Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23689 del 21/11/2016


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Cassazione civile sez. VI, 21/11/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 21/11/2016), n.23689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5904/2015 proposto da:

U.L., elettivamente domiciliata IN ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato

GIOVANNI DE DONNO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

rappresentante legale pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati MAURO

RICCI, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 468/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE del

12/02/2013 depositata il 21/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/06/2016 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES;

udito l’Avvocato CAPANNOLO EMANUELA, difensore del controricorrente,

la quale si riporta ai motivi.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 9 giugno 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 21 febbraio 2014, la (Torte di Appello di Lecce, in parziale riforma della decisione del Tribunale in sede, riconosceva il diritto di U.L. alla pensione di inabilità a decorrere dal 1 giugno 2012 confermando la decisione del primo giudice in ordine al riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità ex lege n. 118 del 1971, con decorrenza dal 1 novembre 2009.

La Corte territoriale, per quello che ancora rileva in questa sede, pur prendendo atto che la consulenza tecnica d’ufficio nuovamente disposta in appello aveva ritenuto sussistente il requisito sanitario richiesto per l’assegno di invalidità sin dal marzo 2008, rilevava che non era possibile retrodatare la decorrenza della detta prestazione in quanto il reddito della U. sommato a quello del coniuge superava ampiamente il limite stabilito dalla legge (circostanza questa ricorrente anche per l’anno 2009 ma non incidente sulla decorrenza stabilita dal Tribunale stante il divieto di reformatio in pejus).

Per la cassazione della decisione propone ricorso la tirso sulla base di due motivi.

L’I.N.P.S. resiste con controricorso. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato.

Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di plurime disposizioni di legge in quanto la Corte di Appello aveva erroneamente ritenuto che la tirso, iscritta nell’elenco provinciale delle categorie protette dal settembre 2008, non avesse provato il suo stato di incollocata al lavoro – richiesto dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, applicabile a decorrere dal 1 gennaio 2008 – con la prevista dichiarazione di responsabilità e producendo le certificazioni dell’Agenzia delle Entrate da cui risultava che per gli anni dal 2006 al 2008 aveva percepito un reddito del tutto irrisorio pari ad Euro 341,00 annui e per quelli successivi dal 2009 al 2013 nessun reddito.

Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, artt. 12 e 13 e della L. n. 33 del 1980, art. 14 septies, evidenziandosi che per il riconoscimento dell’assegno di invalidità rilevava solo il reddito personale e non anche quello del coniuge, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte di Appello.

Il primo motivo è inammissibile in quanto la Corte di merito non ha minimamente valutato la sussistenza o meno dello stato di incollocata al lavoro (rectius, di inoccupazione per quanto appresso si dirà) della tirso avendo negato l’assegno di invalidità per il periodo anteriore al 1 novembre 2009 (decorrenza questa fissata dal Tribunale) stante la ritenuta carenza del requisito reddituale.

Comunque, vale ricordare che con la modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, il requisito occupazionale è cambiato: non si richiede più la “incollocazione al lavoro”, ma semplicemente lo stato di inoccupazione, in quanto la legge individua il requisito in questi termini: disabili “che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste” (cfr. Cass. n. 19833 del 2013). E’ stato, altresì, precisato che tra i due concetti vi è una differenza, perchè il disabile incollocato al lavoro non è semplicemente disoccupato: è il disabile che, essendo privo di lavoro, si è iscritto o ha chiesto di iscriversi negli elenchi speciali per l’avviamento al lavoro. Ha cioè attivato il meccanismo per l’assunzione obbligatoria”.

La nuova disciplina, pur non esigendo più l’attivazione del meccanismo per l’assunzione obbligatoria, ha invece lasciato immutato l’onere del disabile di fornire la prova di non aver lavorato nel periodo interessato dalla domanda proposta. Tale prova, in giudizio, potrà essere data con qualsiasi mezzo, anche mediante presunzioni (cfr. Cass. nn. 19833/2013 e 9502/2012).

L’unico limite è costituito dal fatto che non potrà essere fornita con una mera dichiarazione dell’interessato, anche se rilasciata con formalità previste dalla legge per le autocertificazioni, che può assumere rilievo solo nei rapporti amministrativi ed è, invece, priva di efficacia probatoria in sede giurisdizionale (Cass. n. 17929 del 10/09/2015; Cass. n. 1606 del 28/01/2015; Cass. n. 19833 del 28/08/2013; Cass. n. 25800 del 20/12/2010).

Il secondo motivo è, invece, manifestamente fondato.

Ed infatti per l’assegno mensile di invalidità civile di cui alla citata L. n. 118 del 1971, art. 13, il D.L. 30 dicembre 1979, n. 633, art. 14 septies, comma 5, convertito con modificazioni nella L. 29 febbraio 1980, n. 33, prevede ai fini della sussistenza del requisito reddituale l’esclusione del cumulo del reddito del beneficiario non solo con riferimento al coniuge, ma anche a tutti gli altri componenti del nucleo familiare. Pertanto, nel caso in esame, contrariamente a quanto affermato nell’impugnata sentenza, sussisteva per la U. il requisito reddituale per l’anno 2008.

Alla luce di quanto esposto, si propone l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo, la cassazione dell’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto con rinvio ad altro giudice che provvederà a verificare la ricorrenza dello stato di inoccupazione della U. per l’anno 2008 applicando i sopra riportati principi, con ordinanza ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Il Collegio condivide pienamente il contenuto della sopra riportata relazione e, quindi, accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di Appello di Lecce in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni Unite, sent. n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte di Appello di Lecce in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2016

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