Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23684 del 31/08/2021

Cassazione civile sez. II, 31/08/2021, (ud. 13/05/2021, dep. 31/08/2021), n.23684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubalda – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19874-2016 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, V. CAVERNI RAFFAELE

6, presso lo studio dell’avvocato ANNAMARIA PS S SANTINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA BENVENUTO giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CA.NA.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 28/2016 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 27/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/05/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. C.F., con atto di citazione del 11.07.2012, convenne in giudizio CA.Na. domandando al Tribunale di Trento di pronunciarsi, in via di subordinazione, sull’inesistenza, nullità, annullamento per violenza, rescissione ex art. 1447 c.c. o ex art. 1448 c.c. dell’atto da lui sottoscritto il 10.08.2011, con cui era stato ridotto il compenso dovutogli da Ca.Na. in forza di un contratto d’appalto stipulato per alcuni lavori presso l’abitazione di quest’ultima.

Sostenne che, in quella data, sul luogo di esecuzione dell’appalto, aveva subito due aggressioni: una verbale e fisica, operata da un terzo, proprio creditore, che voleva essere pagato per aver svolto parte dei lavori inerenti all’appalto; un’altra, verbale, compiuta dal convivente della committente, che si sarebbe immediatamente avvantaggiata di queste violenze, pagando direttamente parte del compenso in favore del terzo aggressore in luogo di C.F., ma inducendo quest’ultimo a sottoscrivere l’atto impugnato, con cui il suo credito veniva ridotto di un importo ben maggiore rispetto a quanto ella aveva appena pagato.

L’attore domandò, inoltre, la condanna di controparte al pagamento della somma originaria (Euro 31.516,00) o di altra somma di cui ella sarebbe stata riconosciuta debitrice.

Il Tribunale, con sentenza n. 829/2014, rigettò le domande di C.F., che propose appello.

La Corte di Appello di Trento, con la sentenza n. 28/2016, ha rigettato l’impugnazione poiché, stando alle testimonianze escusse in primo grado, non sarebbe stata provata alcuna forma di violenza, verbale o fisica, precipuamente volta ad estorcere il consenso dell’attuale ricorrente, necessaria ai fini dell’annullamento; sarebbe emerso, piuttosto, un acceso diverbio tra questi ed il proprio creditore del quale, però, non risulterebbe che la controparte si fosse avvantaggiata; né vi sarebbe prova di alcuna forma di aggressione da parte del convivente di Ca.Na. (pag. 7-9 sentenza).

La Corte di merito ha altresì precisato – ferma restando l’assenza di efficacia causale della violenza subita – che le condizioni personali del ricorrente (Le avere circa settant’anni di età) non fossero tali da far ritenere che l’aggressione consumata nei suoi confronti avrebbe potuto impressionarlo a tal punto da incidere sulla sua autodeterminazione negoziale; rilievo, quest’ultimo, suffragato dal fatto che l’atto impugnato era stato redatto con una dettagliata indicazione dei lavori eseguiti e del relativo importo (pag. 9 sentenza).

Rigettata la domanda di annullamento, la Corte di Appello, ha rigettato sia la domanda di rescissione ex art. 1447 c.c., stante l’assenza di alcuna violenza funzionale a coartare il consenso, sia la domanda di rescissione ex art. 1448 c.c., non essendo stato provato alcuno stato di bisogno (pag. 10 sentenza).

Il Collegio ha inoltre rilevato che, non essendo stato formulato alcun capitolo di prova, non vi sarebbe dimostrazione alcuna circa l’esistenza dell’originario credito che la convenuta-appellata avrebbe dovuto pagare, se mai fossero state accolte le domande di impugnativa negoziale dell’attore-appellante (pag. 6 sentenza).

2. C.F. propone ricorso per cassazione sulla scorta di nove motivi.

CA.Na. è rimasta intimata.

