Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23677 del 31/08/2021

Cassazione civile sez. II, 31/08/2021, (ud. 21/04/2021, dep. 31/08/2021), n.23677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25274-2016 proposto da:

R.M., in proprio ex art. 86 c.p.c., il quale elegge

domicilio in ROMA, V.le GIUSEPPE MAZZINI 146, presso lo studio

dell’Avv. Ezio Spaziani Testa;

– ricorrente principale –

contro

PRANDONI s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocato MATTEO BIELLA ed elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA dei PIRENEI 1, presso lo studio dell’Avv.

Alfonso Gentile;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso l’ordinanza n. 8682/2016 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO del

12/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/04/2016 dal Consigliere Dott. BELLINI UBALDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato in data 17.2.2015, l’avv. R.M. chiedeva al Tribunale di Busto Arsizio la condanna della PRANDONI s.r.l. al pagamento della somma di Euro 72.263,59, oltre interessi di legge e rivalutazione monetaria dalla data di invio delle singole note spese al pagamento, per averne assunto la difesa in sei giudizi.

Si costituiva in giudizio la società convenuta formulando eccezioni preliminari relative alla nullità della notifica e nel merito: a) quanto alla causa decisa con sentenza n. 167/2013, eccepiva che nulla era dovuto avendo già adempiuto ai pagamenti richiesti, come da fatture prodotte in atti; b) quanto alle quattro cause decise dal Tribunale di Busto Arsizio (sentenze n. 111/2013, n. 110/2013; n. 322/2013, 1234/2014), eccepiva la responsabilità professionale del ricorrente contestandone l’operato e chiedendo la risoluzione del contratto, la condanna alla restituzione di somme già versate nella misura di Euro 14.976,00 ed Euro 7.762,50, versate al Comune di Busto Arsizio; c) quanto alla causa decisa dalla Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 912/2014, eccepiva l’estinzione dell’obbligazione a fronte del versamento della somma di Euro 19.896,00 in favore del ricorrente.

Disposto il rinnovo della notifica del ricorso introduttivo alla resistente, era mutato il rito al fine di disporre la composizione collegiale del Tribunale ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14.

Con ordinanza n. 8682/2016, depositata in data 12.8.2016, il Tribunale di Busto Arsizio dichiarava la propria incompetenza funzionale in relazione ai compensi per le prestazioni rese dinnanzi alla Corte d’Appello di Milano (sentenza n. 912/2014) e disponeva la riassunzione del giudizio dinnanzi alla Corte d’Appello di Milano; rigettava la domanda riconvenzionale della resistente; accoglieva parzialmente il ricorso e condannava la società resistente al pagamento della somma di Euro 13.083,64 e di Euro 2.137,60 – somma dalla quale dovevano essere detratti gli importi indicati nelle fatture sub docc. 1, 2, 3, depositate dalla resistente – e di Euro 5.460,00, oltre accessori di legge, oltre interessi di legge dalla domanda al saldo effettivo; condannava la resistente a rifondere il 50% delle spese di lite sostenute dal ricorrente.

Avverso la suddetta ordinanza propone ricorso per cassazione l’avv. R.M. in base a cinque motivi. Resiste la Prandoni s.r.l. con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale sulla base di un unico motivo, cui a sua volta contraddice la ricorrente principale. Entrambe le parti hanno depositato rispettive memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente principale deduce la “Violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 28, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Giudice di primo grado applicato la tabella di liquidazione dei compensi di cui al D.M. n. 140 del 2012, anziché quella di cui al D.M. n. 55 del 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2.4.2014 e in vigore dal 3.4.2014, in relazione ad attività professionale svoltasi nell’ambito di giudizio conclusosi con sentenza del Tribunale di Busto Arsizio n. 1234/2014, pubblicata il 3.7.2014”.

1.1. – Il Collegio giudicante, correttamente premette che “Le controversie per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti dell’avvocato nei confronti del proprio cliente previste dalla L. n. 794 del 1942, art. 28 (come risultante all’esito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34 e dell’abrogazione degli artt. 29 e 30 della medesima L. n. 794 del 1942) devono essere trattate con la procedura prevista dall’art. 14 del suddetto D.Lgs. n. 150 del 2011, anche nell’ipotesi in cui la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda” (Cass. n. 4002 del 2016; cfr. Cass. n. 5843 del 2017, secondo cui “la competenza per l’opposizione, attribuita dall’art. 645 c.p.c. all’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto, ha carattere funzionale e inderogabile, stante l’assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione”: Cass. n. 24743 del 2006; Cass. 3870 del 2014).

