Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23683 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/09/2019, (ud. 07/06/2019, dep. 24/09/2019), n.23683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16003-2014 proposto da:

R.G., domiciliata in ROMA P.ZZA CAVOUR, presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

Avvocati ROBERTO D’AMATO con studio in NAPOLI VIA M.R. IMBRIANI 73

PARCO SIRIO, Avvocato STANISLAO CAPASSO con studio in NAPOLI VIA

EPOMEO 481, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 420/2013 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI

depositata il 10/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2019 dal Consigliere Dott. RAFFAELE MARTORELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

KATE TASSONE che ha concluso per il rigetto inammissibilità,

infondatezza del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato FARACI che ha chiesto il rigetto,

inammissibilità e infondatezza.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La C.T.R. di NAPOLI con sentenza 420/46/13 dichiarava inammissibile l’appello proposto da R.G. avverso la sentenza della CTP di Benevento 345/1/2012, emessa nei confronti di Agenzia delle Entrate D.P. Benevento. La ricorrente aveva proposto ricorso avverso l’avviso di liquidazione con cui l’Agenzia aveva richiesto il pagamento di Euro 4.905,92 (oltre sanzioni) in ragione della decadenza dalle agevolazioni fiscali (in tema di imposte di registro, ipotecarie e catastali) connesse all’acquisto della “prima casa”, a causa del mancato trasferimento entro 18 mesi dall’acquisto, dalla propria residenza presso l’abitazione acquistata.

Con il proposto appello con atto notificato a mezzo posta in data 22.3.2013 e depositato in giudizio il 22.4.2013, la R. aveva dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui non aveva ritenuto sussistente una causa di forza maggiore.

La CTR adita aveva dichiarato inammissibile l’appello in quanto non era stato rispettato il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 comma 2, secondo periodo, nel testo modificato dal D.L. n. 203 del 2005, art. 3 – bis, conv. in L. n. 248 del 2005. L’impugnazione era stata, infatti notificata a mezzo posta e la norma prevedeva, a pena di inammissibilità, che l’appellante dovesse depositarne copia presso l’Ufficio di Segreteria della CTP che aveva pronunziato la sentenza impugnata. Ciò non era avvenuto, in quanto l’appello era stato notificato direttamente dalla parte (non a mezzo di ufficiale giudiziario), con raccomandata spedita il 22.3.2013 e dal fascicolo trasmesso dalla CTP di Benevento non risultava che il prescritto deposito della copia dell’atto fosse avvenuto.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso innanzi a questa Corte La R. eccependo il vizio di non legittimità costituzionale della disposizione normativa in esame e sia pure di riflesso, deduceva:

-sotto il profilo dei “motivi attinenti alla giurisdizione” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), sia “per violazione di norme di diritto” ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), con richiesta di accoglimento per il giudizio incidentale innanzi alla Corte Costituzionale.

L’intimata Agenzia delle Entrate si costituiva al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso, la ricorrente deduceva che non poteva essere ritenuto presupposto per la decadenza dalle agevolazioni fiscali connesse all’acquisto della prima casa, il mancato trasferimento della residenza anagrafica della ricorrente nel comune ove era ubicato l’immobile, in quanto l’evento indicato dalla legge non si era potuto verificare per “forza maggiore”. In tal senso, nel ricorso venivano descritti gli eventi connessi alle condizioni di salute della R. affetta da varie patologie che avevano, progressivamente, comportato la “non autosufficienza nelle attività di base della vita quotidiana”. In conseguenza di ciò, per assicurarsi assistenza familiare, la R. aveva risieduto in Napoli ed Avellino presso i propri figli. Ciò aveva comportato “l’impossibilità sopravvenuta” di un trasferimento abitativo nel comune di Benevento, trattandosi di località lontana dalla propria compagine familiare.

In diritto, con riferimento ai motivi con cui l’appello era stato ritenuto inammissibile, riteneva che l’inammissibilità, quale causa di estinzione ad effetto immediato ed automatico, non poteva ritenersi giustificata dal mancato compimento dell’onere di deposito posto a carico dell’appellante dalla norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, in quanto l’atto, comunque notificato, non produceva incertezze. Nessun dubbio sussisteva sul mancato passaggio in giudicato della sentenza di primo grado e le parti avevano approntato le proprie difese in condizioni di parità.

Deduceva, pertanto l’illegittimità costituzionale della norma che violava il combinato disposto degli artt. 24 e 111 Cost., fondanti i principi dei diritto di difesa e del giusto processo, che giustificavano la previsione di sanzioni processuali di estinzione anticipata del processo, ostative ad una pronuncia di merito solo allorquando fossero stati lesi ed inosservati il principio del contraddittorio, la ragionevole durata del processo, la terzietà ed imparzialità del giudice adito.

