Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23677 del 24/09/2019

Cassazione civile sez. trib., 24/09/2019, (ud. 26/02/2019, dep. 24/09/2019), n.23677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23515-2012 proposto da:

ZEIO SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA LARGO

TRIONFALE 7, presso lo studio dell’avvocato MARIO SCIALLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO BERTOLINI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 63/2011 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 05/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/02/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI.

Fatto

RILEVATO

Che:

Con distinti ricorsi, affidati rispettivamente a cinque ed a quattro motivi, la società Zeio s.r.l. in liquidazione e l’Agenzia delle entrate hanno richiesto la cassazione della sentenza n. 63/08/2011 emessa dalla CTR della Toscana, in data 24.2.2011 e depositata in data 5.9.2011 che, confermando la sentenza emessa inter partes dalla CTP di Grosseto, ha respinto l’appello principale dell’Ufficio e l’appello incidentale della contribuente, in controversia concernente l’impugnazione di avviso di accertamento ai fini Iva, Irpeg (Ires), Irap in relazione all’anno di imposta 2003.

Tanto la contribuente quanto l’Agenzia hanno proposto controricorso.

L’Agenzia ha, altresì, depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Preliminarmente, va dato atto che con impugnazione autonoma, ma successiva a quello proposto dalla Zeio s.r.l. e, dunque, oggettivamente incidentale, è stato proposto ricorso da parte dell’Agenzia delle entrate. Al riguardo, deve trovare attuazione il principio di unità dell’impugnazione, secondo cui l’impugnazione proposta per prima determina la pendenza dell’unico processo, nel quale sono destinate a confluire, sotto pena di decadenza, per essere decise simultaneamente, tutte le eventuali impugnazioni successive della stessa sentenza, le quali, pertanto, hanno sempre carattere incidentale. Ne consegue che ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., a prescindere dall’eventuale osservanza del termine “esterno” di cui aglì artt. 325 o 327 c.p.c., atteso che la tardività o la tempestività, rispetto a quest’ultimo, assume rilievo ai soli fini della determinazione della sorte dell’impugnazione stessa in caso di inammissibilità di quella principale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 334 c.p.c., (cfr. Cass., Sez. Un., n. 9332 del 2002; Sez. U, n. 7074 del 20/03/2017; Sez. L, n. 5695 del 20/03/2015,Rv. 634799 – 01; Sez. 3, n. 2516 del 09/02/2016, Rv. 638617 – 01).

Poichè detto termine risulta essere stato, nella specie, rispettato, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va riunito a quello principale proposto dalla contribuente, a norma dell’art. 335 c.p.c..

2. Tanto premesso, deve essere esaminato per primo il ricorso principale proposto dalla contribuente Zeio s.r.l. in liquidazione.

2.1. Con il primo mezzo di gravame, si deduce nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., in rel. al cit. codice art. 360, comma 1, n. 4.

La ricorrente afferma di avere eccepito, nelle proprie controdeduzioni in appello, l’inammissibilità del gravame dell’Ufficio per mancanza di specificità dei motivi D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 53, atteso che l’atto di appello non si sarebbe confrontato criticamente con la sentenza di primo grado impugnata, limitandosi a riproporre negli stessi termini le originarie difese. Tale eccezione non era stata esaminata dalla CTR.

Il motivo appare inammissibile.

Invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito. (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 1876 del 25/01/2018, Rv. 647132 – 01; Sez. 3, n. 25154 del 11/10/2018, Rv. 651158 – 01; Sez. 6 – 2, n. 6174 del 14/03/2018, Rv. 648218 – 02).

In ogni caso, per ragioni di completezza espositiva, mette conto rilevare come il motivo sarebbe comunque infondato, alla luce del principio secondo cui “nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito”. (Sez. 5, n. 3064 del 29/02/2012 Rv. 621983 – 01; conf. Sez. 6 – 5, n. 24641 del 05/10/2018 Rv. 650818 – 01).

2.2. Con il secondo motivo, la società ricorrente deduce violazione dell’art. 148 c.p.c., in relazione al cit. codice art. 360, comma 1, n. 3, con riferimento alla invalidità della notificazione dell’avviso di accertamento, la cui relata è stata apposta sul frontespizio di quest’ultimo anzichè in calce ad esso.

Il motivo è infondato nei termini che seguono.

