Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23674 del 21/11/2016

Cassazione civile sez. II, 21/11/2016, (ud. 08/09/2016, dep. 21/11/2016), n.23674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28388-2012 proposto da:

D.R.M.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA VALADIER 36, presso lo studio dell’avvocato MARIA

RAFFAELLA DALENA, rappresentata e difesa dall’avvocato ANNA MARIA

BORGIA;

– ricorrente –

contro

R.W., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA P. ALOISI 29,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO BERNARDINO TEMPESTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO D’AMBROSIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 594/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 12/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/09/2016 dal Consigliere Don. ANTONIO SCARPA;

uditi gli Avvocati Cozzi, per delega dell’avvocato Borgia, e

Ambrosio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, il quale ha concluso per l’inammissibilità o

in subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Lecce, adita quale giudice di rinvio a seguito dell’ordinanza di questa Corte, la quale aveva cassato la sentenza n. 797/2008 della medesima Corte di Lecce, depositata il 29 dicembre 2008, ha rigettato, con sentenza n. 594/2012 del 12 settembre 2012, l’appello proposto da D.R.M.A. avverso la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Lecce il 30 dicembre 2004.

La controversia aveva avuto inizio con ricorso del 1 dicembre 1987 proposto da R.W. nei confronti di D.R.M.A. davanti al Pretore di Gallipoli, volto alla reintegrazione nel possesso di uno stanzino posto al piano ammezzato tra la cucina dell’abitazione del R., sita a piano terra, e un vano di proprietà D.R., denunciandosene lo spoglio commesso mediante apertura di una botola. Emesso il provvedimento interdittale, lo stesso era stato poi confermato dal Tribunale di Lecce con la sentenza del 30 dicembre 2004. La Corte d’Appello di Lecce aveva, però, con la decisione del 2008, riformato la pronuncia di primo grado, rilevando che il R. aveva sostenuto di esercitare il possesso del vano salendovi dall’esterno, con scaletta a pioli, attraverso una piccola apertura; il che convinceva il collegio del gravarne a negare tutela ad un siffatto “possesso mediante arrampicamento”, non potendo, secondo la Corte di merito, il proprietario esercitare in modo così anomalo l’accesso ai propri beni.

R.W. aveva impugnato la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Lecce il 29 dicembre 2008 con due successivi ricorsi per cassazione, entrambi tempestivi, un primo dichiarato inammissibile, ed un secondo accolto con l’ordinanza 4 gennaio 2011, n. 181, di questa Corte, che definiva palese l’errore relativo all’affermazione dell’impossibilità di configurare il possesso di un vano ammezzato in relazione alle modalità anomale di accesso. Spiegava la Suprema Corte come l’accesso al bene immobile potesse, infatti, rilevare ai fini di valutare la prova dell’esercizio di quel potere di fatto sulla cosa che caratterizza il possesso tutelabile, ma non precludere in linea di principio la configurabilità del possesso stesso. Un bene immobile può essere, infatti, posseduto anche accedendovi scomodamente. Nella specie, affermava l’ordinanza n. 181/2011, l’obiettiva situazione del vano, intermedio tra i due appartamenti posti al piano terra e primo piano, rende pressochè necessario un accesso disagiato. La sentenza n. 797/2008 della medesima Corte di Lecce veniva, pertanto, cassata, e la causa rimessa al giudice di rinvio, perchè riesaminasse il materiale istruttorio sulla base del seguente principio di diritto: “Il possesso di un immobile – nella specie vano ammezzato – è configurabile anche qualora l’accesso al medesimo avvenga attraverso arrampicamento mediante scala a pioli, potendo queste modalità di accesso influire nella valutazione dell’esercizio del possesso del bene, ma non escluderlo a priori”.

La Corte di Lecce, nella sentenza resa all’esito del giudizio di rinvio, ha così invocato le risultanze dell’ispezione dei luoghi, che aveva acclarato come il R. avesse accesso al vano sopraelevato attraverso una finestrella di cm 40 x cm. 60, raggiungibile dalla scala, e che la D.R., proprietaria del vano soprastante, aveva demolito il pavimento di quest’ultimo ed aperto una botola per accedere allo spazio controverso. L’informatore Schirinzi, inoltre, aveva riferito di aver visto più volte il genero ed il figlio del R. introdursi nel vano salendo su di una scala. Ciò ha indotto la Corte d’Appello a ritenere provato il possesso di R.W. e lo spoglio della D.R..

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce n. 594/2012 del 12 settembre 2012, D.R.M.A. ha proposto ricorso articolato in tre motivi, cui resiste con controricorso R.W..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va premesso che non sussiste la causa di astensione obbligatoria dall’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4, allorchè, come nel presente giudizio di cassazione avente ad oggetto sentenza pronunciata dal giudice di rinvio, il collegio sia composto da magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, non determinandosi in tal caso alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice (così Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013).