1.2. – Ciò detto, il Tribunale di Busto Arsizio, in relazione ad attività professionale svoltasi nell’ambito di giudizio conclusosi con sentenza del Tribunale di Busto Arsizio n. 1234/2014, pubblicata il 3.7.2014 (oggetto del motivo: v. sub 1.), premette “che per tutti i giudizi il Collegio ritiene debbano essere applicati i minimi previsti dal D.M. n. 140 del 2012 attesa la ridotta utilità della prestazione resa dal difensore in virtù della pronunzia di rigetto della domanda” (ordinanza impugnata, pag. 6).

Secondo il ricorrente, peraltro, la decisione del Tribunale risultava erronea, poiché asseritamente presa in violazione del disposto di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 28, per il quale “le disposizioni di cui al decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore” (il 3.4.2014). Laddove, poi, il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, prevede che il compenso dell’avvocato debba essere liquidato per fasi; mentre (precisa ancora D.M. cit., art. 4, comma 5, lett. d)) la “fase decisionale” comprende, oltre alla decisione (ovvero alla “precisazioni delle conclusioni e l’esame di quelle delle altre parti, le memorie, illustrative o conclusionali anche in replica, compreso il loro deposito ed esame, la discussione orale, sia in camera di consiglio che in udienza pubblica, le note illustrative accessorie a quest’ultima, la redazione e il deposito delle note spese” anche) “l’esame e la registrazione o pubblicazione del provvedimento conclusivo del giudizio, comprese le richieste di copie il cancelliere, il ritiro del fascicolo, l’iscrizione di ipoteca giudiziale del provvedimento conclusivo stesso; il giudice, nella liquidazione della fase, tiene conto, in ogni caso, di tutte le attività successive alla decisione e che non rientrano in particolare nella fase di cui alla lett. e)” di detto art. 4, comma 5, riferita invece alla fase esecutiva (Cass. n. 16581 del 2012).

Pertanto “I nuovi parametri di liquidazione delle spese processuali, in base ai quali vanno commisurati i compensi forensi ai sensi del D.M. n. 140 del 2012, art. 41, in luogo delle abrogate tariffe professionali, si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del citato decreto purché, a tale data, l’attività difensiva non sia ancora completata; invece, essi non operano, quando la liquidazione venga effettuata dopo l’esaurimento dell’attività difensiva, come nel caso della liquidazione delle spese relative ad un grado o fase precedente da parte del giudice della impugnazione o del rinvio (nella specie, la S.C. cassava la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto che l’attività difensiva si esaurisse al momento della precisazione delle conclusioni, rilevando al contrario che il difensore può ben compiere, anche successivamente a tale momento processuale, alcuni atti difensivi, come la dichiarazione di avveramento di un evento interruttivo, il ritiro del fascicolo, l’estrazione di copie)” (Cass. n. 17577 del 2018).

1.3. – Secondo la società controricorrente, erroneamente il ricorrente lamenta che la liquidazione operata dall’impugnata ordinanza, violerebbe gli importi minimi stabiliti dal D.M. n. 55 del 2014; laddove, non sussisterebbe l’eccepita violazione o falsa applicazione di norme di diritto in quanto l’inderogabilità dei minimi tabellari è stata eliminata dal c.d. decreto Bersani del 2006 e ribadita dal D.M. n. 140 del 2012, art. 1, comma 7; né il D.M. n. 55 del 2014 risulta aver rispristinato l’inderogabilità dei minimi tariffari. Conclude quindi la controricorrente nel senso che, in ogni caso, il Tribunale, nell’esercizio della sua potestà discrezionale, ha inteso liquidare il compenso facendo riferimento al D.M. del 2012 anziché a quello del 2014, ritenendolo più conforme al caso di specie, “attesa la ridotta utilità della prestazione resa dal difensore in virtù della pronuncia di rigetto della domanda”.

1.4. – Tale assunto risulta infondato, proprio in ragione del fatto che (come rilevato sub 1.2.) il Tribunale di Busto Arsizio ha erroneamente ritenuto di potere applicare (senza specificamente superarlo) il minimo tabellare previsto dal D.M. n. 140 del 2012, anziché quello di cui al D.M. n. 55 del 2014, secondo quanto stabilito dalla disposizione di cui al citato art. 28.

1.5. – Il primo motivo è pertanto fondato.

2. – Altrettanto è a dirsi del secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 702-ter c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Giudice dichiarata tardiva la produzione di documenti effettuata nel corso dell’udienza del 5.4.2016, atteso che detta udienza è stata la prima (e unica) di comparizione delle parti avanti al Tribunale in composizione collegiale”.