Va premesso che la relata di notifica ha la funzione di attestare l’eseguita consegna di una copia dell’atto che sia conforme all’originale nella sua interezza. In tal senso, l’attestazione fa pubblica fede, salvo querela di falso (Cfr. Cass. n. 15199/2004; Cass. n. 11489/2009). In tale prospettiva, vero è che questa Corte (Sez. 5, n. 6749 del 21/03/2007 Rv. 596900 – 01), ha affermato, in tema di notificazione della sentenza delle commissioni tributarie, eseguita a norma dell’art. 137 c.p.c., a mezzo di ufficiale giudiziario, che “l’art. 148 c.p.c., dispone che la relazione di notificazione deve essere apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto. La previsione è a presidio dell’attività di notificazione degli atti, ossia della regolare consegna di copia integrale degli stessi, in osservanza del principio della loro consegna in conformità all’originale. La localizzazione in calce all’atto notificato svolge, infatti, la funzione garantistica di richiamare l’attenzione dell’Ufficiale giudiziario alla regolare esecuzione dell’operazione di consegna della copia conforme all’originale, dal momento che la attestazione di eseguita consegna della copia dell’atto, che fa fede fino a querela di falso, implica l’attestazione di conformità della copia all’originale”. Da ciò consegue, secondo la citata pronuncia, che, qualora la relazione di notificazione sia stata, invece, annotata sul frontespizio del documento, viene meno la garanzia della consegna dell’atto nella sua integralità e, pertanto, la notificazione deve dirsi nulla, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2, qualora manchino, beninteso, i requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo.

Proprio con riferimento all’ipotesi di sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo dell’atto e con specifico riferimento ad una fattispecie relativa alla notificazione di un avviso di accertamento, questa Corte ha puntualizzato che “la notifica dell’avviso di accertamento, la cui relata sia stata apposta sul frontespizio di quest’ultimo anzichè in calce ad esso, non può dichiararsi nulla qualora non siano oggetto di specifica contestazione la completezza e conformità dell’atto notificato contenente, in ogni foglio, il numero della pagina e l’indicazione del numero complessivo di esse, atteso che, in tale modo, viene garantita all’interessato l’integrità dell’atto notificato, con il conseguente prodursi degli effetti sananti del raggiungimento dello scopo”. (Sez. 6 – 5, n. 23175 del 14/11/2016 Rv. 642020 – 01).

La Corte, in tale occasione, richiamando altro precedente (Cass. n. 13965/2016), ha valorizzato la seguenti circostanze:

– il fatto che l’atto impositivo conteneva, in ogni foglio, il numero della pagina e l’indicazione del numero di pagine totale; tale circostanza, invero, garantiva la contribuente sulla completezza e conformità del documento notificato, con il conseguente prodursi degli effetti sananti del raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c.;

– il fatto che non risultava dalla sentenza impugnata, nè era stato tempestivamente dedotto in sede di legittimità, il disconoscimento specifico della conformità dell’avviso di accertamento, prodotto in giudizio dalla controparte, con l’originale notificatole.

In virtù di tali considerazioni, i principi espressi dalla sentenza n. 23175/16 risultano pienamente applicabili anche al caso in esame, posto che la contribuente non risulta avere espressamente e specificamente contestato e disconosciuto la completezza e conformità dell’atto notificatole, e tantomeno la circostanza che l’atto impositivo riportasse, su ogni foglio, il numero della pagina e l’indicazione del numero di pagine totale, elementi idonei ad assicurare la completezza e conformità del documento notificato. Nè, ancora, nel proprio ricorso la parte ha dedotto di non avere potuto formulare tempestivamente domande ed eccezioni per non aver avuto conoscenza integrale dell’avviso stesso, difendendosi, anzi, con censure mirate in relazione allo specifico e completo contenuto dell’atto, onde deve ritenersi l’integrità dell’atto notificato, con il conseguente prodursi degli effetti sananti derivanti dal raggiungimento dello scopo.

