Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23681 del 11/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/11/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 11/11/2011), n.23681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29530/2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato PAROLETTI Camillo, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.G.;

– intimato –

e sul ricorso 31633/2007 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SCAVONE MAURIZIO, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato PAROLETTI CAMILLO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1784/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/12/2006 R.G.N. 437/06;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/10/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI per delega PAROLETTI CAMILLO;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso e conferma

sentenza con correzione ex art. 384 c.p.c.. Ricorso incidentale

assorbito.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 117/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Asti, in accoglimento della domanda proposta C.G. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso tra le parti per il periodo 2-10-2000/31-1-2001, per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. az. 25-9-97 e succ., con conseguente instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato e con condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di notifica della richiesta per tentativo obbligatorio di conciliazione, il tutto con compensazione delle spese.

Tale pronuncia veniva appellata dalla società e, in via incidentale, sul capo delle spese, anche dal C..

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza depositata il 20-12-2006, respingeva l’appello principale della società ed in accoglimento dell’appello incidentale del C. condannava la società al pagamento delle spese del primo grado, condannando inoltre la stessa società al pagamento delle spese del gravame.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi.

Il C. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato con un unico motivo.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Con il secondo motivo del ricorso principale, che in ordine logico va esaminato per primo, la ricorrente denunciando violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, art. 1362 c.c., comma 2, art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c., censura la impugnata sentenza laddove ha escluso la configurabilità nel caso di specie della risoluzione per mutuo consenso tacito del rapporto di lavoro, “ritenendo l’inerzia dell’interessato insufficiente ad affermare la volontà risolutiva in assenza di comportamenti incompatibili con la volontà di mantenere in vita il vincolo contrattuale”, senza considerare che il rapporto a termine impugnato aveva una durata di soli quattro mesi e che tra la cessazione del rapporto (31-1-2001) e la notifica del ricorso di primo grado (26-7-2003) erano trascorsi oltre due anni e mezzo.

Il motivo è infondato.

Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11/12/2001 n. 15621, nonchè da ultimo Cass. 11-3-2011 n. 5887).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevandosi, inoltre che, come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1-2-2010 n. 2279).

Orbene nel caso di specie la Corte di merito, dopo aver premesso che il mero trascorrere del tempo non è di per sè rilevante essendo necessaria la presenza di “comportamenti significativi delle parti, che denotino la volontà concorde di entrambe di ritenere definitivamente risolto il rapporto di lavoro”, ha affermato che “posto che spettava alla società appellante, che aveva eccepito la risoluzione per mutuo consenso del contratto di lavoro a termine stipulato con l’appellato, l’onere di provare le circostanze dalle quali potesse ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro fra loro, la s.p.a. Poste Italiane, avrebbe dovuto dedurre, e provare, un comportamento del sig. C. che costituisse chiara ed univoca manifestazione, rivolta nei confronti della stessa società appellante, della sua volontà di rinunciare alla ricostituzione del rapporto di lavoro con le Poste Italiane” ed ha concluso che una siffatta prova “non è stata fornita”.

Tale accertamento di fatto risulta conforme ai principi sopra richiamati e resiste alla censura della società ricorrente.

Con il primo motivo del ricorso principale la società lamenta, poi, che la Corte territoriale, violando la L. n. 56 del 1987, art. 23, l’art. 1362 c.c., e segg., in relazione all’accordo 25-9-97 e ai successivi accordi integrativi, erroneamente ha subordinato la legittimità del termine apposto al contratto de quo alla dimostrazione della sussistenza del nesso eziologico tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze dedotte in contratto, anche con riferimento allo specifico ufficio di applicazione, dovendo, invece, ritenersi legittimo il termine “anche in assenza della prova del nesso causale tra tali esigenze e la specifica assunzione per cui è causa, non avendo le parti collettive previsto nè voluto tale requisito”.

Il motivo non può essere accolto, anche se la motivazione della sentenza merita di essere in parte corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., come più volte affermato da questa Corte in casi analoghi di ricorsi avverso sentenze dello stesso tenore (v. fra le altre Cass. 24-3-2009 n. 7042, Cass. 22-1-2009 n. 1626, Cass. 7/1/2009 n. 41, Cass. 12-11-2008 n. 27030, Cass. 19-11-2008 n. 27470).

Peraltro la questione, che si pone a base della decisione, è stata rilevata dal C. nel controricorso e, come emerge dalla lettura del ricorso stesso, risulta già ampiamente trattata nel giudizio di merito, avendo la società con l’appello ribadito chiaramente la natura ricognitiva degli accordi attuativi dell’acc. az. 25-9-97.

In specie la decisione impugnata, nella parte in cui ha affermato la illegittimità del termine apposto al contratto de quo, deve ritenersi conforme a diritto anche se la motivazione della sentenza deve ritenersi parzialmente erronea.

In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23/8/2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1/10/2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

In base al detto orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto in esame per il solo fatto che lo stesso è stato stipulato dopo il 30 aprile 1998 ed è pertanto privo di presupposto normativo.

In tal senso, quindi, va respinto il ricorso, in parte correggendosi, come sopra, la motivazione dell’impugnata sentenza (così risultando assorbito il ricorso incidentale condizionato), non essendo stata, peraltro, avanzata alcuna ulteriore censura, che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno.

Al riguardo, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.

Orbene, a prescindere da ogni altra considerazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Infine, in ragione della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore della controricorrente.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna la società Poste Italiane a pagare al C. le spese liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

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