3. Alla luce del rapporto di pregiudizialità logica che si pone tra i capi di sentenza relativi alle azioni di impugnativa negoziale e quello – subordinato – riferito alla condanna al pagamento del credito originario, debbono essere preliminarmente esaminati il quarto, quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso, che afferiscono ai primi capi, posto che gli altri motivi concernono le critiche all’affermazione circa l’assenza di prova del maggior credito, che però presuppone evidentemente rimossa l’efficacia della scrittura impugnata.

3.1 Col quarto motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione degli artt. 1427,1434 e 1435 c.c.; degli artt. 40 e 41 c.p.; degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte d’appello escluso che i fatti provati potessero essere sussunti nella fattispecie dell’annullamento per violenza. Afferma il ricorrente, riportando stralci delle deposizioni testimoniali, che vi sarebbe la prova circa la violenza fisica da lui subita; afferma, inoltre, che il lasso di tempo intercorso tra la violenza e la sottoscrizione non avrebbe fatto venir meno l’incidenza causale della prima sulla propria volontà negoziale.

Il motivo è inammissibile.

In particolare, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. S.U. n. 20867/2020, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione).

La censura, per come formulata, non si conforma a tali prescrizioni ma si concreta in una diversa valutazione sia delle prove testimoniali acquisite in primo grado che dell’incidenza causale delle violenze subite dal ricorrente sulla propria libertà di autodeterminazione negoziale.

Tali critiche attengono quindi al merito e non possono essere proposte in questa sede.

Il ricorso per cassazione, infatti, non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un mezzo di impugnazione a critica vincolata ai motivi enunciati nell’art. 360 c.p.c., comma 1.

Si precisa che, attesa la novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) operata dalla L. n. 134 del 2012, e l’interpretazione che ne ha dato questa Corte (Cass. sez. un. sent. n. 8053/2014) può essere soltanto censurata la motivazione materialmente assente oppure apparente, o irrimediabilmente contraddittoria o incomprensibile. Tale orientamento è stato d’altronde confermato proprio in riferimento alla denuncia qui sollevata: “l’apprezzamento del giudice di merito sulla esistenza della minaccia e sulla sua efficacia a coartare la volontà di una persona si risolve in un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione se motivato in modo sufficiente e non contraddittorio” (Cass. n. 999/2003; Cass. n. 19974/2017).

Ne’ infine va trascurato che, anche ove volesse disporsi la riconduzione della censura nell’ipotesi di cui al n. 5, la stessa sarebbe inammissibile ex art. 348 ter c.p.c., u.c..

3.2 Col quinto motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione dell’art. 1435 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere escluso la Corte d’Appello che la violenza subita fosse tale da fare impressione al ricorrente, attesa l’età e atteso il livello di dettaglio con cui era stato stipulato l’atto impugnato. Afferma il ricorrente che la sola età avrebbe dovuto essere giudicata sufficiente e che l’atto non era stato redatto da lui bensì dalla controparte, Ca.Na..

Il motivo è inammissibile.

Ai sensi dell’art. 1435 c.c., il giudizio circa l’annullamento per violenza, previsto dall’art. 1434 c.c., si basa su due passaggi logici conseguenziali, uno sull’an e uno sul quomodo: in primo luogo, deve essere accertata l’esistenza di una forma di violenza finalizzata a coartare l’autodeterminazione della parte; in secondo luogo, deve essere accertato che tale violenza sia di una qualità tale da fare impressione sopra una persona sensata.

Non qualsiasi violenza finalizzata ad estorcere il consenso è quindi di per sé idonea a far sì che un contratto venga annullato (o che, viceversa, venga accolta l’eccezione di annullabilità); è altresì necessario che venga superata una “soglia minima di violenza”, che si pone laddove sorge in capo al contraente il timore di esporre sé stesso o i propri beni (o il proprio coniuge/ascendente/discendente e i rispettivi beni, secondo quanto prevede l’art. 1436 c.c.) ad un male ingiusto e notevole.

