Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23672 del 11/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/11/2011, (ud. 20/09/2011, dep. 11/11/2011), n.23672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20496/2008 proposto da:

MEDIAL S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SABOTINO 2/A, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNELLI Paolo, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato RAGNEDDA GIAN COMITA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato SIPALA Aldo, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VIRDIS VALERIA, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 138/2008 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI

SEZ. DIST. DI di SASSARI, depositata il 21/04/2008 R.G.N. 386/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/09/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato GIOVANNELLI PAOLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Tempio Pausania, depositato in data 19.5.2005, I.M.R., premesso di essere stata assunta dalla Medial s.r.l. in data 12.2.2003, con contratto a tempo determinato della durata di dodici mesi, per svolgere mansioni di commessa addetta alla cassa ed ai reparti, e premesso che l’attività lavorativa veniva svolta in (OMISSIS), presso gli esercizi siti nella Via (OMISSIS) e nella Via (OMISSIS), esponeva che, assentatasi a causa di una grave malattia per circa due mesi dalla fine di giugno 2003, avendo contattato la società datoriale in data 30.8.3003 per riprendere lavoro il successivo 1 settembre, aveva appreso di essere stata trasferita a (OMISSIS) con effetto immediato. Quindi, presentatasi al lavoro alla predetta data del 1 settembre presso il supermercato (di via (OMISSIS), era stata respinta e, recatasi nel pomeriggio dello stesso giorno presso il supermercato di via (OMISSIS), aveva avuto conferma del trasferimento a (OMISSIS), con modi non cortesi, dalla moglie dell’Amministratore della società, S.R.A., la quale le aveva altresì contestato di aver mutato residenza ne corso della malattia senza avvisare la società datoriale ed impedendo in tal modo a quest’ultima di comunicarle una contestazione disciplinare; in tale circostanza la S., dopo averle consegnato la lettera di trasferimento ed una missiva contenente l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dallo stipendio per dieci giorni per l’omessa comunicazione della variazione di indirizzo, le aveva intimato verbalmente il licenziamento, con parole ingiuriose ed alla presenza di numerosi colleghi e dei Carabinieri intervenuti sul posto. Ritenendo la illegittimità e nullità del licenziamento in parola, chiedeva la condanna della società al risarcimento del danno.

Con sentenza n. 174/06 del 7.12.2006 il Tribunale adito rigettava il ricorso proposto dalla I..

Avverso tale sentenza proponeva appello la lavoratrice lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l’accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.

La Corte di Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, con sentenza in data 27.2 – 21.4.2008, in parziale accoglimento del gravame, ritenuta la illegittimità del licenziamento, condannava la società datoriale al pagamento in favore della I. delle retribuzioni globali di fatto dal settembre 2003 al 12.2.2004.

In particolare la Corte territoriale rilevava che la società era ben a conoscenza del trasferimento di dimora della lavoratrice (dalla via (OMISSIS), indicata nel contratto di lavoro, alla via (OMISSIS)), tant’è che presso quest’ultimo indirizzo erano state disposte ed effettuate le visite di controllo nel corso della malattia; e rilevava altresì che la comunicazione del 12.9.2003, con cui, successivamente all’episodio del 1 settembre, era stato intimato il licenziamento per iscritto, non era mai pervenuta a conoscenza dell’interessata essendo stata inviata, al pari della precedente nota di contestazione, al precedente indirizzo di via (OMISSIS).

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Medial s.r.l. con cinque motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la lavoratrice intimata.

Diritto

Col primo motivo di ricorso la società lamenta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto: artt. 1175 e 2104 c.c., e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro, in particolare art. 216 CCNL. Osserva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che l’obbligo di comunicazione di variazione della dimora fosse stato soddisfatto dalla comunicazione verbale dell’indirizzo presso cui effettuare le visite di controllo nel periodo di malattia, rilevando che comunque in data 28.7.2003 era stata inviata a quest’ultimo indirizzo, oltre che al precedente indirizzo di via (OMISSIS), la comunicazione di trasferimento del posto di lavoro, e che entrambe le comunicazioni erano state restituire al mittente dopo la prevista giacenza presso l’Ufficio postale competente.

Col secondo motivo di ricorso la società lamenta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione degli artt. 2086, 2094, 2104 e 2103 c.c. nonchè dell’art. 212 CCNL Commercio.

In particolare osserva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto non rilevante la comunicazione del trasferimento a (OMISSIS) effettuata telefonicamente ed erroneamente aveva ritenuto che il rifiuto dell’interessata di svolgere la propria attività lavorativa nella nuova sede di lavoro non costituisse grave insubordinazione e violazione degli obblighi assunti con il contratto di lavoro stipulato.

Col terzo motivo di ricorso la società lamenta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto: L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 1175, 1176 e 1335 c.c..

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto l’illegittimità del licenziamento per mancata comunicazione scritta dello stesso, essendo per contro emerso che sia il licenziamento che la precedente lettera di contestazione degli addebiti erano stati comunicati per iscritto al recapito indicato dall’interessata all’atto dell’assunzione.