2.3. Con il terzo motivo, la parte ricorrente lamenta il vizio di omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Secondo la ricorrente, la sentenza della CTR sarebbe viziata nella parte in cui ha ritenuto che il rilievo dell’Ufficio relativo all’anomala contabilizzazione delle rimanenze, essendovi discordanza fra gli importi di quelle di fine esercizio 2000 e di quelle iniziali dell’esercizio 2001, potesse mantenere rilevanza ai fini dell’anno oggetto di accertamento in contestazione (2003), in quanto indice di una “disordinata gestione contabile” legittimante l’attività accertatrice, in tal modo non solo facendo cattivo governo del principio di autonomia dei periodi di imposta t.u.i.r., ex art. 7, ma, altresì, errando nella ricostruzione del fatto storico, posto che tale anomalia non riguardava, per l’appunto, l’anno 2003.

Il motivo è infondato.

L’anomalia fra gli importi afferenti le rimanenze finali dell’esercizio 2000 e quelle iniziali dell’esercizio 2001, invero, come evidenziato dal tenore dell’avviso di accertamento debitamente riprodotto nel controricorso (e nel separato ricorso incidentale) dell’Agenzia, produceva “effetti distorsivi anche negli anni successivi”; il che è coerente con il criterio della continuità dei valori delle rimanenze di cui al t.u.i.r., art. 92, comma 7, (oltre che con l’art. 2423 bis c.c., n. 1, in tema di redazione del bilancio). Il passaggio motivazionale censurato recepisce tali indicazioni e rispetto ad esse è coerente, senza che, pertanto, possa essere ipotizzata alcuna violazione dell’autonomia dei periodi di imposta.

2.4. Il quarto motivo di ricorso richiama, parimenti, la censura di omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La ricorrente stigmatizza, in particolare, il disconoscimento della deducibilità di costi derivanti dalle prestazioni rese dalla società appaltatrice Edilizia & Territorio s.r.l., rappresentati da fatture per Euro 580.000,00 in relazione a lavori eseguiti nel cantiere della Zeio s.r.l. sito in (OMISSIS), via (OMISSIS). La CTR, invero, non aveva esaminato criticamente le ragioni di impugnazione, limitandosi ad affermare lapidariamente che “l’operato dell’ufficio appare corretto quanto all’esclusione di costi non direttamente imputabili e, su punto, le argomentazioni della contribuente appaiono generiche”.

Il motivo risulta fondato.

Invero, la sentenza non esplicita in alcun modo il ragionamento attraverso il quale si è ritenuto corretto l’operato dell’Ufficio, a fronte delle argomentazioni difensive formulate della contribuente.

In tal senso, deve riconoscersi che dall’estremamente scarno compendio giustificativo sviluppato a supporto della decisione è evincibile l’obiettiva carenza di esposizione dell’iter logico-argomentativo che ha portato i giudici di appello a regolare la vicenda in esame in base alla regola concretamente applicata.

In altri termini, la CTR, mediante la motivazione sopra illustrata, si è limitata ad enunciare soltanto il momento statico finale della valutazione alla stessa demandata, così incorrendo nel denunciato vizio. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, invero, “ai fini della sufficienza della motivazione della sentenza, il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perchè questo è il solo contenuto “statico” della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve anche descrivere il processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto “dinamico” della dichiarazione stessa. (Principio enunciato con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione vigente “ratione temporis”)”.(Sez. 6 – 5, n. 15964 del 29/07/2016, Rv. 640645 – 01; conforme Sez. 5, n. 32980 del 20/12/2018, Rv. 652058 – 01).

Nel medesimo senso, va annotato che anche l’ampio spazio che non soltanto la contribuente, ma anche la stessa Agenzia avevano dedicato avanti alla CTR (come si evince dai relativi contenuti riprodotti, ai fini di autosufficienza, negli atti diretti a questa Corte) per sostenere o avversare le ragioni fondanti la ripresa a tassazione rende ancora più evidente la ricchezza di elementi valutativi che le parti avevano offerto in esame dei giudici di appello, confermando a fortiori l’insufficienza della motivazione, resa dalla CTR in termini pressochè apodittici.

2.5. Il quinto motivo viene ricondotto al medesimo paradigma del vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento al punto relativo alla ripresa a tassazione di una nota di credito per Euro 340.000,00 emessa nei confronti della società B.B.S. s.r.l., in quanto l’Ufficio aveva ritenuto non adeguatamente documentata l’esistenza di rapporti di debito e credito fra le due società.

Il motivo è fondato.

