Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23675 del 21/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 21/11/2016, (ud. 08/09/2016, dep. 21/11/2016), n.23675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27998-2012 proposto da:

C.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI GRACCHI 278, presso lo studio dell’avvocato STUDIO SILVESTRI

RASILE, rappresentato e difeso dall’avvocato ERMANNO MARTUSCIELLO;

– ricorrente –

contro

G.C., G.G., Z.E., GR.GE.,

G.I., G.E. elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO

172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, rappresentati

e difesi dall’avvocato FRANCESCO DI CIOLLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4475/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

uditi gli Avvocati Sorabella, per delega dell’avvocato Martusciello,

e Matronola, per delega dell’avvocato Di Ciollo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato al Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina, in data 11/10/2001, Z.E., G.G., G.C., Gr.Ge.. G.I., G.E. esponevano: di essere proprietari e compossessori di un terreno sito in agro del comune di (OMISSIS), foglio (OMISSIS), mappale (OMISSIS), con annesso fabbricato per civile abitazione di proprietà e nel possesso esclusivo del signor G.G.; che in data 22/9/2001 alcuni operai dell’impresa Cimino, incaricati da C.C., avevano realizzato un’invasione arbitraria di una porzione di tale terreno, sbancandone parte e devastando la vegetazione di macchia mediterranea; che tale fatto, denunciato al Corpo Forestale, sostanziava gli estremi dello spoglio o quanto meno della molestia.

Perciò i ricorrenti chiedevano di accertare la loro qualità di possessori del terreno oggetto di causa e che venisse ordinato al C. di reintegrarli nel possesso, di ripristinare lo stato dei luoghi, di inibirlo per il futuro al compimento di ulteriori atti lesivi e di condannarlo al risarcimento dei danni.

Costituitosi in giudizio, C.C. contestava il possesso dei ricorrenti, chiedendo il rigetto della domanda dagli stessi avanzata e proponendo domanda riconvenzionale per ottenere la liberazione della strada da lui realizzata coi denunciati lavori, in quanto sbarrata dalle controparti.

Espletata l’istruzione, con ordinanza del 1/2/2002 il Tribunale di Latina accoglieva la richiesta di provvedimento interdittale. Il provvedimento era oggetto di reclamo ed era revocato dal collegio con ordinanza del 30/5/2002.

Veniva così iniziata la causa di merito, all’esito della quale la domanda di reintegrazione era rigettata con sentenza n 556/2003, ritenendo non provato il possesso dei ricorrenti sul tratto di strada in contestazione.

Avverso tale sentenza proponevano appello Z.E., G.G., G.C., Gr.Ge., G.I. e G.E.. Si costituiva l’appellato, chiedendo il rigetto del gravame.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 4475/2011 del 26 ottobre 2011, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva la domanda di Z.E., G.G., G.C., Gr.Ge., G.I. e G.E. di reintegrazione nel possesso di parte della particella (OMISSIS) (già (OMISSIS)), interessata dai lavori di costruzione di una strada da parte di C.C., ordinandosi a quest’ultimo di astenersi dall’esercizio del passaggio sul tracciato realizzato e di ripristinare lo stato dei luoghi, mediante posa in opera di terreno torboso nonchè del muro a secco, già posto al confine tra la particella (OMISSIS) e la sua proprietà. La Corte di Roma riteneva che la documentazione prodotta e le deposizioni testimoniali comprovassero una risalente situazione di possesso in capo ai ricorrenti dell’area costituita dalla particella (OMISSIS) (da cui sono state create per frazionamento le particelle nr. (OMISSIS)), di proprietà del Comune di Fondi e oggetto di usi civici.

Nei confronti della sentenza della Corte d’Appello di Roma, C.C. ha proposto ricorso articolato in sei motivi, cui resistono con controricorso Z.E., G.G., G.C., Gr.Ge., G.I. ed G.E.. Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso di C.C. denuncia violazione della L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 30 e dell’art. 37 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1. Vi si assume che G.G. avesse presentato in data 29-30/06.2000 domanda di legittimazione L. 16 giugno 1927, n. 1766, artt. 9 e 10 per la particella (OMISSIS) e che, poichè la contestazione di cui al presente giudizio riguarda il possesso del medesimo fondo, contestato fra parti private, la relativa giurisdizione appartenga al Commissario Liquidatore degli usi civici, ai sensi della stessa L. n. 1766 del 1927, art. 30.

1.1. Il primo motivo è inammissibile, consistendo in un’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità, a fronte del giudicato implicito formatosi, pertanto, sulla pronuncia di merito, atteso che la questione non risulta essere stata sollevata nei gradi anteriori di giudizio (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9693 del 22/04/2013).

