Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23672 del 21/11/2016

Cassazione civile sez. II, 21/11/2016, (ud. 08/09/2016, dep. 21/11/2016), n.23672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21296/2012 proposto da:

M.D., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

G MAZZINI 88, presso lo studio dell’avvocato CHIARA TAGLIAFERRO, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENRICO RUGGERI,

MATTEO TAMAGNO, RAFFAELE SPERATI, FRANCESCO MISURALE;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE – ASL (OMISSIS) DI ALESSANDRIA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO 8, presso lo studio

dell’avvocato SILVIA VILLANI, rappresentato e difeso dagli avvocati

MARIA DANIELA COGO, CARLO CASTELLOTTI, ELIO GIANNI GARIBALDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 546/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 23/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/09/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato SPERATI Raffaele, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato GARIBALDI Elio Gianni, difensore del resistente che

si riporta agli atti depositati;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 3/7/06 l’azienda sanitaria Asl (OMISSIS) di Alessandria proponeva opposizione avverso il ricorso ex art. 1159 bis c.c., notificatole da M.D. per far dichiarare l’acquisto per usucapione speciale di terreni ubicati in (OMISSIS) e contraddistinti nel foglio (OMISSIS) del catasto terreni di (OMISSIS) con i numeri di particella (OMISSIS), contestualmente esercitando l’azione di rivendicazione di detti terreni e chiedendo la condanna del M. al rilascio dei medesimi.

Il tribunale rigettava l’opposizione e le altre domande dell’Asl e, in accoglimento del ricorso del M., dichiarava che quest’ultimo aveva acquistato per usucapione speciale i terreni in questione.

La corte d’appello di Torino, adita dalla Asl, ha riformato la sentenza di primo grado e, rigettata la domanda di usucapione del M., ha accolto la domanda di rivendicazione della Asl e condannato il M. al rilascio dei terreni. La corte d’appello sostiene che dall’istruttoria orale emergerebbe che l’usufruttuario dei terreni in questione, signor P.C., aveva autorizzato il M. a coltivare tali terreni “al fine di una riconsegna degli stessi in ordine (cioè ben mantenuti) al proprietario” e da tale risultanza di fatto trae la conseguenza che il M. fosse consapevole di detenere nomine alieno tali terreni e, precisamente, di detenerli per conto del P., avendogli costui trasferito la relativa detenzione e cura in ragione dell’età molto avanzata; cosicchè, secondo l’argomentazione della sentenza gravata, il M. avrebbe cominciato la coltivazione dei terreni come mero detentore e pertanto, non avendo provato l’intervenuta interversione della detenzione in possesso, non avrebbe potuto vantare alcun possesso utile ai fini dell’acquisto per usucapione.

Sotto altro profilo, nella sentenza gravata si osserva che, ove anche si ipotizzasse una cessione di usufrutto dal P. al M., quest’ultimo non avrebbe comunque potuto ricevere un potere sui terreni ceduti più ampio di quello del cedente.

Domenico M. ricorre per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Torino sulla scorta di quattro motivi.

La Asl si è costituita con controricorso.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza dell’8.9.16, per la quale il solo ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, riferito al vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente censura l’apprezzamento delle risultanze testimoniali operato dal giudice distrettuale sottolineando come dall’istruttoria non fosse emersa alcuna prova:

a) di un accordo tra il P. ed il M. in ordine alla conduzione dei terreni oggetto di causa;

b) dell’esistenza di una qualsivoglia dichiarazione ricettizia nei confronti del M., idonea a determinare l’insorgenza del medesimo della consapevolezza di una situazione di mera detenzione;

c) dell’esistenza di un possesso mediato ex art. 1140 c.c..

Il motivo è inammissibile perchè contesta l’apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dalla corte d’appello, in sostanza risolvendosi in una inammissibile richiesta alla Corte di cassazione di sostituirsi alla corte territoriale nell’apprezzamento e nella valutazione delle risultanze istruttorie. Al riguardo va ricordato che, secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr. sent. n. 7972/07), nel giudizio di cassazione la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

Va altresì, ancora, ricordato che questa Corte ha già chiarito, per un verso, che il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo anteriore alla riforma del 2012 (applicabile nel presente giudizio) – si denuncia la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (sent. n. 2805/11); per altro verso, che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (sent. n. 16499/09).