Risulta, invero, che la contribuente aveva affermato non solo che la relativa documentazione era stata asportata dallo stesso Ufficio nel corso dei controlli, onde la Zeio s.r.l. non aveva potuto utilizzarla in sede di risposta ai questionari, ma soprattutto che l’esistenza di rapporti commerciali con la BBS s.r.l., relativi all’acquisto di un immobile da parte della stessa Zeio s.r.l., era riscontrata dall’esistenza di due versamenti, effettuati a titolo di acconto nel 2003 alla predetta controparte; inoltre, dalla contabilità e dal bilancio 2002 della Zeio s.r.l. emergevano fatture in acconto da BBS s.r.l. alla contribuente per complessivi Euro 331.645,69. Pertanto, la nota di credito a storno era ricollegabile, secondo l’odierna ricorrente principale, al mancato perfezionamento dell’operazione immobiliare.

L’Ufficio aveva contestato, invece, che gli importi non coincidevano e che non v’era alcun contratto preliminare o rogito di compravendita che fungesse da supporto probatorio a tale ricostruzione.

La CTR sul punto si è limitata a rilevare lapidariamente: “se ne conferma la contestazione operata dall’Ufficio stante l’assenza di chiarezza sulle ragioni che l’avrebbero determinata”, senza analizzare minimamente le questioni sottoposte al suo esame dalla contribuente nè spiegare le ragioni per le quali gli elementi offerti non contribuivano a dimostrare chiaramente la realtà dell’operazione.

In modo del tutto analogo a quanto riscontrato trattando del motivo precedente, l’estremamente scarno compendio giustificativo sviluppato a supporto della decisione denota l’obiettiva carenza di esposizione dell’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione sul punto, posto che la CTR si è limitata, anche in tal caso, ad enunciare soltanto il momento statico finale della valutazione alla stessa demandata, così incorrendo nel denunciato vizio.

3. Venendo ad esaminare il ricorso, da qualificarsi come incidentale, proposto dall’Agenzia, va rilevato che i relativi motivi superano, innanzitutto, le eccezioni formulate del controricorrente in relazione al rispetto del principio di autosufficienza, poichè la riproduzione pressochè integrale di atti e documenti – in particolare, dell’avviso di accertamento – è stata accompagnata dal puntuale richiamo, da parte dell’Agenzia ricorrente, degli specifici elementi posti a fondamento delle formulate censure, permettendone un’adeguata ed esauriente comprensione.

3.1. Con il primo motivo di gravame, l’Ufficio deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1385 e 2729 c.c. ss., D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo si censura la decisione impugnata sotto il profilo dell’insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, attesa la loro stretta connessione, afferiscono al rilievo relativo alla riqualificazione delle somme contabilizzate dalla Zeio s.r.l. quali “caparre confirmatorie” nel corso del 2003. L’Ufficio rilevava che non risultavano registrati nè rinvenuti in sede di accesso i preliminari di compravendita immobiliare cui ricondurre tali “caparre” per comprovarne l’esatta qualificazione e riqualificava di conseguenza le stesse come acconti sul prezzo, con relativi recuperi fiscali ed applicazione di sanzioni per tardiva fatturazione.

La CTR ha annullato la ripresa ritenendo la qualificazione come acconti sul prezzo frutto di “una serie concatenata di presunzioni che infrangono il divieto di presumere fatti veri da fatti presunti. Il regime fiscale applicato dal contribuente alla caparra appare, infatti, corretto nel senso che la fatturazione può essere regolarizzata al momento del rogito computando l’importo nel prezzo complessivo”.

3.2. Tanto premesso, i motivi appaiono nel loro complesso fondati.

La motivazione, invero, esprimendosi in modo non – dissimile da quanto riscontrato trattando dei motivi di ricorso principale oggetto di accoglimento, anche in ordine al punto in esame risulta pressochè apodittica, poichè non spiega in alcun modo quali sarebbero le presunzioni appartenenti alla evocata concatenazione seriale, per giunta alla luce della circostanza – che non appare contestata dell’inesistenza dei contratti preliminari di compravendita immobiliare.

In tale contesto, a fronte di specifiche deduzioni formulate dall’Ufficio tese a dimostrare che, in realtà, l’accertamento non aveva affatto utilizzato alcuna serie concatenata di presunzioni, ma aveva operato un ragionamento inferenziale che prevedeva un solo passaggio logico, essendo partito dai rilievi obiettivi costituiti della contabilizzazione delle somme quali caparre e dall’assenza dei contratti preliminari in cui queste caparre sarebbero state pattuite ed avendo inferito che le somme dovessero considerarsi come acconti, la CTR ha omesso, in modo evidente, di illustrare, in termini intellegibili, il percorso motivazionale che ha sorretto la decisione adottata, di cui, in sostanza, è palesato solo l’approdo finale.

