Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23681 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/09/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 24/09/2019), n.23681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8682-2015 proposto da:

COMUNE DI MONTECCHIO EMILIA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 37, presso lo

studio dell’avvocato MARCELLO FURITANO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CECILIA FURITANO, MARCO ZANASI giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

S.A., S.G., M.A., domiciliati in

ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dagli Avvocati SIMONA RIZZO, AMOROSO FERNANDO

con studio in REGGIO EMILIA V.LE PIAVE 3 (avviso postale ex art.

135), giusta delega in calce;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1812/2014 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 17/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato ZANASI che si riporta e chiede

l’accoglimento;

udito per i controricorrenti l’Avvocato AMOROSO che ha chiesto

l’inammissibilità.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Comune di Montecchio Emilia notificava ad M.A., Sartori e S.A. S.G. avvisi di accertamento per ICI, con riferimento agli anni di imposta 2006 – 2007. Ai contribuenti veniva contestato che avevano versato il tributo comunale adottando un valore venale delle aree fabbricabili, di cui erano proprietari, minore di quello reale ed inferiore a quello dagli stessi comunicato all’Amministrazione finanziaria, ai fini della rivalutazione D.L. n. 282 del 2002, ex art. 2. La Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, con sentenza n. 269 del 2010, accoglieva il ricorso, assumendo che le parti si erano conformate al valore di stima della relazione peritale del 5.12.2003 redatta dal tecnico incaricato dall’Amministrazione Comunale, che fissava in Euro 67.00 per mq. il valore dei terreni edificabili per gli anni dal 2006 e 2007. Il Comune proponeva appello, che veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna con sentenza n. 1812/3/14, ritenendo che la valutazione operata dall’ente non aveva rispettato i canoni dettati dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, che gli avvisi di accertamento mancavano dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che li avevano determinati e che nessuna comparazione era stata effettuata nelle perizie di stima allegate agli stessi. Il Comune di Montecchio Emilia ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo nove motivi, illustrati con memorie. M.A., S.G. e S.A. si sono costituiti con controricorso ed hanno presentato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), art. 5, comma 5, art. 5, comma 7; del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che la Commissione Tributaria Regionale erroneamente affermerebbe che nelle annualità in contestazione il valore delle aree fabbricabili dei contribuenti era assimilabile al valore di un terreno agricolo, perchè senza l’accordo dei proprietari limitrofi o della maggior parte di essi non si sarebbe potuto edificare alcunchè. Si argomenta che, con riferimento alle annualità in contestazione (2006 e 2007), il contribuente avrebbe pagato l’imposta utilizzando come base imponibile il valore indicato dal Comune relativamente all’annualità 2003, pur avendo venduto in data 20 aprile 2007 le aree oggetto di accertamento all’immobiliare Palladio s.r.l. al prezzo di Euro 753.826,00. L’ente ricorrente precisa di avere provveduto a determinare il valore delle aree de quibus in relazione alle annualità ICI in contestazione, sulla base di una stima allegata agli avvisi di accertamento con corretta applicazione dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5. La Commissione Tributaria Regionale, inoltre, avrebbe erroneamente utilizzato quale criterio di giudizio il valore dell’edificabilità “concreta” dell’area, in contrasto con l’attuale evoluzione normativa e giurisprudenziale. I giudici di appello farebbero riferimento ad un’altra sentenza della CTR, la n. 590/09/2014, perpetuando le medesime violazioni di norme, ed affermando che il prezzo di vendita delle aree oggetto di accertamento tratto dal rogito del 20.4.2007 non costituisce un elemento fondamentale ai sensi del D.Lgs. n. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, per la determinazione del valore venale ma un improprio condizionamento.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata, denunciando omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si lamenta che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe omesso di considerare la rivalutazione fiscale del D.L. 282 del 2002, ex art. 2, posta in essere dai comproprietari delle aree accertate, con effetto dall’anno di imposta 2004, richiamata negli avvisi impugnati e incontrovertibilmente dimostrata dalla documentazione versata in atti, da cui si evince che i contribuenti, sulla base di una perizia giurata, avrebbero attribuito nel 2004 alle aree de quibus il valore di Euro 699.195,00 (mentre poi lo valutano ai fini ICI in Euro 387.942,00).

