Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2367 del 31/01/2017
Cassazione civile, sez. III, 31/01/2017, (ud. 06/12/2016, dep.31/01/2017), n. 2367
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. D�ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27056/2014 proposto da:
R.R., + ALTRI OMESSI
– ricorrenti –
contro
INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI
SUL LAVORO, (OMISSIS) in persona del suo legale rappresentante pro
tempore Dirigente Generale Dr. G.C., elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio
dell’avvocato RICCARDO D’ALIA, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato BETTINO TORRE, giusta procura speciale in
calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO (OMISSIS), MINISTERO LAVORO
POLITICHE SOCIALI (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 2800/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,
depositata il 18/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
06/12/2016 dal Consigliere Dott. COSIMO D’ARRIGO;
udito l’Avvocato STEFANO GIOVE;
udito l’Avvocato BETTINO TORRE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I ricorrenti e, in alcuni casi, i loro dante causa, nella qualità di conduttori di immobili di proprietà dell’I.N.A.I.L., siti in (OMISSIS), nei fabbricati di (OMISSIS), hanno convenuto l’I.N.A.I.L., la SCIP Società Cartolarizzazione Immobili Pubblici S.r.l., il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Territorio innanzi al Tribunale di Napoli, chiedendo che fosse disposto a proprio favore, ai sensi dell’art. 2932 c.c., il trasferimento degli immobili da essi condotti in locazione al prezzo del valore catastale moltiplicato per cento, sul presupposto che l’opzione attribuita per legge ai conduttori di immobili di proprietà di enti previdenziali pubblici soggetti a dismissione abbia natura di proposta irrevocabile di vendita e che, conseguentemente, la dichiarazione scritta della volontà di esercitare il diritto di opzione manifestata dai conduttori a mezzo raccomandata a/r entro il 31 ottobre 2001 costituisse accettazione della proposta medesima.
Costituitisi i convenuti, il tribunale adito, con sentenza del 9 gennaio 2009 ha accolto la domanda.
Tale sentenza veniva appellata dall’I.N.P.S., anche quale procuratore della SCIP s.r.l. Gli originari attori resistevano al gravame. L’interveniente P.G. spiegava, a propria volta, appello incidentale. Si costituivano anche l’Agenzia del Territorio, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, proponendo tutti appello incidentale.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 18 giugno 2014, ha riformato la decisione di primo grado, dichiarando la carenza di legittimazione passiva dell’Agenzia del Territorio, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero dell’Economia e delle Finanze e rigettando la domanda nei confronti dell’I.N.A.I.L., anche nella qualità di procuratore della SCIP s.r.l.. A fondamento della decisione ha posto l’affermazione secondo cui la disciplina che regola il procedimento di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali non prevede, in capo all’inquilino, un autonomo diritto potestativo di acquistare gli immobili condotti, indipendentemente dalla loro effettiva messa in vendita.
Contro la decisione in grado d’appello propongono ricorso per cassazione gli inquilini soccombenti, allegando tre motivi. Resiste con controricorso l’I.N.A.I.L., anche quale procuratore speciale della SICP s.r.l.. I primi hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti si dolgono della falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. 16 febbraio 1996, n. 104, art. 6, commi 2 e 6, del D.L. 25 settembre 2001, n. 351, art. 3, commi 3, 7 e 20 (convertito con modificazioni dalla L. 23 novembre 2001, n. 410) e del D.L. 23 febbraio 2004, n. 41, art. 1, comma 1 (convertito con modificazioni dalla L. 23 aprile 2004, n. 104).
Si tratta del complesso di norme che presiedono al procedimento di dismissione degli immobili di proprietà degli enti previdenziali e concessi in locazione a privati. La contestazione riguarda l’interpretazione secondo cui da tale disciplina non discenderebbe un vero e proprio diritto potestativo dell’inquilino di chiedere ed ottenere il trasferimento dell’immobile, anche senza il consenso dell’ente proprietario, ma solamente taluni privilegi procedurali e in ordine alla determinazione del prezzo, da far valere solo qualora l’ente deliberasse di procedere alla dismissione dei cespite.
La questione già stata affrontata in ripetute occasioni dalla Cassazione e risolta nel senso cui si è conformata la corte d’appello, la cui decisione quindi non merita alcuna censura.
Questa Corte, infatti, ha chiarito che, fintanto che l’ente previdenziale non pone in essere l’attività propedeutica alla vendita del proprio patrimonio, gli inquilini degli immobili sono titolari solo di mere aspettative di fatto (Sez. 3, Sentenza n. 20550 del 30/09/2014, Rv. 632359).
