Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23686 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/09/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 24/09/2019), n.23686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1588/2013 proposto da:

CO.M.IN.I srl, rappresentata e difesa dall’Avv.to Riccardelli L. con

domicilio eletto in Roma via F. d’ Ovidio n. 83, presso il Dott.

Pedicini Renato.

– ricorrente-

contro

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato con domicilio eletto in Roma in Roma via dei Portoghesi

n. 12;

– intimata-

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 497/03/11 depositata il 22/11/2011

Udita la relazione del Consigliere Dott. Pandolfi Catello nella

camera di consiglio del 28/03/2019.

Fatto

RILEVATO

La società CO.M.IN.I propone ricorso per cassazione in relazione all’avviso di accertamento (OMISSIS), notificatole il 17/04/2008 dall’Ufficio di Caserta dell’Agenzia delle Entrate, per un maggior reddito relativo all’anno 2005, implicante maggiori imposte per IRES-IRAP-IVA oltre sanzioni.

La CTP di Caserta aveva respinto il ricorso e la CTR della Campania, a sua volta, respingeva l’appello con la sentenza 497/03/11, depositata il 29/12/11, impugnata innanzi a questa Corte.

La ricorrente contesta la correttezza dell’accertamento analito-induttivo in base al quale l’ufficio aveva detratto le spese di trasporto sostenute dall’impresa, pur se le relative fatture di acquisto che le giustificavano non erano state contestate, ciò deponendo per l’attendibilità della contabilità invece disattesa dall’Ufficio. Rileva, perciò, illogicità nella motivazione con cui la CTR aveva respinto l’appello.

Lamenta, infine, ulteriore vizio di motivazione in quanto la sentenza impugnata non dava conto delle ragioni per cui era stata applicato lo standard previsto dallo studio di settore in base al solo scostamento da quanto dichiarato, senza precisare le ragioni per le quali erano state considerate infondate le obiezioni sollevate dalla contribuente.

Per tali aspetti prospettava tre motivi di ricorsi:

– il primo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e art. 40, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 54, in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c..

– il secondo per motivazione erronea, insufficiente ed illogica in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 4, in violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione in relazione all’art. 115 c.p.c..

– il terzo per ulteriore vizio della motivazione in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La ricorrente confermava le sue doglianze con la memoria datata 13.3.2019.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

– Con il primo motivo la società ha lamentato violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per avere l’Ufficio proceduto ad accertamento con il metodo analitico induttivo sul presupposto: a) che la società non aveva precisato, nel compilare il questionario di rito, il dettaglio delle rimanenze delle merci in magazzino, iniziali e finali, riportando esse un valore identico (30.000,00 Euro); b) che le spese per acquisti e servizi indicate negli studi di settore sarebbero inferiori a quelle risultanti dalle fatture di acquisto. Per tali circostanze l’Ufficio aveva ritenuto che la contabilità prodotta, pur formalmente corretta, non fosse del tutto attendibile e che, pertanto, vi erano le condizioni per procedere con il suddetto metodo di accertamento.

Le indicate circostanze non avevano però – secondo la contribuente – alcun valore indiziario perchè, non essendovi merci di diverse tipologie in rimanenza, non vi era nulla da dettagliare. Inoltre, le fatture relative alle spese di trasporto non erano state contestate, a riprova della correttezza della contabilità.

Le deduzioni della ricorrente non escludono la sintomaticità dei rilievi dell’Ufficio dal momento che le affermazioni addotte per negare la valenza indiziaria delle circostanze non sono state accompagnate da adeguati supporti fattuali.

L’Ufficio, infatti, aveva proceduto con accertamento analitico-induttivo in base ad una molteplicità di circostanze che la sentenza impugnata indica in modo puntuale, quali in particolare:

– Il mancato dettaglio delle rimanenze di magazzino,

La società motiva l’omissione con l’unicità della merce giacente che escludeva la possibilità (e la necessità) di “dettagliare”. Al riguardo il ricorso incorre in una contraddizione laddove afferma che “per la peculiarità dell’attività commerciale svolta in trading, le merci acquistate erano vendute senza operazioni di magazzinaggio e/o stoccaggio”, ma anche che “non essendoci merci diverse in rimanenza la contribuente non poteva e non doveva presentare un dettaglio delle stesse”. Così confermando che vi erano merci in giacenza, comunque da segnalare, anche se di un’unica tipologia.

La ricorrente ha ritenuto di chiarire tale incongruenza asserendo che quella giacenza di magazzino fosse del tutto eccezionale, a causa di una partita di sabbia rifiutata dal committente con cui, per tale ragione, era insorta una controversia giudiziaria, della quale manca ogni riscontro.

L’Agenzia ha eccepito che la ragione prospettata per motivare l’omesso dettaglio della tipologia di merce giacente in magazzino, era, comunque, tardiva perchè dedotta per la prima volta in questa fase di legittimità. Eccezione non contestata dalla ricorrente nella sua memoria.

– La contribuente ha, inoltre, evidenziato, che le fatture relative alle spese di trasporto sostenute, risultanti dalle fatture relative agli acquisti, non fossero state contestate, a riprova dell’attendibilità della contabilità e della censurabilità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto legittimo il ricorso all’accertamento analitico induttivo.

Invero, la deduzione è ininfluente giacchè la decisione impugnata non si è soffermata sulla correttezza o meno della fatturazione delle spese di trasporto, ma ha evidenziato che il loro importo non corrispondesse a quello delle fatture relative agli acquisti ed ha indicato tale discrasia come uno dei sintomi della inattendibilità della contabilità.