Al tempo stesso, la CTR con la propria decisione ha finito per alterare il principio delineato dall’art. 2729 c.c., sotteso alle previsioni accertative del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, a fronte del fatto noto costituito dal versamento di una somma di denaro qualificata nella contabilità come caparra ed all’insussistenza di prova circa l’effettiva riconducibilità di tali somme alla funzione tipica d’ella caparra ex art. 1385 c.c., con particolare riferimento all’assenza dei contratti preliminari di vendita immobiliare.

3.3. Il terzo motivo ed il quarto motivo del ricorso incidentale devono essere oggetto di trattazione congiunta per ragioni di connessione.

In particolare, con il terzo motivo l’Ufficio deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 265, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla decisione in ordine al rilievo afferente i maggiori ricavi non dichiarati sulle vendite immobiliari effettuate dalla contribuente nel periodo in esame.

Afferma l’Ufficio che la CTR, limitandosi a condividere le ragioni già fatte proprie dalla CTP, ha affermato che l’accertamento era illegittimo in quanto le norme applicate (in particolare, il D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 2, conv. con L. n. 248 del 2006), non avendo natura meramente procedurale, non potevano essere applicate retroattivamente.

In realtà, risultava che l’avviso di accertamento aveva evidenziato analiticamente nell’avviso di accertamento (debitamente riprodotto ai fini del rispetto del principio di autosufficienza), un compendio di indizi gravi, precisi e concordanti che consentivano la ricostruzione di maggiori ricavi derivanti dalla vendita di appartamenti costruiti dalla contribuente. L’accertamento, in altri termini, non si era affatto fondato unicamente sulla discrepanza fra prezzo praticato e valore normale ed anzi, il riferimento a tale criterio, previsto dall’art. 35, comma 2, citato e fondato sul parametro di riferimento costituito dai valori O.M.I., era servito non già quale criterio automatico per individuare sic et simpliciter materia imponibile occultata, ma come semplice parametro economico per concretizzare il quantum dell’evasione, essendo stato il fondamento sostanziale della stessa accertato sulla base anche di altri elementi indiziari, chiaramente evincibili, come detto, dall’avviso di accertamento.

Nella medesima dimensione argomentativa, l’Agenzia ha, altresì, sottolineato che la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 265, aveva introdotto una norma di interpretazione autentica per cui per gli atti formati anteriormente al 4.7.2006 le suddette presunzioni del D.L. n. 223 del 2006, cit. ex art. 35 e art. 23-bis, valevano a tutti gli effetti come presunzioni semplici.

Con il quarto motivo, la ricorrente evidenzia il vizio di insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rilevando che la CTR non ha minimamente preso in considerazione e valutato la rilevanza degli elementi indiziari evidenziati nell’avviso di accertamento.

3.4. Ciò posto, i motivi sono entrambi fondati.

Va premesso che, in subiecta materia, alla disciplina del D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, convertito in L. n. 248 del 2006, – che, integrando il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 comma 1, lett. d), e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, attribuiva valore di presunzione legale al valore normale dell’immobile risultante dalle quotazioni O.M.I. al fine della determinazione del corrispettivo di cessione del cespite immobiliare – è seguita la disciplina introdotta dalla L. n. 244 del 2007, che, per le fattispecie negoziali insorte in epoca anteriore alla normativa del 2006, dispose all’art. 1, comma 265, che “In deroga alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, comma 2, per gli atti formati anteriormente al 4 luglio 2006 deve intendersi che le presunzioni di cui al D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, commi 2 e 3, e art. 23-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, valgano, agli effetti tributari, come presunzioni semplici”. Infine, la L. n. 88 del 2009, (L. comunitaria 2008) con l’art. 24, comma 5, è intervenuta di nuovo sull’art. 39 cit., eliminando la presunzione legale introdotta dal citato art. 35, ed ogni riferimento al valore normale quale strumento di accertamento automatico sulle compravendite immobiliari.