Col quarto motivo di ricorso la società lamenta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto: artt. 2106, 2119, 2086, 2094, 2104 e 2103 c.c., e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro, in particolare artt. 212 e 221 CCNL. In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva qualificato il licenziamento in parola quale licenziamento per giustificato motivo, atteso che la condotta di grave insubordinazione tenuta dall’interessata in occasione dell’episodio del 1 settembre integrava gli estremi del licenziamento per giusta causa.

Col quinto motivo di ricorso la società lamenta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la lavoratrice sarebbe stata licenziata oralmente in occasione dell’episodio del 1 settembre, atteso che in realtà nessuno dei testi escussi aveva affermato che la S. avesse pronunciato la parola “licenziamento”.

Il ricorso non è fondato.

Osserva il Collegio che l’argomentazione di fondo posta dalla Corte territoriale alla base della propria statuizione con la quale è stata ritenuta l’illegittimità dell’intimato licenziamento è, in buona sostanza, costituita dalla violazione da parte della società datoriale dell’obbligo di preventiva contestazione, imposto dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2, al datore di lavoro intenzionato ad adottare un provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore, per avere la stessa inoltrato tale contestazione ad un indirizzo presso il quale la dipendente non aveva la propria abituale dimora.

Posto ciò devesi rilevare che, nel caso di specie, propedeutico all’accertamento della violazione di tale obbligo di comunicazione da parte della società è l’accertamento relativo alla consapevolezza, o meno, da parte della stessa, del mutamento del detto luogo di abituale dimora.

Trattasi di accertamento in punto di fatto in ordine al quale la Corte territoriale ha posto in evidenza come la società datoriale fosse ben a conoscenza di tale mutamento, avendo in precedenza chiesto che tutti gli accertamenti sanitari fossero effettuati presso il nuovo indirizzo di via (OMISSIS) (dove l’interessata era stata regolarmente reperita) e non presso il precedente indirizzo di via (OMISSIS); di talchè decisamente non coerente con tali premesse deve ritenersi la comunicazione della contestazione degli addebiti e del provvedimento di licenziamento al predetto indirizzo di via (OMISSIS), essendo noto alla società che l’interessata aveva trasferito la propria abitazione in via (OMISSIS), di talchè le comunicazioni suddette avrebbero dovute essere inoltrate a tale indirizzo (o, comunque, anche a tale indirizzo).

E pertanto deve ritenersi, in ordine al primo e terzo motivo di ricorso, che trattasi di motivi che, se pur indicati anche come relativi a “violazioni di legge”, involgono in realtà la valutazione di specifiche questioni di fatto, valutazione non consentita in sede di giudizio di legittimità.

Devesi sul punto evidenziare che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e di dare adeguata contezza dell’iter logico – argomentativo seguito per giungere ad una determinata conclusione. Ne consegue che il preteso vizio della motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della stessa, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero quando esista insanabile contrasto fra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. sez. lav., 18.3.2011 n. 6288; Cass. sez. lav., 23.12.2009 n. 27162; Cass. sez. 1^, 26.1.2007 n. 1754; Cass. sez. 1^, 21.8.2006 n. 18214; Cass. sez. lav., 20.4.2006 n. 9234; Cass. sez. trib., 1.7.2003 n. 10330; Cass. sez. lav., 9.3.2002 n. 3161; Cass. sez. 3^, 15.4.2000 n. 4916).

In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità il quale deve limitarsi a verificare se siano stati dal ricorrente denunciati specificamente – ed esistano effettivamente – vizi (quali, nel caso di specie, la carente, insufficiente o contraddittoria motivazione) che, per quanto si è detto, siano deducibili in sede di legittimità.

Orbene, dal momento che nel caso di specie la Corte di merito ha illustrato le ragioni che rendevano pienamente contezza del proprio convincimento esplicitando l’iter motivazionale attraverso cui la stessa era pervenuta alla scelta ed alla valutazione delle risultanze probatorie poste a fondamento della propria decisione, resta escluso il controllo sollecitato in questa sede di legittimità. Il vizio non può invero consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti rispetto a quello dato dal giudice di merito.

In conclusione, i motivi in questione si risolvono in un’inammissibile istanza di riesame della valutazione del giudice d’appello, fondata su tesi contrapposta al convincimento da esso espresso, e pertanto non possono trovare ingresso (Cass. sez. lav., 28.1.2008 n. 1759).

I suddetti motivi di ricorso non possono pertanto essere accolti, ed in tale statuizione rimangono assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso concernenti la questione relativa alla comunicazione del trasferimento a (OMISSIS) effettuata dalla società telefonicamente e la valutazione sotto il profilo disciplinare del rifiuto frapposto dall’interessata di svolgere la propria attività lavorativa nella nuova sede di lavoro (secondo motivo), la questione relativa all’esistenza o meno di una giusta causa di recesso (quarto motivo), la questione relativa all’esistenza o meno di un licenziamento orale a seguito dell’episodio verificatosi il 1 settembre (quinto motivo), stante il valore assorbente della statuizione concernente la illegittimità del licenziamento (e delle sanzioni disciplinari) per violazione da parte della società datoriale dell’obbligo di preventiva contestazione degli addebiti, imposto al datore di lavoro dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 2.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla peculiarità della vicenda che ha dato luogo a differenti soluzioni in sede di giudizio di merito, per compensare tra le parti le spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese relative al presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

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