2. Il secondo motivo di ricorso di C.C. censura la violazione degli artt. 342 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Si assume che l’atto di appello consistesse in “una affestellata ed incomprensibile congerie di argomentazioni, in massima parte riferentesi a contestazioni relative all’ordinanza del 30.05.2002”, resa in sede di reclamo, con solo “qualche accenno a dichiarazioni testimoniali assunte nel corso del primo giudizio ed ai documenti ivi prodotti”.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Con tale censura si denuncia, infatti, puramente e semplicemente la “violazione di legge”, con riguardo agli artt. 342 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, senza fare alcun riferimento alle conseguenze che l’inosservanza di tali norme processuali comporta, ovvero alla nullità della sentenza e/o del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) (Cass. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).

D’altro canto, lo stesso secondo motivo viola l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, giacchè non riporta in ricorso i motivi di appello denunciati di genericità neppure nei loro elementi essenziali, in maniera da orientare l’esame diretto dell’atto di appello da parte di questa Corte.

La Corte d’Appello di Roma in sentenza ha comunque motivato nel senso che gli appellanti avessero, con le loro censure, sufficientemente delimitato l’ambito della cognizione del giudice del gravame, e perciò consentito la verifica delle critiche mosse alla pronuncia di primo grado, avendo “ritenuto l’insufficienza delle emergenze processuali nonostante le chiare emergenze documentali e testimoniali attestanti una loro situazione possessoria”, della quali “riportano i dati salienti”.

3. Il terzo motivo di ricorso censura violazione falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 822, 824, 1145 e 1168 c.c. Si contestano gli elementi probatori dai quali la Corte d’Appello ha tratto conferma del possesso dei signori Z. e G. sulla particella (OMISSIS), ovvero, più in particolare, sull’area su cui era stato effettuato lo sbancamento da parte del C.. Si evidenzia come si trattasse di fondo demaniale di proprietà comunale gravato da usi civici di pascolo e legnatico. Si nega l’uso speciale di tale fondo vantato dai ricorrenti possessorio. Si esclude che potessero valere come prove del vantato possesso le istanze proposte alla Pubblica Amministrazione dai signori Z. e G.. Si ammette che l’unica forma di possesso delle controparti emergente dalla sentenza impugnata consisteva nella pulizia saltuaria dell’area, giacchè coperta da vegetazione spontanea, laddove in più atti del giudizio si afferma che i luoghi di causa fossero coperti da macchia mediterranea o vegetazione.

4. Il quarto motivo di ricorso allega il vizio di motivazione sempre sul possesso riconosciuto ai ricorrenti. Si trascrivono le pagine della sentenza d’appello che fanno riferimento ai documenti ed alle testimonianze su cui la Corte di Roma ha fondato il proprio convincimento, e se ne contesta la valutazione, concludendo, all’opposto, che gli stessi elementi istruttori deponessero per l’assoluta libertà dell’area in questione, non coltivata, anzi coperta da macchia mediterranea e vegetazione spontanea, separata dall’abitazione di G.C., madre di Zi.En., come dall’abitazione di G.G., non percorsa nè percorribile per l’inesistenza di tracciati, di natura demaniale e di uso civico, pertanto evidentemente relitta.

5. Il quinto motivo di ricorso denuncia ancora un vizio di motivazione, con riguardo stavolta alla scrittura privata intervenuta nel 1967 tra Gr.Gu., ascendente dei ricorrenti, e la figlia C., madre dello Z.. In tale documento Gr.Gu. si dichiara affittuario della particella (OMISSIS) per effetto di concessione del Comune di Fondi del 1924. Ciò ingenererebbe il dubbio se i ricorrenti fossero detentori qualificati, per derivazione dal contratto di affitto, o possessori dell’area in questione, e la sentenza della Corte di Roma contraddittoriamente farebbe così riferimento a volte al possesso, a volte alla detenzione della famiglia G..

6. Il sesto motivo del ricorso di C.C. assume l’omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione circa l’animus spoliandi presunto dalla Corte di appello in capo al C.. A smentire l’animus spoliandi vengono richiamati gli stessi elementi di fatto elencati nel quarto motivo.