3. Con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), art. 5, comma 5, art. 11, comma 2 bis; della Finanziaria 2007, art. 1, comma 162; della L. n. 212 del 2000, art. 7; della D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che i giudici di appello erroneamente affermano che gli avvisi di accertamento impugnati mancherebbero dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche della decisione e che tale vizio si dedurrebbe dalla mancata indicazione dell’aliquota applicabile, atteso che con riferimento a tale aspetto si fa rinvio alle delibere comunali che hanno provveduto a fissare l’aliquota, atti soggetti a pubblicità legale.

4. Con il quarto motivo si censura la sentenza impugnata, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In via subordinata al motivo di ricorso che precede, la medesima affermazione della Commissione Tributaria Regionale viene censurata come vizio di motivazione, posto che la mancata indicazione delle aliquote ICI vigenti deve ritenersi sanata con la specifica indicazione negli atti delle delibere consiliari che fissano le aliquote, e che tale eccezione è stata evidenziata sin dal primo grado di giudizio dall’ente comunale.

5. Con il quinto motivo si censura la sentenza impugnata, per violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), art. 5, comma 5; del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che i giudici di appello affermano che nelle perizie di stima allegate agli avvisi di accertamento, svolte secondo il criterio della valutazione comparativa, nessuna comparazione di fatto sarebbe stata riportata, laddove la valutazione comparativa è uno dei criteri individuati dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, e soprattutto sarebbe eventuale. Il Comune, infatti, avrebbe tenuto conto dell’elemento che presenta maggiore garanzie di certezza, ragionevolezza e tutela delle ragioni del contribuente, quale il prezzo di vendita del bene, riducendolo sensibilmente, tenuto conto che il D.Lgs. cit., art. 5, comma 5, stabilisce che il valore è costituito da quello venale in comune commercio al primo gennaio dell’anno di imposizione.

6. Con il sesto motivo si censura omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In via subordinata al motivo di ricorso che precede, il medesimo passo della sentenza si censura come vizio di motivazione.

7. Con il settimo motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b), e art. 5, comma 5, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che erroneamente i giudici di appello affermano che il Comune avrebbe dovuto indicare le ragioni per cui il valore accertato per l’anno 2003/2004, con precedente perizia redatta dallo stesso tecnico, doveva essere riformato e disatteso e che in pratica non vi sarebbe coerenza tra la prima e la seconda stima, posto che sarebbe stato onere dei contribuenti dimostrare che malgrado essi avessero attribuito alle aree, nel 2004, il valore di circa 700.000,00 Euro e le avessero vendute proprio in una delle due annualità oggetto di accertamento (anno 2007) ad oltre 750.000,00 Euro, la stima avrebbe dovuto mantenere fisso un valore attribuito nel 2003 e pari a circa la metà.

8. Con l’ottavo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In via subordinata al motivo di ricorso che precede, il medesimo passo della sentenza impugnata viene censurato come vizio di motivazione.

9. Con il nono motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, denunciando omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe omesso di effettuare l’esame della rivalutazione fiscale delle aree effettuata dai contribuenti, disconoscendo la stima ed affermando che il valore dell’area doveva essere pari a quello agricolo. I giudici di appello avrebbero omesso di valutare che nel 2004 i contribuenti avevano provveduto alla c.d. rivalutazione, del D.L. n. 282 del 2002, ex art. 2, delle aree attribuendo un valore complessivo di Euro 699.195,00 e che le aree erano state vendute il 20 aprile 2007 alla immobiliare Palladio s.r.l. al prezzo di Euro 753.826,00. La Commissione Tributaria Regionale, inoltre, avrebbe omesso di valutare la circostanza che le aree non erano gravate da alcuna vera “restrizione edificatoria”, atteso che la necessità di adesione alla convenzione urbanistica di almeno il 70% dei terreni compresi nei piani particolareggiati attuativi dei comparti di attuazione è comune a tutti i piani attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali. Si sarebbe, altresì, omesso di valutare che è contrario al vero che “i valori riscontrati a seguito di compravendita del 2007 non potevano essere ufficialmente e ragionevolmente noti prima della compravendita”. Con tale proposizione i giudici di appello sembrerebbero sostenere che era del tutto impensabile che nel 2006/2007 le aree de quibus avessero un valore venale di circa 700.000,00 Euro e che, quindi, il prezzo di compravendita del 20 aprile 2007, di Euro 753.826,00, fosse stato una sorta di improvvisa, inaspettata e piacevole sorpresa per i contribuenti.