Sussiste, quindi, un rapporto di dipendenza tra i due giudizi con la conseguenza che, essendo stato dichiarato inammissibile il quarto motivo, analoga sorte investe anche quello in esame. 3.3 Col sesto motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’art. 1447 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte d’Appello rigettato la domanda di rescissione. Ad avviso del ricorrente, sussisterebbe il pericolo attuale di danno grave alla persona presupposto dall’art. 1447 c.c., considerate le violenze subite.

Col settimo motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’art. 1448 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte d’Appello rigettato la domanda di rescissione per lesione. Ad avviso del ricorrente lo stato di bisogno sarebbe comprovato dal fatto che questi non era riuscito a estinguere il debito col proprio creditore, il quale poi lo aggredì.

Il sesto e settimo motivo, che, data la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

Così come già rilevato nella disamina del quarto motivo, anche nel sesto e settimo vengono riproposte censure di merito, delle quali la Corte non può conoscere, scontando anche tali mezzi di gravame gli stessi vizi che sono stati rilevati pere il quarto motivo.

3.4 Con l’ottavo motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di Appello omesso di esaminare “la domanda di accertamento dell’inesistenza e/o nullità della scrittura del 10 agosto 2011”.

Il motivo è infondato.

Premesso che “l’inesistenza” non è un vizio che trova pacifico riconoscimento nella dottrina civilistica che in massima parte propende per la conclusione secondo cui il grado massimo di invalidità degli atti negoziali consiste nella nullità, sebbene non emerga nel testo della sentenza impugnata un esplicito cenno alla nullità dell’atto impugnato, ciononostante, risulta palese che la Corte d’Appello abbia implicitamente rigettato la domanda, avendo negato qualsivoglia forma di violenza anche fisica e non emergendo nemmeno dall’allegazione del ricorrente, al di fuori della coartazione fisica della volontà, per quale diversa ragione la scrittura impugnata sarebbe affetta da nullità.

Ne deriva che la sentenza non è censurabile sotto il profilo dell’omessa pronuncia.

Affinché si configuri questo vizio, infatti, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il giudizio su un capo di domanda autonomo rispetto agli altri proposti, e rigettati (Cass., n. 20718/2018).

Nel caso in specie il ricorrente, sulla scorta del medesimo accadimento storico, ovverosia l’asserita violenza subita nella sottoscrizione dell’atto datato 10.08.2011, aveva proposto plurime domande di impugnativa negoziale.

La Corte d’Appello ha appunto reputato che non vi fosse stata alcuna forma di violenza volta ad estorcere il consenso del ricorrente ed ha quindi rigettato le domande di annullamento e rescissione, con affermazioni che portano a ritenere rigettata anche la domanda di nullità.

4. Col primo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.p., comma 1, n. 3), violazione degli artt. 183,245,112,115 e 116 c.p.c., per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto che non vi fosse stata alcuna prova circa il credito originario. Il ricorrente dà atto di avere sia depositato documentazione sia di aver proposto delle istanze istruttorie testimoniali in primo grado.

Col secondo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per non avere la Corte d’Appello esaminato la documentazione prodotta in primo grado.

I motivi, che possono essere congiuntamente decisi per la loro connessione, vanno dichiarati assorbiti.

Dal momento che il giudizio di legittimità sul capo di sentenza pregiudiziale, relativo appunto alla validità della scrittura contestata, non ha avuto esito positivo, atteso che i relativi motivi sono stati dichiarati o infondati o inammissibili, il giudizio non può estendersi ai motivi afferenti ai capi dipendenti.

Ma, ove mai i motivi potessero essere esaminati, sarebbero comunque inammissibili per difetto di specificità.

Per quanto concerne le prove documentali, oggetto del primo e del secondo motivo, il ricorrente afferma di averle depositate in primo grado ma non fa cenno alcuno al processo d’appello. La Corte d’appello, dal canto suo, afferma che l’attuale ricorrente non ha proposto alcuna prova.

Quanto alla prova documentale, il richiamo agli stessi non appare idoneo a comprovare che fossero stati effettuati anche tutti i lavori per i quali si pretende un maggiore compenso rispetto a quello originariamente pattuito, ed è con tale affermazione del giudice di appello che il ricorrente non appare confrontarsi.