6.1. I motivi dal terzo al sesto del ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi tra loro.

Di essi, soltanto il terzo motivo ipotizza una violazione di legge, in particolare con riguardo agli artt. 822, 824, 1145 e 1168 c.c., mentre i restanti denunciano tutti vizi della motivazione. In realtà, lo stesso terzo motivo, che nella sua rubrica fa questione di violazione e falsa applicazione delle norme del Codice Civile in tema di demanio pubblico, di beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali, di possesso di cose fuori commercio e di azione di reintegrazione, nella sua esposizione non indica poi le specifiche argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumano in contrasto con l’interpretazione di tali disposizioni di legge fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina. Perchè ricorra il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, occorre, invero, dimostrare la sussistenza di un’erronea ricognizione interpretativa, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge. Le considerazioni svolte nel terzo motivi di ricorso, invece, allegano un’erronea, carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze probatorie di causa, smentendo la ravvisabilità del possesso della particella (OMISSIS) vantato dai signori Z. e G., e dunque riguardano una critica esterna all’esatta interpretazione delle norme sostanziali, inerente, piuttosto, alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (nella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui applicabile, antecedente alle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

In diritto, va comunque premesso come, secondo consolidato orientamento di questa Corte, sia esperibile tra privati l’azione di spoglio o di manutenzione nel possesso di beni demaniali, ai sensi dell’art. 1145 c.c., commi 2 e 3, sia che appartengano allo Stato, che a province o comuni (ovvero, nella specie, di fondo rientrante nel demanio comunale gravato da uso civico), sempre che ricorrano in concreto gli estremi soggettivi, oggettivi e temporali, previsti in via generale dagli artt. 1168 e 1170 c.c., e quando su tali beni siano stati compiuti atti di godimento analoghi a quelli eventualmente esercitati su cose di pertinenza esclusiva. Non rileva in senso contrario il fatto che tale godimento sia stato esercitato in mancanza di un qualsiasi atto di concessione legittimante una particolare forma di utilizzazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 650 del 20/01/1993; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9873 del 15/06/2012; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14791 del 24/06/2009; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7264 del 27/03/2006).

Ora, nella sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Roma ha indicato gli elementi che ne hanno sorretto il convincimento circa la sussistenza del possesso vantato dai ricorrenti Z.E., G.G., G.C., Gr.Ge., G.I., G.E. sul terreno contraddistinto come particella (OMISSIS), già (OMISSIS), di proprietà del Comune di Fondi e gravato da usi civici, possesso di cui gli stessi sarebbero stati spogliati a seguito dell’attività posta in essere dal C. di sbancamento, di scavo e di distruzione della maceria secolare esistente per la realizzazione di una strada carrabile. I giudici del merito hanno evidenziato come sulla particella (OMISSIS) (dalla quale erano state create per frazionamento le particelle numero (OMISSIS)) sia G.G. che G.C., madre dello Z., avessero costruito le loro abitazioni. Sicchè il primo nel 1970 e nel 1990 aveva proposto istanze al Comune di Fondi per l’ottenimento di concessioni edilizie in relazione ad abitazione insistente sulla particella (OMISSIS); mentre la seconda aveva avanzato, in data 5/5/1986, richiesta di alienazione di terreno di proprietà collettiva di uso civico, ai sensi della L.R. Lazio 3 gennaio 1986, n. 1, art. 8 con riguardo alla particella (OMISSIS), assumendo di avervi costruito nel 1950 un fabbricato. Il 30/6/2000 G.G. aveva poi indirizzato all’Ufficio Usi civici del Comune di Fondi domanda di legittimazione per porzione della particella (OMISSIS), e di seguito ulteriore istanza di alienazione o, in subordine, di concessione del diritto di superficie del terreno ove insisteva il fabbricato. La Corte d’Appello menzionava altresì una scrittura privata intervenuta nel 1967 tra Gr.Gu., ascendente dei ricorrenti, e la figlia C., madre dello Z., con cui il primo, dichiaratosi affittuario della particella (OMISSIS) per una superficie di are 72,00, concessagli dal Comune di Fondi dal 1924, cedeva alla stessa figlia parte del contratto, in relazione all’area oggi contraddistinta dalla nuova particella (OMISSIS). La sentenza d’appello cita, quindi, i testi L., D., La., Z.T. e S., i quali avevano dichiarato che i fratelli G. erano nati sul terreno oggetto di causa, che gli stessi coltivavano e detenevano quei terreni, che la striscia in contestazione non presentava sentieri pedonali (dato confermato pure nella perizia espletata nel procedimento penale svoltosi nei confronti del C. e nel rilievo aerofotogrammetrico), ed era ricoperta di vegetazione spontanea, ma veniva periodicamente pulita dai fratelli G. e dal padre dello Z..