10. Il primo, il secondo, il quinto, il sesto ed il nono motivo di ricorso, vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione logica.

10.1. Le censure sono fondate. Dall’accoglimento dei predetti motivi consegue l’assorbimento del settimo e dell’ottavo.

a) In tema di ICI, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore del bene, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dalla approvazione dello stesso da parte della Regione o dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi, fermo restando che si deve tenere conto, in concreto, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza di ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio.

Pertanto, la base imponibile di un’area fabbricabile va individuata, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, in relazione al suo valore commerciale complessivo che, dovendo tenere conto dei differenti livelli di edificabilità delle parti che compongono l’area medesima, può essere espresso ricorrendo ad indici medi di edificabilità riferiti all’intera area (Cass. n. 8545 del 2019). Ai fini della determinazione del valore imponibile è indispensabile che la misura del valore venale in comune commercio sia ricavata in base ai parametri vincolanti previsti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 5, che, per le aree fabbricabili, devono avere riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. Tali criteri normativamente determinati devono considerarsi tassativi, e non possono essere surrogati da valutazioni effettuate sulla base di un’aproristica e del tutto indimostrata valutazione basata su altri argomenti ed il giudice del merito, investito della questione del valore attribuito ad un’area fabbricabile, non può esimersi dal verificarne la corrispondenza, tenuto conto dell’anno di imposizione, ai parametri predetti, con una valutazione incensurabile in sede di legittimità, qualora congruamente motivata (Cass. n. 14385 del 2010; Cass. n. 13567 del 2017).

b) Non è controverso che i terreni oggetto di accertamento fossero all’epoca dei fatti per cui si procede edificabili (v. controricorso), in quanto inseriti nel piano particolareggiato denominato (OMISSIS) e destinato alla realizzazione di strutture commerciali e direzionale (v. ricorso pag. 17) e che l’edificabilità era subordinata al consenso degli altri proprietari limitrofi o della maggior parte di essi (v. motivazione sentenza impugnata).

Orbene, da tale circostanza la Commissione Tributaria Regionale erroneamente desume, facendo propria la motivazione di un’altra pronuncia riferita a medesima fattispecie ma ad anno di imposta diverso (n. 540/09/2014), che il valore di quel terreno era sicuramente assimilabile al valore di un terreno agricolo, perchè in presenza della condizione sopra rappresentata non era edificabile e, quindi, andava valutato “per lo stato di quel momento senza altri condizionamenti”.

L’assunto non può essere condiviso, tenuto conto che non può essere applicato, ai fini della determinazione della base imponibile, il valore agricolo ad un terreno dichiarato edificabile secondo gli strumenti urbanistici generali.

Ai fini della determinazione della base imponibile, l’area edificabile costituisce un genere articolato nelle due specie dell’area edificabile di diritto, così qualificata in un piano urbanistico, e dell’area edificabile di fatto, vale a dire del terreno che, pur non essendo urbanisticamente qualificato, può nondimeno avere una vocazione edificatoria di fatto in quanto potenzialmente edificatorio, anche al di fuori di una previsione programmatica, in considerazione dell’esistenza di taluni fatti indice, come la vicinanza al centro abitato, lo sviluppo edilizio raggiunto dalle zone adiacenti, l’esistenza di servizi pubblici essenziali, la presenza di opere di urbanizzazione primaria, il collegamento con i centri urbani già organizzati e qualsiasi altro elemento obiettivo di incidenza sulla destinazione urbanistica.