Per quanto attiene le prove testimoniali, oggetto del primo motivo di ricorso, il ricorrente afferma che esse non erano state ammesse dal giudice di primo grado (pag. 20 del ricorso).

Non precisa, però, né di aver reiterato l’istanza istruttoria in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, né, inoltre, di averla riproposta in appello.

Questa Corte ha affermato che, in ossequio al principio dispositivo formale, la parte ha l’onere di riproporre le istanze istruttorie non accolte in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi rinunciate (Cass. civ., sez. II, ord. 15029/2019).

Ne deriva quindi che, anche sotto il profilo della mancata escussione delle prove testimoniali richieste, il primo motivo è inammissibile, non avendo il ricorrente dimostrato di aver ottemperato all’onere sopra indicato.

5. Col terzo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3), violazione dell’art. 115 e 116 c.p.c. per avere la Corte d’Appello, ai fini del giudizio circa l’esistenza del credito originario (Euro 31.516,00), affermato che, vista la mancata iscrizione del ricorrente nell’albo professionale, non gli spetterebbero i compensi derivanti dall’attività di gestione dei lavori.

Il ricorrente afferma che era pacifico che la direzione lavori non fosse stata assegnata a lui, dato che anche la controparte era stata dello stesso avviso, così che l’importo vantato trovava titolo esclusivo nell’esecuzione dei lavori.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, la Corte d’Appello, nell’esaminare la spettanza del compenso dell’appellante, ha semplicemente chiarito che l’attività prestata era riferita solo all’esecuzione dell’appalto, essendo inconferente ogni richiamo all’attività di direzione dei lavori.

A tale conclusione aderisce pienamente il ricorrente nel motivo di ricorso, confermando di non avere agito anche in qualità di direttore dei lavori, sicché non è dato ravvisare quale concreto interesse sostenga il motivo di censura in esame.

Infatti, questa Corte ha già affermato che è inammissibile, per difetto d’interesse, il ricorso per cassazione che, avendo attribuito alla statuizione impugnata una portata diversa da quella effettiva, censuri tale pronuncia per conseguire un risultato già ottenuto con la statuizione predetta (Cass. civ. sez. Lav., 757/2005).

6. Col nono motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3) violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi la Corte di Appello pronunciata circa la domanda di condanna dell’appellata.

Il ricorrente afferma, trascrivendone uno stralcio, che nella scrittura impugnata si prevede che l’appellata-convenuta sarebbe sua debitrice per l’importo di Euro 7.315,00 (pari alla differenza tra l’importo determinato a titolo di saldo, corrispondente ad Euro 10.315,00 e la somma immediatamente versata a C.R. a mezzo assegno di Euro 3.000,00).

Il riferimento contenuto nelle domande proposte, tanto in primo grado quanto in appello, “al pagamento della somma di Euro 31.516,00 ovvero a quella maggiore o minore che risulterà di giustizia” sarebbe idoneo a supportare il pagamento anche della somma sopra riportata, e ciò anche in caso di rigetto delle domande di impugnativa negoziale.

Il motivo è fondato.

A ben vedere, l’ampiezza della formula utilizzata nelle conclusioni dell’atto introduttivo si presta a far rientrare la richiesta di condanna del dovuto in relazione sia all’ipotesi di subordinazione della condanna all’accoglimento delle domande di impugnativa negoziale, e per il maggiore importo asseritamente spettante, sia a quella, autonoma rispetto alle domande di impugnativa negoziale, che concerne quanto ancora dovuto sulla base della scrittura impugnata, sul presupposto della validità dell’atto impugnato e tenuto conto di quanto poi effettivamente versato dalla convenuta.

La Corte di Appello non si è pronunciata su questa domanda e pertanto la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Trento, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il nono motivo, dichiara inammissibili il terzo, quarto, quinto sesto e settimo motivo, rigetta l’ottavo motivo, ed assorbiti il primo ed il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di Appello di Trento, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione Civile, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021

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