2.1. – Con riferimento alle quattro cause civili che hanno originato il diritto del ricorrente al compenso decise dal Tribunale di Busto Arsizio (Cass. n. 111 del 2013; Cass. n. 110 del 2013; Cass. n. 322 del 2013, Cass. n. 234 del 2014) si contesta che il Tribunale abbia svolto considerazioni. errate e censurabili, là dove sostiene che l’avv. R. non avrebbe tempestivamente prodotto la documentazione attestante l’espletamento dell’attività relativa, in alcuni casi, alla fase istruttoria e, per tutti, alla fase decisoria, con la conseguenza che, per tali attività, il Tribunale non ha liquidato alcun compenso.

Invero, il Giudice monocratico, con ordinanza del 29.12.2015, tenuto conto della sentenza (Cass. sez. un. 12609 del 2012), aveva rimesso gli atti al Presidente di Sezione, per la designazione del Collegio e per l’adozione di ogni più opportuno provvedimento. Il Presidente di Sezione, in data 16.3.2016, aveva disposto la conversione del rito nelle forme di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, fissando udienza avanti al Giudice relatore per il 5.4.2016.

Tale udienza deve essere considerata quale prima udienza, con la conseguenza che, in quella data, potevano legittimamente essere prodotti documenti da parte del ricorrente.

2.2. – Questa Corte ha infatti chiarito che “Al pari che nel rito ordinario, ove non è prevista nessuna immediata decadenza per la mancata indicazione dei mezzi di prova negli atti introduttivi del giudizio, stante le ulteriori facoltà di deduzioni istruttorie consentite nella fase della trattazione (Cass. 15 luglio 2011, n. 15691; Cass. 10 gennaio 2012, n. 81), nemmeno l’art. 702-bis c.p.c., sancisce, infatti, alcuna preclusione istruttoria, dovendosi al più argomentare sul piano logico che una compiuta articolazione probatoria, operata già in sede di ricorso e di comparsa di risposta, occorra perché il giudice possa consapevolmente adoperare in udienza l’eventuale potere di conversione del rito e di fissazione dell’udienza ex art. 183-c.p.c.. Questa scansione, collegata alla ponderazione dell’eventuale non sommarietà dell’istruzione, ai fini dell’art. 702-ter c.p.p., comma 3, porta ad individuare (in maniera da non accedere alla tesi estrema, secondo cui attore e convenuto sono liberi di svolgere nuove attività, istanze e produzioni per l’intero corso del procedimento e sino a che la causa non passi in decisione) proprio nella pronuncia della relativa ordinanza la barriera processuale che impedisce alle parti la formulazione di nuove richieste istruttorie. Ancor meno agevolmente appare allora ravvisabile un momento preclusivo per le deduzioni probatorie con riguardo alle controversie trattate con il rito sommario elencate nel Capo III del D.Lgs. n. 150 del 2011, in quanto ad esse neppure si applica l’art. 702-ter c.p.c., comma 3, (Cass. n. 25547 del 2015).

Il Tribunale avrebbe dovuto, correttamente e sulla base del dictum di questa Corte, ritenere ammissibili le produzioni effettuate nell’udienza del 5.4.2016 e, più precisamente, i documenti da 24 a 29; tra i quali il doc. 24, già depositato in occasione della prima udienza del 19.6.2015, tenutasi avanti al Giudice monocratico, che avrebbe costituito ricognizione di debito.

3.1. – Con il terzo motivo, la società ricorrente principale deduce la “Violazione e/o falsa applicazione del D. M. n. 140 del 2012, art. 11, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere il Giudice di primo grado considerato che la fase istruttoria sia svolta dal difensore e vada quindi retribuita anche solo con l’esame degli scritti e dei documenti prodotti dall’altra parte nel giudizio”.

3.2. – Con il quarto motivo, la ricorrente principale deduce la “Violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 140 del 2012, art. 11, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere il Giudice di primo grado considerato che la fase decisionale si adempia da parte del difensore con la precisazione delle conclusioni, con l’esame delle conclusioni della controparte, con l’esame della sentenza e con il ritiro del fascicolo di parte”.

3.3. – Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta il “Vizio di motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., n. 5 e omessa motivazione in ordine al mancato esame di un documento. Il documento n. 24) del fascicolo del ricorrente: ricognizione di debito”.

3.4. – La ricorrente incidentale, lamenta con l’unico motivo incidentale l'”Omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e, conseguentemente, omessa decisione sul punto”, là dove il Tribunale avrebbe omesso di esaminare la circostanza degli acconti versati al ricorrente.

5. – Vanno accolti il primo ed il secondo motivo, nei termini di cui in motivazione, con assorbimento di tutti gli altri motivi; va cassata la sentenza impugnata e rinviava la causa al Tribunale di Busto Arsizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo, con assorbimento di tutti gli altri, dal terzo al sesto motivo ed il motivo incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Busto Arsizio, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021

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