Con il secondo motivo, anch’esso riferito al vizio di contraddittorietà e insufficienza della motivazione, il ricorrente censura l’affermazione della sentenza gravata che ha escluso la sussistenza di un possesso utile ad usucapionem sul presupposto che il M. non avrebbe potuto acquistare dal P. un potere maggiore rispetto a quello esercitato da quest’ultimo. Deduce al riguardo il ricorrente che una simile argomentazione postula l’esistenza di un incarico conferito dal P. al M. di cui le risultanze di causa non offrirebbero alcuna prova.

Il motivo è inammissibile perchè la statuizione censurata risulta priva di portata decisoria. Il riferimento della corte d’appello all’ipotesi della cessione dell’usufrutto è infatti svolto meramente ad abundantiam, giacchè ai fini della decisione era autonomamente sufficiente l’affermazione che la coltivazione del fondo da parte del M. è cominciata come detenzione e che non vi era prova dell’interversione della detenzione in possesso.

In ogni caso, anche tale motivo si risolve in una contestazione della ricostruzione dei fatti di causa operata dal giudice di merito, in quanto presuppone l’esistenza di un fatto (l’abbandono del fondo da parte dell’usufruttuario) non accertato dalla corte distrettuale, la quale, al contrario, ha ritenuto che il P. avesse incaricato il M. della coltivazione del terreno proprio per garantire la buona manutenzione del terreno stesso.

Con il terzo motivo, anch’esso riferito al vizio di contraddittorietà e insufficienza della motivazione, il ricorrente censura l’affermazione della sentenza gravata che ha escluso la prova della interversio possessionis. Assume il ricorrente che tale prova non sarebbe stata necessaria, difettando, a monte, la prova del fatto che la coltivazione dei terreni era iniziata da parte del M. in base all’incarico ricevuto dal P..

Ancora una volta il motivo si palesa inammissibile perchè presuppone una ricostruzione dei fatti di causa diversa da quella operata dalla corte territoriale. In proposito va ricordato che questa Corte ha già chiarito, per un verso, che il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo anteriore alla riforma del 2012 (applicabile nel presente giudizio) – si denuncia la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (sent. n. 2805/11); per altro verso, che, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (sent. n. 16499/09).

Con il quarto motivo, rubricato come vizio di violazione di legge (in riferimento all’art. 1140 c.c., comma 2, anche in relazione agli artt. 1141 e 2697 c.c. e all’art. 980 c.c., anche in relazione all’art. 1350 c.c., n. 2) si propongono due distinte censure:

In primo luogo viene censurata la statuizione della sentenza gravata secondo cui il M. avrebbe detenuto i terreni de quibus per conto del P. ai sensi dell’art. 1140 c.c., comma 2; argomenta al riguardo il ricorrente che, nella fattispecie, dell’istruttoria non sarebbe emersa alcuna evidenza di una continuazione del possesso, sia pure “solo animo” in capo al P. dopo che il M. aveva iniziato ad esercitare la coltivazione di terreni. Ancora una volta, sotto la veste di una censura di violazione di legge, il ricorrente ripropone contestazioni relative all’accertamento di fatto operato dal giudice di merito, non censurando specifiche lacune o individuati vizi logici dell’iter decisorio esposto nella sentenza gravata, ma chiedendo inammissibilmente alla Corte di Cassazione di rinnovare la valutazione delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito. La censura va pertanto disattesa.

In secondo luogo il ricorrente censura la statuizione della sentenza gravata secondo cui, ove si ritenesse configurata una cessione del diritto di usufrutto dal P. al M., quest’ultimo non avrebbe potuto ricevere un potere sui terreni maggiore di quello dell’usufruttuario cedente. La censura è inammissibile per le considerazioni già svolte nell’esame del secondo mezzo di ricorso in ordine alla carenza di efficacia decisoria del riferimento alla ipotesi di cessione dell’usufrutto contenuto, solo ad abundantiam, nella sentenza gravata.

Il ricorso va quindi in definitiva rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2016

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