Il ricorso non può trovare accoglimento. Il dato del mancato deposito deve ritenersi pacifico in causa, anche se, secondo la giurisprudenza di legittimità, il deposito in questione poteva essere effettuato anch’esso a mezzo posta, così temperando l’obbligo di “deposito” presso l’ufficio. (Cass. 4423/2019). Peraltro come correttamente evidenziato da questa Corte (Cass. 22627 /2017) “la CTR ha correttamente indicato le ragioni poste a base della declaratoria di inammissibilità dell’appello spedito a mezzo posta e non depositato presso la segreteria della CTP che aveva emesso la sentenza, ponendosi in linea di continuità con la decisione della Corte costituzionale che ha ritenuto la compatibilità costituzionale della disposizione anzidetta, sancita dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 3 bis, comma 7, introdotto dalla L. di conversione 2 dicembre 2005, n. 248, in vigore dal 3 dicembre 2005 (Corte Cost. n. 43/2010) -v. in senso conf. Cass. n. 15659/2014-. Non convincente risulta, pertanto, il tentativo della parte ricorrente di indurre la Corte a modificare il proprio indirizzo in materia (per cui v. Cass. n. 8388/2010, Cass. n. 21047/2010)….”.

Sotto altro profilo, la sentenza indicata bene argomenta la sua decisione anche alla luce dell’art. 6 della CEDU affermando che la contraria interpretazione “in definitiva, esalterebbe il formalismo giuridico a fronte dell’esigenza, salvaguardata dall’art. 6 CEDU, di giungere comunque all’esito finale del processo, anche in relazione ad una serie di pronunzie della Corte EDU che attengono al giudizio di legittimità.”.

Occorre, pertanto, che “il processo tributario sia coerente con la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo -avendo il legislatore costituzionale e ordinario esteso le regole in tema di giusto processo di matrice convenzionale a qualunque controversia giudiziaria (v. art. 111 Cost.): v., del resto, Cass. n. 961/2015, Cass. n. 960/2015, Cass. n. 23627/2014, Cass. n. 23510/2014, 23427/2014, 23326/2014, 23325/2014, Cass. n. 174/2015, Cass. n. 23627/2014, Cass. n. 1531/2014, Cass. n. 19835/2012 e Cass. n. 18448/2012, Cass. nn. 8605 e 8606 del 28 aprile 2015, Cass. nn. 19650 e 19651 del 19 agosto 2015 -. Tuttavia, non può però sottacersi che l’inammissibilità in parte qua prevista dal legislatore – e giustificata dal giudice costituzionale nel senso sopra ricordato – ha riguardato la fase di appello e non quella di legittimità che rappresenta, dunque, l’ultimo grado di giudizio nel quale la parte può rappresentare le proprie difese. Peraltro, occorre rilevare che le ragioni esposte a fondamento dell’inammissibilità dell’impugnazione sono state determinate ex ante, in via generale e astratta, dal legislatore con una norma di diritto positivo che non prestava il fianco a dubbi interpretativi e che, dunque, nemmeno può esporre l’utente della giustizia ad una ‘sorpresà circa il suo reale significato, mai posto in discussione nella giurisprudenza di legittimità. D’altra parte, proprio la giurisprudenza costante della Corte Edu afferma che non compete alla stessa Corte il compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne, spettando in primo luogo alle autorità nazionali e soprattutto alle corti e ai tribunali interpretare la legislazione interna (v., tra molte altre, Garda Manibardo c. Spagna, n. 38695/97, p. 36, CEDI-I 2000-11), limitandosi il ruolo di quel giudice sovranazionale alla verifica di compatibilità con la CEDU degli effetti di tale interpretazione, ciò valendo in modo particolare quando si tratta dell’interpretazione, da parte dei tribunali, delle regole di procedura come quelle che fissano i termini da rispettarsi per il deposito di documenti o di impugnazioni (Corte dir. uomo, 16 dicembre 1997, Tejedor Garda c. Spagna, p. 31;Corte dir. uomo, 15 settembre 2016, Trevisanato ci Italia, p. 32). Non sembra quindi potersi revocare in dubbio che la causa di inammissibilità dell’impugnazione non poteva certo considerarsi pleonastica, ma semmai diretta a regolare le vie di accesso alla tutela giurisdizionale in fase di appello secondo una scelta rientrante nel potere discrezionale del legislatore.”.

Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 1.500,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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