Pertanto, il primo motivo del ricorso, essendo fondato su deduzioni poste per la prima volta in questo giudizio, nonchè su deduzioni non attinenti all’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, è da ritenersi inammissibile.

2) Con il secondo motivo di ricorso la società ha lamentato erroneità, insufficienza e illogicità della motivazione, in violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ora, il vizio dedotto implica l’individuazione di un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha più volte affermato che il motivo di ricorso con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo. (Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016).

Nel caso in esame la ricorrente non ha, per contro, specificamente indicato quale sia il “fatto”, nel senso suindicato, rispetto al quale ha lamentato omessa, erronea o insufficiente motivazione. Ha piuttosto criticato i motivi per i quali le argomentazioni dedotte in appello non erano state ritenute decisive, così risolvendosi la doglianza in una diversa e inammissibile valutazione delle risultanze processuali effettuata dal giudice di merito.

Ha poi sostenuto, nell’ambito dello stesso secondo motivo, che le circostanze indicate in sentenza non sarebbero nè gravi, nè precise, nè concordanti e quindi non tali da giustificare l’applicazione degli standard desunti dagli studi di settore.

Non ha però, come già evidenziato, fornito alcuna prova atta a dimostrare la non corrispondenza, al caso di specie, degli indici rilevati dalla CTR, se/con deduzioni tardive o non coerenti con la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Peraltro, va ricordato che questa Corte ha più volte affermato che il ricorso al metodo analitico-induttivo è ammissibile anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, il quale autorizza l’accertamento anche in base ad “altri documenti” o “scritture contabili” (diverse da quelle previste dalla legge) o ad “altri dati e notizie” raccolti nei modi prescritti dagli articoli precedenti, potendo le conseguenti omissioni o false o inesatte indicazioni essere indirettamente desunte da tali risultanze ovvero anche in esito a presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti (Cass. Sez. 5, n. 14068/2014 e n. 23550/2014).

Nè emerge, nel caso in esame, alcuna nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, come pure dedotto dalla ricorrente per violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., dal momento che gli standard degli studi di settori non sono stati applicati – come ritiene – ex lege cioè per effetto automatico del semplice scostamento di essi dal reddito dichiarato, ma in base ad una valutazione, desunta da regole di comune esperienza, dei plurimi elementi indiziari individuati, ritenuti astrattamente idonei a suscitare dubbi sull’attendibilità della contabilità prodotta e a svelare una capacita contributiva maggiore di quella dichiarato. Dubbi a fronte dei quali la società non ha portato, in nessuna fase, elementi di prova atti a fugarli.

3) Con il terzo motivo del ricorso, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la società lamenta che la CTR avrebbe omesso di motivare circa le doglianze, espresse nell’atto d’appello, sull’ingiustificata applicazione da parte dell’Ufficio del coefficiente di ricarico massimo (35%), in base ad un’errata valutazione del settore di attività, in luogo di quello (20,1%) dichiarato.

In particolare la società ritiene che la CTR non avrebbe “speso neppure una parola” circa le ragioni prospettate per sostenere che, nella specie, non potesse essere applicata la percentuale di ricarico nel massimo previsto per le attività di commercio all’ingrosso.

Dalla lettura della sentenza impugnata si evince, invece, che essa ha esaminato in modo specifico la doglianza relativa all’applicazione di un coefficiente di ricarico del 35%, ritenuto dalla ricorrente erroneo perchè relativo all’ordinaria attività di commercio all’ingrosso. Sostiene, infatti, la società che essa svolgesse attività di vendita all’ingrosso, ma in trading, cioè mediante fornitura diretta della merce dal produttore all’utilizzatore, senza stoccaggio nè giacenza contabile.

La sentenza non ha affatto ignorato tale prospettazione ed ha puntualmente sottolineato come sia rimasta non provata proprio la asserita “tipicità” dell’attività svolta in “trading”, che distinguerebbe la ricorrente dai “normali” operatori del settore e renderebbe incongruo l’applicazione al caso di specie del coefficiente utilizzato.

Si ribadisce, in proposito, la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in tema di accertamento mediante studi di settore, al fine di superare la presunzione di reddito determinata dalla procedura standardizzata, grava sul contribuente l’onere di dimostrare, attraverso informazioni ricavabili da fonti di prova acquisite al processo con qualsiasi mezzo, la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la sua attività dal modello usuale al quale i parametri degli studi di settore fanno riferimento e giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale in virtù di detta procedura (Sez. 5, Ordinanza n. 769 del 15/01/2019).

La ricorrente, dunque, nell’argomentare il motivo di ricorso, erra nel ritenere che la decisione avesse ignorato le sue deduzioni sulle specificità dell’attività svolta, posto che il rigetto sul punto si basa, invece, sul fatto che la parte avesse omesso di provare, come suo onere, proprio quella fondamentale circostanza.

Va, infine, ricordato che questa Corte ha affermato che, con i motivi di ricorso per cassazione, la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poichè in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (Sez. 1 Ordinanza n. 22478 del 24/09/2018).

In questa sede la società ricorrente si è, per contro, limitata a replicare obiezioni già poste e respinte, senza specificamente contestarne le motivazioni. Ne discende l’inammissibilità anche di tale motivo.

Alla soccombenza segue la condanna alle spese. Si dà atto che non sussistono le condizioni per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto in quanto la causa è stata iscritta in data antecedente al 30.1.2013.

P.Q.M.

Dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna la società ricorrente alle spese in favore dell’Agenzia delle Entrate che liquida in Euro 4.500,00 oltre spese liquidate a debito.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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