Nè ha specifica rilevanza la pendenza del procedimento di legittimazione L. 16 giugno 1927, n. 1766, ex artt. 9 e 10 non trattandosi, nel caso di specie, di controversia insorta fra il soggetto che abbia chiesto la legittimazione ed altro soggetto, che lamenti di essere stato escluso dal godimento dei diritti di uso civico sui terreni di cui trattasi, sicchè la risoluzione della medesima controversia implichi la necessità di decidere in ordine all’esistenza, alla natura e all’estensione di quei diritti (Cass. Sez. U, Sentenza n. 298 del 27/05/1999). Si ha qui riguardo, piuttosto, a controversia tra privati relativa alla reintegrazione o manutenzione del possesso di fondo per il quale sia in corso il procedimento di legittimazione dell’occupazione di cui all’art. 9 Legge sul riordino degli usi civici, il che rende non configurabile qualsiasi rapporto di pregiudizialità rispetto alle operazioni commissariali (attinenti alla legittimazione dell’occupazione), in quanto la tutela invocata è diretta ad assicurare il mero ripristino della situazione di fatto anteriore, senza nessun pregiudizio delle pretese delle parti nei confronti dell’ente titolare del demanio civico (Cass. Sez. U, Sentenza n. 1507 del 09/03/1982; si vedano anche, peraltro, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 10813 del 25/05/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 6760 del 12/12/1988; Cass. Sez. U, Sentenza n. 519 del 19/01/1991).

Tutto ciò ha indotto la Corte di Roma a ritenere provata una relazione di fatto esistente da anni tra i G. ed il terreno, sia per effetto del contratto di affitto agrario che quali occupatori abusivi della maggior superficie comprendente la striscia in contestazione, consistente in pochi metri quadri.

La consapevolezza del C. di ledere il possesso dei ricorrenti è stata poi tratta, nella sentenza impugnata, dalle modalità della condotta dello stesso, sia per la mancanza delle necessarie autorizzazioni, sia per la distruzione della maceria di confine, che avrebbe dovuto senz’altro allertarlo in ordine all’invasione attuata, sia per lo scavo sul declivio della particella ove insiste l’abitazione di G.G., sia dall’apertura della strada a ridosso dell’abitazione della madre dello Z..

Non può non condividersi la soluzione proposta dalla Corte d’Appello, giacchè la costruzione e il godimento di opere stabilmente insistenti sul suolo, come pure la coltivazione e la sistematica pulizia di un fondo, comprovano l’esistenza di un potere di fatto sulla cosa sovvertito dall’altrui comportamento violento, presupposto sufficiente per la proponibilità dell’azione di reintegrazione del possesso, senza che ulteriormente rilevi, nel caso in esame, l’esistenza, la validità o l’efficacia di un autonomo titolo di detenzione dello stesso bene, o l’esito dei procedimenti amministrativi relativi alla legittimazione del possesso del terreno, giacchè gravato da uso civico, o all’ottenimento dei titoli abilitativi edilizi. Può poi legittimamente presumersi la sussistenza nell’agente dell’animus spoliandi in conseguenza del solo fatto di avere privato del godimento della cosa il possessore contro la sua volontà anche tacita, indipendentemente dalla convinzione del medesimo di operare secondo diritto. Ne consegue che la ricorrenza dell’elemento soggettivo può essere esclusa soltanto quando risulti provato – ma il relativo onere grava sul convenuto e non sullo spogliato – il ragionevole convincimento dell’autore dello spoglio dell’esistenza di un consenso del possessore alla modifica o alla privazione del suo possesso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2957 del 14/02/2005; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2525 del 21/02/2001).

Nel terzo, nel quarto, nel quinto e nel sesto motivo, il ricorrente propone, invece, di seguire una diversa ricostruzione del materiale di causa, essenzialmente insistendo per una valorizzazione dello stato dei luoghi emergenti dalle testimonianze, e reputando decisivo a smentire il possesso delle controparti il sol fatto che il terreno fosse ricoperto di vegetazione spontanea o di macchia mediterranea e che mancasse ogni sentiero percorribile. E’ allora al riguardo decisivo considerare che, in tema di azione di reintegrazione, l’accertamento dello spoglio, sia in ordine alla proponibilità dell’azione a tutela del possesso che ai presupposti di fatto ed alle condizioni soggettive ed oggettive richieste dalla legge, comportando la valutazione delle risultanze istruttorie, rientra nei poteri istituzionali del giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità, se sorretto, come nel caso in esame, da motivazione esente da vizi logici od errori giuridici. Parimenti riservate al giudice del merito, in quanto involgono accertamenti di fatto, sono l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, la valenza probatoria di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base alle quali il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato. Il controllo di legittimità demandato a questa Corte non è configurabile come terzo grado di giudizio, nel quale possano essere ulteriormente valutate le istanze e le argomentazioni sviluppate dalle parti ovvero le emergenze istruttorie acquisite nella fase di merito, mediante proposta di ricostruzioni alternative dei fatti di causa rispetto a quelli accertati nella sentenza impugnata.

Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi 2.700,00, di cui 200.00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2016

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