In altri termini, il diritto di prelazione dei conduttori di immobili appartenenti ad enti previdenziali, riconosciuto dal D.Lgs. 16 febbraio 1996, n. 104, esercitabile esclusivamente quando l’ente abbia validamente ed adeguatamente manifestato la specifica volontà di porre in vendita gli immobili, in attuazione del dettato normativo, attraverso una specifica proposta di alienazione, consistente in una determinazione negoziale dell’Ente di cedere l’immobile. Ne consegue che non può configurarsi un obbligo ex lege di dismettere il patrimonio immobiliare di tali enti sotto forma di una peculiare offerta pubblica imposta dal legislatore. Tale prospettazione si porrebbe in insanabile contrasto con la disciplina del procedimento di alienazione e stravolgerebbe la natura giuridica degli atti di dismissione, trasformandoli in anomale e sistematiche procedure ablative (Sez. 3, Sentenza n. 21988 del 24/10/2011, Rv. 619701; v. pure Sez. 2, Sentenza n. 13560 del 26/05/2008, Rv. 603456; Sez. 3, Sentenza n. 12599 del 16/10/2001, Rv. 549669).
2. – Nella specie, l’I.N.A.I.L. non ha mai avvitato la procedura di dismissione degli immobili in questione.
Nè può conferirsi valore di avvio del procedimento amministrativo di alienazione di beni demaniali l’inoltro, da parte dell’I.N.A.I.L., di una semplice informativa circa l’avvenuto trasferimento dell’immobile condotto in locazione alla SCIP s.r.l. e l’esistenza del diritto di opzione. L’atto, da inquadrarsi nell’ambito dell’attività di trasparenza della p.a., non contiene in alcuna parte la manifestazione della volontà di dismettere l’immobile.
Peraltro, dalla lettura della sentenza impugnata si ricava che i fabbricati di (OMISSIS) erano stati ricompresi fra gli immobili di pregio, quindi sottratti all’ambito di operatività della L. n. 410 del 2001, art. 3, disposizione dalla quale invece i ricorrenti vorrebbero fa discendere l’esistenza di un diritto di opzione in capo a loro.
Pertanto, la decisione della corte d’appello si sottrae alle censure di legittimità prospettate con il primo motivo di ricorso.
3. – Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono l’omesso esame di un fatto decisivo. Gli stessi ricorrenti, però, chiariscono che la doglianza è prospettata solo in via “cautelativa”, solo perchè non si dica che il vizio prospettato con il primo motivo doveva essere diversamente qualificato. Non indicano un vero e proprio “fatto decisivo” di cui la corte territoriale ha omesso l’esame.
Il motivo è, dunque, manifestamente inammissibile.
4. – Con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti censurano, in via subordinata, la condanna alle spese processuali, sostenendo che l’incertezza giurisprudenziale in materia costituirebbe valida ragione per la compensazione delle spese processuali.
Il motivo è infondato, anche avuto riguardo al testo dell’art. 92 c.p.c., applicabile ratione temporis. Infatti, la corte territoriale ha correttamente fatto applicazione del criterio della soccombenza.
D’altro canto, non sussiste neppure la pretesa incertezza nell’elaborazione giurisprudenziale. Il precedente di segno contrario indicato dai ricorrenti (Sez. 1, Sentenza n. 21596 del 20/09/2013, Rv. 627526), si riferisce ad un caso in cui l’ente previdenziale aveva inviato ai conduttori di uno stabile una chiara manifestazione della volontà di dismetterne la proprietà, successivamente confermata con ulteriori missive tramite le quali si comunicava che le formali offerte di vendita sarebbero state inviate dopo la determinazione del prezzo. Si tratta di una vicenda certamente diversa da quella in esame.
5. – Secondo il principio della soccombenza, i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
In proposito occorre però rilevare che si è in presenza, non di un’unica azione giudiziale, bensì di molteplici domande cumulative. Infatti, in relazione a ciascuna unità immobiliare possibile individuare un’autonoma domanda giudiziale, astrattamente suscettibile di differente epilogo.
Consegue che la condanna alle spese del giudizio deve essere, per un verso, parametrata al valore di ogni singolo appartamento e non dell’intero edificio di cui l’appartamento fa parte; per altro verso, autonomamente pronunciata per ognuna delle domande, ossia nei confronti del conduttore o del gruppo di conduttori di ciascuna unità immobiliare, individuati nei termini che seguono:
– Pa.Lu. e A.O. (eredi di Pa.Re.);
Pa.An.; + ALTRI OMESSI
M.F. e M.M. (eredi di P.G.);
– B.A.; M.M.;
– Pa.Gi., D.F.S., D.F.I.F. e D.F.V. (eredi di D.F.T.);
– p.a.; + ALTRI OMESSI
Mo.Ce.Ma.Ci.Gi., Mo.Ma. e Mo.La. (eredi di Mo.Ce.).
Ciascun ricorrente o gruppo di ricorrenti deve essere condannato al pagamento per intero delle spese processuali relative alla propria domanda giudiziale, che si liquidano in complessivi Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge.
Sussistono i presupposti per l’applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, per ciascuna impugnazione rigettata, coma sopra individuata, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, per ciascuna unità immobiliare, oltre spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, per ciascuna impugnazione rigettata, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017