1. Il primo motivo di ricorso di D.R.M.A. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 e 1168 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Vi si afferma testualmente che la Corte d’Appello di Lecce “avrebbe dovuto, più attentamente, valutare la sussistenza del presunto possesso del bene in capo al sig. R.W. e l’esercizio da parte dello stesso. E ciò sia in relazione alle assunte modalità di esplicazione del possesso sia in relazione alle risultanze istruttorie in atti…”. Si assume nel primo motivo che l’arrampicamento mediante una scala mobile a pioli e tramite una luce di cm 40 x cm. 60 sia “di per sè, umanamente impossibile”.

1.1. Il primo motivo è del tutto infondato. Nella sua rubrica si fa questione di violazione e falsa applicazione delle norme del Codice Civile in tema di possesso o e di azione di reintegrazione, ma nell’esposizione il motivo non indica poi le specifiche argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumano in contrasto con l’interpretazione di tali disposizioni di legge fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina. Perchè ricorra il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, occorre, invero, dimostrare la sussistenza di un’erronea ricognizione interpretativa, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge (cfr. di recente, Cass. Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015). Le considerazioni svolte nel primo motivo di ricorso, invece, allegano un’erronea, carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze probatorie di causa, smentendo la ravvisabilità del possesso dell’ammezzato con le modalità descritte in sentenza; là dove, come evidenziato pure col principio di diritto contenuto nell’ordinanza n. 181/2011, sotto un profilo giuridico non è di ostacolo all’astratta configurabilità del possesso di un bene, tutelabile mediante azione di reintegrazione, la circostanza che il relativo potere di fatto sia esercitabile in maniera difficoltosa, dovendo lo stesso essere determinato in riferimento alle peculiari caratteristiche ed alla situazione dei luoghi. Le considerazioni svolte nel primo motivo di ricorso riguardano, invece, una critica esterna all’esatta interpretazione delle norme sostanziali, inerente, piuttosto, alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

2. Il secondo motivo di ricorso deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine alle “modalità, stabili e comode (comunque agevolmente possibili), di accesso nel vano ammezzato in questione da parte della sig.ra D.R.M.A.”. Si definisce la riscontrata botola con griglia in ferro sollevabile per consentire l’ispezione delle tubature “prova inconfutabile dell’esistenza del possesso del vano in questione in capo alla sig.ra D.R.M.A.”. 2.1. Tale secondo motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata è stata pubblicata il 12 settembre 2012. Questa Corte ha già affermato come il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio ex art. 383 c.p.c., rimane disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all’epoca della proposizione dell’impugnazione. Sicchè, essendo stata la sentenza conclusiva del giudizio di rinvio davanti alla Corte d’Appello di Lecce pubblicata successivamente al trentesimo giorno da quello di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, trova qui applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella nuova formulazione introdotta dell’art. 54, comma 1, lett. b) suddetto D.L. n. 83 (Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 26654 del 18/12/2014; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10693 del 24/05/2016).

Come autorevolmente interpretato da Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, pertanto, il riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, onera il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Il secondo motivo di ricorso, invece, si sforza di contrapporre le circostanze di fatto dell’accesso nel vano ammezzato dalla proprietà D.R.M.A. alla avverse prove del possesso del R. valorizzate dal giudice del merito, in maniera da dimostrare che la ricorrente non avesse violato l’altrui possesso, ma operato nell’ambito del proprio possesso, così però richiedendo inammissibilmente un sindacato in sede di legittimità della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria delle risultanze processuali ritraibili dallo stato dei luoghi.

111.I1 terzo motivo di ricorso concerne violazione e falsa applicazione degli artt. 817, 818, 900 e 901 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si denuncia che la Corte di Lecce, giudice di rinvio, non abbia considerato l’evidente rapporto pertinenziale del vano ammezzato con il sovrastante appartamento di proprietà D.R., comprovato dalla presenza della botola, di tal che esso non poteva essere nel possesso di proprietari di altre unità immobiliari.

3.1. Tale motivo è infondato in quanto, al pari del primo, deduce in rubrica violazione e falsa applicazione di norme sostanziali in terna di pertinenze e di luci, ma poi non espone un’erronea ricognizione interpretativa, da parte della sentenza impugnata, delle astratte fattispecie legislative indicate, ed ipotizza, piuttosto, una cattiva valutazione delle risultanze istruttorie con riferimento al possesso dell’ammezzato.

Come in precedenza spiegato, neppure può essere in astratto d’ostacolo alla ravvisabilità in capo al R. del possesso dell’ammezzato con le modalità descritte in sentenza la circostanza che esso fosse destinato a pertinenza rispetto ad un altro bene, ove comunque il medesimo bene si rivelasse idoneo ad essere di fatto utilizzato pure accedendovi dal vano sottostante: nè rileva che l’accesso di fatto venisse praticato per il tramite di una finestra che presentasse, o meno, i caratteri previsti dall’art. 901 c.c..

Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

Il controricorrente ha proposto domanda di risarcimento per responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., comma 3. E’ tuttavia applicabile nel presente giudizio, ratione temporis, l’art. 385 c.p.c., comma 4, del quale non sussiste comunque il presupposto della colpa grave, necessario a legittimare la condanna a carico della soccombente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2016

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