Ai fini della valutazione della “edificabilità” di un terreno, si prescinde anche dalla previsione degli strumenti urbanistici per dare rilevanza soltanto all’aspetto puramente fattuale ed economico, sicchè rileva la “mera possibilità edificatoria” del terreno stesso.

Nella specie, non è controverso che le aree oggetto di accertamento siano edificabili, sicchè non assume rilievo, per escluderne la vocazione edificatoria, la circostanza che la realizzazione urbanistica sia condizionata al consenso del 70% dei comproprietari dell’area inserita nel piano particolareggiato.

Questa Corte, con sentenza n. 4952 del 2.3.2018, ha affermato che: “In tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 203 del 2005, art. 11-quaterdecies, comma 16, conv. con modif. dalla L. n. 248 del 2005, e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, conv. con modif. dalla L. n. 248 del 2006, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b, l’edificabilità di un’area, per l’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione urbanistica ad essa attribuita nel P.R.G. adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della regione e dell’adozione di strumenti urbanistici attuativi, tenendo altresì conto che il detto D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, prevedendo che un terreno sia considerato edificatorio anche ove esistono possibilità effettive di costruzione, delinea, ai fini fiscali, una nozione di area edificabile ampia ed ispirata alla mera potenzialità edificatoria”.

Ne consegue che la Commissione Tributaria Regionale non ha fatto buon governo dei principi espressi, avendo ritenuto che con riferimento alla determinazione della base imponibile il terreno dovesse essere considerato agricolo, anche se qualificato edificabile dagli strumenti urbanistici. Pertanto, la sentenza va in parte qua cassata.

c) Ciò premesso, vanno rilevati i dedotti vizi motivazionali della sentenza impugnata, atteso che il giudice del merito, sul presupposto della insussistente edificabilità di fatto dei terreni, e quindi, sulla concreta riconducibilità della base imponibile al valore agricolo degli stessi, ha apodotticamente affermato che: “In definitiva, la valutazione operata dal Comune non avrebbe rispettato i canoni dettati dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5,” (v.pag. 6 sentenza impugnata).

Come sopra precisato, in tema di imposta comunale sugli immobili, ai fini della determinazione del valore imponibile è indispensabile che la misura del valore venale in comune commercio sia ricavata in base ai parametri vincolanti previsti dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, che, per le aree fabbricabili, devono avere riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per gli eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.

La questione, nel caso in esame, è differente, tenuto conto che le parti hanno provveduto, in uno degli anni di imposta per cui si procede, anno 2007, ma certamente anticipando le trattative al periodo precedente, alla vendita del bene, a fronte di un valore di acquisto dichiarato di circa 753,826,00, nell’ambito di una normale compravendita tra privati, mentre hanno denunciato ai fini ICI un valore molto più basso. Il valore del terreno, quindi, con riferimento all’anno 2007, e anche con riferimento all’anno prima presumibilmente interessato dalle trattative, era stato già determinato dalle parti.

I contribuenti lamentano che gli avvisi di accertamento impugnati non recherebbero nessuna indicazione di altri rogiti ai fini della comparazione.

Con riferimento a tale obiezione, questa Corte ha chiarito che la locuzione indicata nel D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, “non può essere considerata tassativa, posto che il fine ultimo è quello del calcolo del valore venale in comune commercio, valore che deve essere calcolato rispettando sì i criteri imposti dalla legge, ma senza perdere di vista gli ulteriori elementi per pervenire al più veritiero e probabile valore del bene oggetto di stima, purchè si rispettino i requisiti di attendibilità ed oggettività richiesti dal giudizio di stima” (v. Cass. n. 14118 del 2017 in motivazione). Si è, infatti, osservato che solo in assenza di un valore attribuito al terreno oggetto di contestazione, si impone di considerare i criteri imposti dal D.Lgs. n. 504 del 1992, (v. Cass. n. 14118 citata), atteso che nel caso in cui il valore del terreno, e quindi il suo prezzo, sia già assegnato, perchè posto in vendita, non si può che pervenire alla conclusione che il valore fissato a quel terreno, considerato congruo o rettificato con avviso di accertamento, non può che rappresentare il suo valore venale.