In tale quadro interpretativo, questa Corte, con orientamento consolidato, ha affermato che, a seguito delle modifiche apportate ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, ha eliminato la citata presunzione legale relativa al D.L. n. 223 del 2006, ex art. 35, comma 3, è stato ripristinato il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti” (cfr. Sez. 5, n. 9474 del 12/04/2017, Rv. 643928 – 01; Sez. 5, n. 11439 del 11/05/2018, Rv. 648075 – 02).

In tal senso (cfr. da ultimo Sez. 5, n. 2155 del 25/01/2019 (Rv. 652213 – 01), si è precisato che “nell’ipotesi di contestazione di maggiori ricavi derivanti dalla cessione di beni immobili, la reintroduzione, con effetto retroattivo, della presunzione semplice, ai sensi della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, (L. comunitaria 2008), che ha modificato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, sopprimendo la presunzione legale (relativa) di corrispondenza del prezzo della compravendita al valore normale del bene, introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, conv. in L. n. 248 del 2006, non impedisce al giudice tributario di fondare il proprio convincimento su di un unico elemento, purchè dotato dei requisiti di precisione e di gravità, elemento che non può, tuttavia, essere costituito dai soli valori OMI, che devono essere corroborati da ulteriori indizi, onde non incorrere nel divieto di “presumptio de presumpto”.

Nella specie, risulta che l’avviso di accertamento (come riportato nel ricorso in ossequio al principio di autosufficienza) evidenziava una pluralità di elementi indiziari posti alla base dell’accertamento, con particolare riferimento alla irregolarità della contabilità della contribuente per mancanza di corrispondenza fra rimanenze finali di un esercizio e rimanenze iniziali di quello successivo a partire dal 2000 e per tutti gli anni successivi; alla mancata tenuta di prospetti riguardanti le opere di durata ultrannuale t.u.i.r., ex art. 93, comma 6, (già art. 60); alla mancanza di redditività della contribuente anche negli anni (2003 e 2004) in cui erano state realizzate le vendite del fabbricato di via (OMISSIS); all’inattendibilità della contabilità tenuta con la Edilizia e Territorio s.r.l., fornitrice di prestazioni di lavori per costruzioni della Zeio s.r.l.; alla gestione antieconomica del conto cassa; all’esistenza di vendite a costi inferiori a quelli di acquisto e ristrutturazione, in favore di soggetto socio della società stessa.

3.5. Tali elementi, e la loro rilevanza e concludenza sul piano probatorio, non sono stati in alcun modo considerati dalla CTR nell’annullare l’accertamento, motivato sulla base della semplice inapplicabilità dell’art. 35 citato.

Con ciò la CTR, da un lato, è incorsa nell’anzidetto vizio motivazionale, non avendo esaminato criticamente gli elementi di cognizione e valutazione forniti dall’Ufficio a sostegno della non congruità dei prezzi di vendita dichiarati rispetto a quelli effettivi nè avendo spiegato per quali motivi gli stessi fossero eventualmente inidonei ad orientare la decisione; dall’altro, la decisione della Commissione regionale, per come formulata, si è risolta nel ritenere sostanzialmente preclusa per l’Ufficio la possibilità di effettuare un accertamento analitico-induttivo secondo le regole “ordinarie”, indipendentemente dall’ormai inapplicabile meccanismo presuntivo del valore normale: in tanto può, altresì, individuarsi la dedotta violazione di legge.

In tale quadro, va ulteriormente aggiunto che le argomentazioni formulate ex adverso dalla contribuente nel proprio controricorso fuoriescono dall’ambito del giudizio di legittimità, in quanto dirette a contestare nel merito la rilevanza probatoria dei singoli elementi indiziari fatti valere dall’Ufficio; valutazione preclusa nella presente sede e che dovrà, semmai, competere alla CTR in sede di giudizio di rinvio.

4. In conclusione, il ricorso principale della Zeio s.r.l. in liquidazione deve essere accolto relativamente ai motivi nn. 4 e 5, e va rigettato nel resto, nei termini di cui in motivazione; il ricorso incidentale dell’Agenzia delle entrate va, nel suo complesso, accolto. La sentenza impugnata deve essere conseguentemente annullata, in relazione ai motivi di ricorso principale ed incidentale accolti, con rinvio alla CTR della Toscana, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale, che rigetta nel resto; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla CTR della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2019

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