Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23682 del 01/10/2018

Cassazione civile sez. trib., 01/10/2018, (ud. 10/07/2018, dep. 01/10/2018), n.23682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n.25449/2012 R.G. proposto da:

S.M., rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe

Marini, presso cui domicilia elettivamente in Roma alla via dei

Monti Parioli n.48;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata, ai soli fini dell’eventuale partecipazione

all’udienza, dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.98/27/11 della Commissione Tributaria Regionale

della Sicilia, emessa in data 22/9/2010, depositata in data

16/9/2011 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio

2018 dal Consigliere dott.ssa Andreina Giudicepietro.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. S.M. ricorre con cinque motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 98/27/11 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, emessa in data 22/9/2010, depositata in data 16/9/2011 e non notificata, che, in controversia concernente l’impugnativa degli avvisi di accertamento con cui l’Ufficio aveva accertato induttivamente un maggior reddito ai fini Irpef, Irap ed Iva, oltre sanzioni ed interessi, per le annualità 1998 e 1999, ha rigettato l’appello della contribuente avverso la sentenza della C.T.P. di Messina, che, a sua volta, aveva parzialmente accolto il ricorso introduttivo della contribuente;

2. con la sentenza impugnata la C.T.R. della Sicilia, ritenuti sussistenti i presupposti per l’accertamento induttivo extracontabile del reddito di impresa (la contribuente è titolare di una farmacia), ha escluso che vi fosse un difetto di motivazione negli avvisi di accertamento (motivati per relationem con riferimento al P.V.C.), confermando la sentenza della C.T.P. di Messina in ordine agli importi in essa indicati sulla base di una consulenza tecnica svolta nel giudizio di primo grado;

3. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate si è costituita, resistendo con controricorso;

4. il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio del 10 luglio 2018 ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis c.p.c., comma 1, il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

5. la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo, la ricorrente denunzia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa motivazione della sentenza impugnata sul motivo di appello relativo alla carenza motivazionale degli avvisi di accertamento, contenenti un mero rinvio alle motivazioni del P.V.C.;

1.2. il motivo è inammissibile;

1.3. ed invero, il contribuente, pur facendo espresso riferimento alla censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in realtà lamenta l’omessa motivazione, da parte della C.T.R. della Sicilia, su di un motivo di appello, attinente all’insufficiente motivazione della sentenza di primo grado sulla adeguatezza della motivazione contenuta nell’avviso di accertamento;

trattasi, quindi, di censura dedotta sotto il profilo del vizio motivazionale, laddove, invece, ha ad oggetto un error in procedendo (l’omesso esame di un’eccezione contenuta nei motivi di appello), tuttavia non illustrato secondo il modello legale dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e priva di alcun riferimento alla nullità della sentenza impugnata;

inoltre, nella fattispecie in esame, la doglianza è comunque infondata perchè il giudice di appello ha, sinteticamente ma sufficientemente, motivato sul punto, ritenendo che l’avviso di accertamento risultava congruamente motivato per relationem;

2.1. con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo la ricorrente il giudice di appello, in violazione delle norme citate, avrebbe ritenuto la legittimità degli avvisi di accertamento (per la parte riconosciuta dalla C.T.P.), che invece erano privi di adeguata motivazione, contenendo solo un richiamo per relationem al P.V.C.;

2.2. i motivi sono infondati;

2.3. sulla motivazione dell’atto impositivo, questa Corte ha avuto modo di affermare che ai fini dell’ammissibilità della motivazione per relationem “è sufficiente il rinvio dell’avviso di accertamento al p.v.c. notificato al contribuente” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29002 del 05/12/2017);

si è anche detto che “la motivazione per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare un’economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (Sez. 5 -, Sentenza n. 30560 del 20/12/2017);

deve, quindi, concludersi per l’infondatezza della doglianza della ricorrente;

3.1. con il terzo motivo, la ricorrente denunzia l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa un fatto decisivo e controverso, consistente nella sussistenza dei presupposti legittimanti il ricorso allo strumento dell’accertamento induttivo extracontabile;

secondo la ricorrente, nella sentenza impugnata mancherebbe la motivazione volta a chiarire le ragioni per le quali la C.T.R. ha ritenuto legittimo l’accertamento induttivo extracontabile, cioè perchè le inesattezze riscontrate avrebbero reso inattendibile la contabilità nel suo complesso;

3.2. il motivo è infondato;

