrere dal 1 gennaio 2008, che: “5. Gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonchè le copie anche se dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni, le attestazioni e ogni altro documento cartaceo o informatico in qualunque modo denominato posti in essere o richiesti dagli enti di cui all’art. 82, comma 1, sono esenti dall’imposta di bollo.”, il tutto secondo una tecnica legislativa (Corte Cost. sent. n. 91 del 2015 cit.) usuale nella materia che impone di ritenere tassativa l’elencazione degli atti esenti, anche “atteso che le norme che dispongono agevolazioni o esenzioni sono di stratta interpretazione” (Cass. n. 33113/2018 cit.).

Giova, altresì, considerare che in una similare fattispecie, nella quale una ONLUS lamentava la erronea interpretazione della L. n. 266 del 1991, art. 8, in quanto la norma anzidetta, vigente all’epoca dei fatti ed abrogata dal D.Lgs. n. 117 del 2017, prevedendo agevolazioni fiscali in favore di soggetti, quale l’associazione contribuente, in possesso della qualifica di organizzazione del volontariato, avrebbe dovuto comportare anche l’esenzione dal pagamento, da parte sua, dell’imposta di registro normalmente dovuta sulle sentenze conclusive dei procedimenti giurisdizionali, promossi per il perseguimento dei propri scopi statutari, poichè, nell’ambito degli atti connessi al funzionamento di essa associazione, doveva essere ricompreso anche il ricorso in sede giurisdizionale, questa Corte (Cass. 16531/2019) ha opportunamente precisato “che le norme che prevedono agevolazioni fiscali sono di stretta interpretazione e non sono quindi applicabili a casi e situazioni non riconducibili al relativo significato letterale e che, pertanto, nella nozione di “atti”, per i quali la L. n. 266 del 1991, art. 8, ormai non più in vigore, ma vigente all’epoca dei fatti, prevede un’esenzione dall’imposta di registro, devono essere ricompresi esclusivamente quelli amministrativi e non anche quelli processuali, stante la loro diversa tipologia e la diversa finalità da essi perseguita, avendo l’imposta di registro sugli atti giudiziari la finalità di finanziare il pubblico servizio della giustizia, che lo Stato fornisce indistintamente a tutti i cittadini, anche in ossequio alle esigenze costituzionali di assicurare parità di trattamento ai soggetti ed alle esigenze comunitarie di non operare discriminazioni fra di essi.”.

Anche le questioni di legittimità costituzionale veicolate con il secondo e terzo motivo di ricorso si appalesano manifestamente infondate e vanno disattese, così come è ultroneo il sollecitato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi del Trattato sul funzionamento della Unione Europea, art. 267, il rinvio per l’interpretazione delle norme Europee (diritto primario e diritto secondario) più volte richiamate dalla contribuente, in relazione alla disciplina del contributo unificato oggetto di causa.

Il D.P.R. n. 642 del 1972, art. 27 bis, della tabella B allegata, il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, ed la L. n. 266 del 1991, art. 8, definiscono, avuto riguardo all’esenzione dal pagamento del contributo unificato – il quale rappresenta un prelievo coattivo destinato al finanziamento delle “spese degli atti giudiziari” come tale funzionale alle esigenze del processo -, un sistema agevolativo coerente con i principi costituzionali richiamati dalla odierna ricorrente, in quanto privo di contraddizioni rispetto a situazioni diversamente disciplinate e caratterizzate da una differente ratio legis, e va considerato che le disposizioni di deroga rispetto al regime fiscale ordinario derivano da scelte legislative che possono essere censurate dal Giudice delle leggi solo ove appaiano frutto di scelte del tutto irragionevoli, ipotesi che qui non ricorre.

Nella giurisprudenza di questa Corte si legge che, “per un verso, detta agevolazione si correla alla meritevolezza dell’attività svolta e non alla mera qualità soggettiva dell’ente e, per un altro, la sottoposizione al contributo delle ONLUS di per sè “non comporta alcuna discriminazione” non essendo esse gravate “di maggiori oneri economici rispetto agli altri soggetti che propongono ricorso giurisdizionale… ed essendo pertanto rispettato, in detta prospettiva, anche il principio di equivalenza sancito dalla giurisprudenza unionale.” (Cass. n. 14332/2018), ed ancora che “la previsione del contributo non comporta “alcuna discriminazione ai danni dei soggetti che decidano di far valere le proprie ragioni tramite l’associazione di categoria, in quanto essi non verrebbero a essere gravati di maggiori oneri economici” (Corte Cost. n. 91 del 2015 in narrativa) ed in quanto “tale contributo è imposto indistintamente, quanto alla sua forma e al suo importo, nei confronti di tutti gli amministrati che intendano proporre ricorso avverso una decisione adottata dalle amministrazioni aggiudicatrici”: il sistema “non crea una discriminazione tra gli operatori che esercitano nel medesimo settore di attività” (Corte di giustizia, 6 ottobre 2015 in causa C-61/14, punto 62-63).” (Cass. n. 2733172016).