Orbene, questo elemento determinante non è stato correttamente valutato dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale si è limitata a citarlo in motivazione riportando il contenuto della sentenza n. 549/09/2014, alla fattispecie non conferente oltre al fatto che si riferisce ad altra annualità di imposta (2004).

La Corte territoriale, inoltre, non ha illustrato in motivazione nessun riferimento al contenuto delle relazioni tecniche allegate agli avvisi di accertamento impugnati, anche al solo fine di escluderne la rilevanza ai fini della determinazione della base imponibile, le quali fanno riferimento anche ad un valore del terreno ricondotto a quello utilizzato dai contribuenti per assolvere agli adempimenti fiscali di cui al D.L. n. 282 del 2002, mediante perizia di stima dagli stessi redatta nel 2004, che attribuiva all’area un valore di Euro 699.195,00.

Nè si argomenta, come si è detto, proprio con riferimento a tali relazioni tecniche, sotto quale profilo si ritiene non applicati i parametri indicati dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5.

Si è sopra precisato che i parametri indicati dall’art. 5 cit., sono vincolanti ed il giudice del merito, investito della questione del valore attribuito ad un’area edificabile, non può esimersi dal verificarne la corrispondenza, tenuto conto dell’anno di imposizione, con una valutazione congruamente motivata. A tale obbligo decisionale non si è ottemperato, pur a fronte delle contestazioni ed argomentazioni difensive espresse dall’ente comunale nel corso del giudizio di merito, di cui non si dà conto nel processo decisionale.

Sicchè la motivazione della pronuncia, anche sotto tale profilo, appare insufficiente posto che non chiarisce, soprattutto, per le ragioni illustrate, per quale motivo si esclude rilievo, ai fini della determinazione della base imponibile dell’ICI, al prezzo di compravendita del terreno, di Euro 753.826,00, pagato ai contribuenti nell’aprile del 2007, laddove tale circostanza avrebbe dovuto essere, per le motivazioni sopra espresse, valorizzata, costituendo un incontrovertibile parametro oggettivo del valore attribuito dagli stessi all’area fabbricabile (v. Cass. n. 14118 del 2017).

Il legislatore ha voluto attribuire a base del valore il prezzo del terreno, e solo dopo, ovvero in mancanza di detto valore, si è stabilito di dover procedere al suo calcolo avendo riguardo agli ulteriori elementi tassativamente riportati e, non da ultimo, avendo riguardo ai prezzi medi di mercato aventi analoghe caratteristiche, come a voler specificare di considerare il valore di compravendita di terreni analoghi in assenza di un valore diretto attribuibile al bene oggetto di stima.

Invero, questa Corte, con sentenza n. 14148 del 2003, ha precisato che i parametri di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, non possono ritenersi esclusivi od esaustivi poichè “altri possono in via alternativa essere applicati, purchè adeguati ed idonei alla individuazione del valore commerciale”. La pronuncia citata conclude ritenendo corretta la valutazione effettuata ai fini ICI sulla base del prezzo di smercio dell’immobile, essendo tale prezzo un parametro idoneo alla individuazione del valore di scambio.

11. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto riguardanti la medesima questione, sono fondati. Con riferimento alla motivazione degli avvisi di accertamento va precisato che, in tema di ICI, è correttamente motivato l’atto impositivo che, con riferimento alla indicazione delle aliquote, fa rinvio al contenuto della delibera consiliare che ne fissa il contenuto, posto che tali delibere sono atti generali che essendo soggette a pubblicità legale si presumono conoscibili (Cass. n. 9801 del 2012), sicchè va escluso anche l’obbligo di allegazione delle stesse previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, al fine di soddisfare i requisiti della sufficiente motivazione dell’atto impositivo (Cass. n. 22254 del 2016).

12. Da siffatti rilievi consegue l’accoglimento del primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, nono motivo di ricorso, assorbiti i restanti, e la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va rigettato l’originario ricorso proposto dai contribuenti. Le spese di lite dei gradi di merito, tenuto conto del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite, vanno compensate tra le parti, mentre la parte soccombente è tenuta al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il nono motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso proposto dai contribuenti. Compensa le spese di lite dei gradi di merito e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1700,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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