3.3. invero, in materia di redditi di impresa, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, consente all’Ufficio di condurre l’accertamento sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, senza riferimento alla contabilità del contribuente, in una serie di ipotesi tra le quali, per quanto qui interessa, è compresa quella in cui la contabilità del contribuente sia resa inattendibile da gravi, numerose e ripetute omissioni e false o inesatte indicazioni o irregolarità formali;

detta metodologia di accertamento (c.d. extracontabile) risulta dunque legittima in materia di accertamento dei redditi di impresa, per il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d) (analoga disposizione è peraltro dettata in materia di accertamento IVA dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55) solo se la contabilità del contribuente risulti viziata da irregolarità così gravi, numerose e ripetute da risultare inattendibile;

l’esistenza di tali irregolarità, se contestata dal contribuente, deve essere dimostrata dall’Amministrazione e sulla relativa questione di fatto il giudice si deve pronunciare con adeguata motivazione;

questa Corte, in materia di accertamento IVA, ma esprimendo principi generali sull’accertamento extracontabile, ha affermato che “ai fini della legittimità del ricorso all’accertamento induttivo in materia di IVA, alla luce del disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, comma 2, n. 3, in presenza di violazioni (riguardanti, nella specie, la mancata conservazione delle bolle di accompagnamento, la mancanza di pagine nel registro degli inventari e la omessa redazione dell’inventario delle rimanenze) plurime e ripetute (in quanto riferite a più annualità), che sembrino, pertanto, ictu oculi compromettere una trasparente ricostruzione dell’attività commerciale svolta dal contribuente, il giudice del merito è tenuto a spiegare perchè la contabilità possa essere considerata, comunque, attendibile, e perchè, quindi, le violazioni non siano da considerarsi gravi. Il parametro della gravità, in tali casi, può infatti essere ricavato soltanto in negativo, nel senso che, normalmente, violazioni numerose e ripetute rendono di per sè inattendibili le scritture contabili, a meno che non si tratti di violazioni di scarso rilievo, configurandosi, quindi la non gravità come eccezione, che come tale va dimostrata dal contribuente e deve essere oggetto di motivazione specifica da parte del giudice di merito” (Sez. 5, Sentenza n. 16724 del 08/08/2005);

nel caso di specie, la C.T.R. della Sicilia ha affermato che il ricorso all’accertamento induttivo era “legittimo e giustificato” per gli errori “evidenti e gravi” riscontrati nella contabilità;

la motivazione della sentenza impugnata, per quanto estremamente sintetica, non è censurabile e risulta sufficiente, poichè chiarisce l’iter logico seguito dai giudici di appello, i quali hanno evidentemente ritenuto che la gravità delle irregolarità riscontrate (non coincidenza tra le date dei pagamenti indicate in contabilità e quelle indicate in un’agenda personale della titolare della farmacia, movimentazioni bancarie ingiustificate, acquisto senza fattura di alcune merci, ripianamento in conto cassa effettuato in contanti a fine giornata – irregolarità riscontrate per le annualità 1998 e 1999 -) rendesse inattendibile la contabilità nel suo complesso e giustificasse il ricorso dell’Amministrazione all’accertamento induttivo extracontabile;

4.1. con il quarto motivo, la ricorrente denunzia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 2 e art. 39, comma 2, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, allorchè la C.T.R. ha ritenuto che fosse sufficiente il riscontro di errori “evidenti e gravi”, senza necessità di verificare che gli stessi fossero “gravi, numerosi e ripetuti”, tanto “da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza di una contabilità sistematica”;

4.2. il motivo è infondato;

4.3. invero, i giudici di appello, sebbene abbiano adottato una motivazione molto sintetica, hanno ritenuto che le plurime irregolarità riscontrate fossero gravi, al punto da legittimare l’accertamento induttivo dell’amministrazione;

il giudizio sulla gravità delle irregolarità riscontrate costituisce questione di merito, insindacabile in sede di legittimità, se non per carenze motivazionali (nel caso di specie insussistenti, come precisato al punto 3.3.);

5.1. con il quinto motivo, la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per l’omessa pronuncia sul secondo motivo di appello, relativo alla violazione delle norme in tema di accertamenti bancari, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

5.2. il motivo è inammissibile;

5.3. in particolare, la ricorrente con tale ultimo motivo di ricorso censura l’accertamento sotto il profilo della ricostruzione delle movimentazioni bancarie, sottoponendo a critica il fondamento delle presunzioni dell’Amministrazione e gli esiti della c.t.u. svolta in primo grado (per altro ampiamente favorevole alla contribuente);

il motivo, indipendentemente dalla sua enunciazione formale e dal riferimento alla censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in realtà tende ad ottenere una rivalutazione degli elementi istruttori e degli accertamenti del consulente tecnico (per altro per larga parte favorevoli alla contribuente), inammissibile in sede di legittimità;

6.1. atteso il rigetto del ricorso, la ricorrente deve essere condannata al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo.

PQM

la Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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