Del resto, è tema non nuovo nella giurisprudenza della Corte Costituzionale quello “della compatibilità tra il principio costituzionale che garantisce a tutti la tutela giurisdizionale dei propri diritti e singole norme che impongono determinati incombenti (anche di natura economica) a carico di coloro che tale tutela richiedano, (…) risolto alla luce della distinzione fra gli oneri che sono “razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione”, da ritenere evidentemente consentiti, e quelli che tendono, invece, “alla soddisfazione di interessi del tutto estranei alle finalità predette”, i quali – conducendo al risultato “di precludere o ostacolare gravemente l’esperimento della tutela giurisdizionale” – incorrono “nella sanzione dell’incostituzionalità” (Corte Cost. sent. n. 114 del 2004, sent. n. 522 del 2002 e sent. n. 333 del 2001).

E’ certamente la prima evenienza quella che ricorre nel caso della disciplina del contributo unificato, considerato che l’entità economica dell’esborso e le modalità di assolvimento innanzi ricordate non si risolvono ragionevolmente in un “ostacolo” alla tutela giurisdizionale di diritti ed interessi qualificati.

Il richiamo alla Convenzione di Aarhus (Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale), firmata in Danimarca nel 1998, ed è entrata in vigore nel 2001, alla Dir. n. 2003/4/CE, ed alla Dir. n. 2003/35/CE, volte all’attuazione ed al rispetto degli obblighi derivanti dalla predetta Convenzione, non appare decisivo, essendo sufficientemente garantite la partecipazione del pubblico nei processi decisionali in materia ambientale e, relativamente agli interessi in essi coinvolti, il ricorso alla tutela giudiziale, così come non hanno concreta evidenza le denunciate criticità dell’esaminata disciplina nazionale relativamente ai principi espressi dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 47, e dalla Convenzione CEDU, artt. 6 e 13.

Per quanto concerne, in particolare, le disposizioni sull’accesso alla giustizia, avuto riguardo soprattutto alla Convenzione CEDU, art. 9, ed all’art. 24 Cost., è bene osservare che il gratuito patrocinio, concesso nei procedimenti penali e nelle controversie di lavoro, è stato esteso ai procedimenti civili e amministrativi dal D.P.R. n. 115 del 2002, “Testo unico in materia di spese di giustizia”, e che, al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 119, prevede il diritto al gratuito patrocinio anche a enti o associazioni che non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica (criteri che devono concorrere).

Ne discende, per un verso, che è senz’altro dovuto il pagamento del contributo unificato per i ricorsi proposti davanti al Tribunale amministrativo e al Consiglio di Stato, D.P.R. n. 115 del 2002, T.U.S.G., ex art. 13, comma 6 bis, e, per altro verso, che anche le associazioni di protezione ambientale, le quali devono pagare questa tassa, possono far ricorso al patrocinio a spese dello Stato, in presenza dei relativi requisiti di legge.

La regola generale prevede, inoltre, che l’anticipazione delle spese da parte dei soggetti che chiedono accesso alla giustizia, sia ripetibile nei confronti della parte soccombente, in caso di vittoria, ed il sistema agevolativo, disegnato secondo una rigida ed analitica formulazione delle relative previsioni, allorquando limita il favore fiscale ad un ambito circoscritto di casi, singolarmente enumerati, lo fa anche in funzione deflattiva del contenzioso giudiziario.

In tale contesto va letto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 8, che prevede che agli oneri delle spese di giustizia provveda la parte che è chiamata ad anticiparle per legge, e qualora la parte sia ammessa al gratuito patrocinio, che l’anticipazione avvenga da parte dell’erario.

E l’esaminato quadro normativo prevede, proprio per taluni procedimenti nella materia ambientale, l’esenzione dal pagamento del contributo unificato, segnatamente, per i ricorsi previsti dalla L. n. 241 del 1990, art. 25, avverso il diniego di accesso alle informazioni di cui al D.Lgs. n. 195 del 2005, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 6 bis, lett. a), a garanzia dell’effettività del diritto di accesso ai documenti ed alle informazioni in possesso della Pubblica Amministrazione (art. 4 Convenzione), nonchè per l’azione civile di risarcimento del danno ambientale proposta nel processo penale, quando viene chiesta in tale sede solo la condanna generica del responsabile (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 12).

Pertanto, non solo non si ravvisa alcun conflitto tra diritto interno e diritto internazionale, ma neppure le regole appartenenti al diritto unionale appaiono così stringenti da precludere allo Stato la tutela di un interesse fondamentale, quale è quello del buon funzionamento del sistema giudiziario, alla cui efficienza non è estranea l’esigenza di individuare fonti di adeguato finanziamento, mediante la imposizione del versamento di tributi giudiziari, come appunto il contributo unificato, vuoi alla proposizione della domanda giudiziale, vuoi all’ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia pendente con i motivi aggiunti, come nel caso in cui si chieda l’annullamento di sopravvenuti atti amministrativi, in ipotesi autonomamente lesivi, sebbene riferibili al medesimo bene della vita contemplato nella domanda originariamente proposta (Corte di giustizia, 6 ottobre 2015 in causa C-61/14, punto 69, 70, 71, 72, 73 e 74).

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

Atteso il tenore della decisione, che è di rigetto, può trovare applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 -quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: ai sensi di tale disposizione, il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni discrezionali – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante totalmente soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere le spese processuali che liquida in Euro 400,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2020

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